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Aprile-Maggio/2005 - Interviste
Polizia in Europa
Inchiesta sulle donne sacerdote
di a cura di Gianni Verdoliva

In Italia è un fenomeno che non esiste, ma
in altri paesi con religioni diverse ci sono
già molte esperienze particolari.
Siamo andati a parlare con queste religiose


La realtà dell’Europa unita porta la conoscenza di altre nazioni. Altri modi di pensare, di lavorare, di concepire le relazioni, altri modi, ad esempio, di vivere la fede. Contesti culturali diversi che si riscontrano anche nell’ambito della Polizia. Con la presenza, ad esempio, di cappellani delle Chiese protestanti che svolgono la loro funzione di assistenza spirituale nelle centrali della Polizia. La predicazione, nel corso del XVI secolo, di Lutero, Calvino e Zwingli, per citare i nomi più conosciuti, ha aperto la strada alla riforma protestante alla quale hanno aderito tutta l’area scandinava e una buona parte dell’Europa centrale. Un cambiamento culturale, oltre che religioso, profondo che ha marcato il pensiero di intere nazioni, portando contributi quali il beneficio del dubbio, la libertà di ricerca teologica, la traduzione della Bibbia nelle varie lingue e, influenzando, almeno parzialmente, anche le nazioni che erano rimaste fedeli alla Chiesa di Roma. Un’altra riforma, meno drammatica di quella precedente è tuttora in atto: l’ordinazione delle donne. Una dopo l’altra le Chiese protestanti europee hanno consentito alle donne di poter diventare pastore o prete. Le donne prete sono ormai parte integrante del tessuto sociale di quei paesi. Succede così che, a volte, i cappellani siano delle cappellane. Donne preti e pastori che sono in servizio presso la Polizia. Donne al crocevia di due istituzioni: la Chiesa e la Polizia, nelle quali ancora c’è da fare per una effettiva parità malgrado il cammino effettuato. Vivono in Finlandia, Svezia, Svizzera, Germania e Inghilterra. Luterane, anglicane e riformate. Sono Carita, Claudia, Monika, Yvonne e Karen. Alcune sono le uniche donne cappellano nella loro nazione, altre hanno delle colleghe. Alcune svolgono la loro funzione solo nel Corpo di Polizia, altre invece hanno anche una parrocchia. Una posizione particolare quindi, che consente loro di avere uno sguardo aperto sui due mondi. E di vivere la loro situazione con passione. Hanno accettato di raccontarsi. Parlando della loro vocazione, delle difficoltà e delle soddisfazioni del loro lavoro, delle interazioni con gli agenti, di come vivono e sono percepite come donne cappellano.

Carita Pohjolan-Pironhen
Helsinki, Finlandia

Quando la Polizia e la Chiesa Luterana finlandese hanno creato la posizione di cappellania presso la Polizia la scelta è andata alla reverenda Carita Pohjolan. Un curriculum stellare e un interesse genuino per l’assistenza spirituale alle persone che vivono situazioni di crisi hanno fatto di Carita il primo cappellano nella Polizia di tutta la Finlandia. La rivista della Polizia finlandese le ha recentemente dedicato un articolo.
Quale è stato il suo percorso che l’ha portata a diventare cappellano?
“Quando ero giovane, ho studiato arte tessile. Mi piaceva molto. Ma al contempo pensavo se fosse davvero questo ciò che volevo. Mi sono chiesta per anni se Dio voleva che facessi questo. Lui mi ha parlato in maniera così chiara che ho percepito che forse sarei stata più utile se avessi fatto qualcosa nella Chiesa. Ho sempre voluto aiutare le persone in caso avessero vissuto dei momenti difficili nella loro vita. Ho pregato molto e nella primavera del 1970 ero sicura che Dio aveva altri piani per me. Così ho deciso di diventare prete.
In Finlandia all’epoca non era possibile per una donna, così sono andata a studiare teologia all’Università di Helsinki. Ero così felice di avere la possibilità di studiare la teologia, la storia della teologia e il pensiero dei grandi personaggi della Chiesa. Ero anche molto interessata alla storia della filosofia. Ho anche studiato etica e la storia dell’etica.
Quando studiavo all’Università ho studiato per essere formata alla cura pastorale negli ospedali. Sentivo che era qualcosa che volevo fare nella vita. Ho anche studiato psicologia. Ero felice quando ho avuto il lavoro all’ospedale dell’università di Helsinki dopo aver completato gli studi in teologia. Mi piaceva anche insegnare e ho anche avuto l’occasione di insegnare cura pastorale alla scuola per infermieri.
Sono stata 25 anni all’ospedale dell’Università e quando, nel 1988, è stato possibile per le donne diventare prete, sono diventata prete dell’ospedale.
Ero nella clinica per le donne e in quella per i bambini. Ho lavorato con pazienti che erano stati in situazioni traumatiche, per esempio in incidenti d’auto, in sparatorie o in incendi. Mi sono anche occupata della pianificazione dell’assistenza spirituale con il Dipartimento dei Vigili del Fuoco per quel che riguardava i grandi incidenti. Per 25 anni sono stata con persone che soffrivano, ho visto così tanti morti e famiglie in lutto.
Come mai ha scelto di diventare cappellano nella Polizia?
Ero negli Stati Uniti nel 1988 per studiare la salute mentale per le persone che lavorano nei Vigili del Fuoco e nel Corpo di Polizia. Ho realizzato allora che la figura del prete è importante anche in questi contesti, non solo negli ospedali. Nel frattempo la Polizia finlandese e la Chiesa stavano pianificando una cappellania per la Polizia ad Helsinki. Appena l’ho saputo mi sono fatta avanti, presentando la mia candidatura. Diversi cappellani si erano presentati. Erano tutti uomini, ma hanno scelto me perché nessuno aveva la mia esperienza riguardo a cosa un cappellano della Polizia è tenuto a fare. Ero così felice di essere stata scelta.
Quali sono i suoi compiti specifici e quali le sfide speciali che si trova davanti?
Nel mio lavoro accompagno gli agenti di Polizia, se qualcosa di serio accade. Per esempio se qualcuno si è suicidato o se ci sono stati incidenti gravi. Mi occupo di assistere le famiglie e le vittime. Offro assistenza mentale e spirituale in caso di grossi incidenti. Sono inoltre responsabile della cura mentale e pastorale degli agenti di Polizia. Celebro matrimoni, funerali e altre funzioni religiose per la Polizia e li assisto anche nelle questioni professionali. E’ un gran lavoro ma interessante. Insegno in tutta la Finlandia e viaggio in tutte le città perché è mio compito che la Chiesa e la Polizia gestiscano al meglio i momenti di cooperazione.
Quale è la situazione attuale delle donne nella Chiesa e nella Polizia?
In Finlandia ci sono donne poliziotto fin dal 1970 e le donne attualmente costituiscono circa il 20% del Corpo di Polizia. Esercitano le stesse funzioni dei loro colleghi maschi. Si sentono trattate in maniera uguale agli uomini, non ci sono problemi. Nella Chiesa Luterana le donne hanno potuto diventare prete dal 1988. Circa un terzo dei preti sono donne ora. Il più delle volte è piacevole lavorare come donna nella Chiesa, ma in alcuni casi ci sono dei colleghi maschi che non ci accettano.
E’ comunque un problema di scarsa importanza. Alla Polizia dicono che sia bello avere una donna cappellano, mi vedono come una mamma. I poliziotti maschi dicono che non è importante essere uomo o donna ma fare bene il proprio lavoro.
Come si sente ad essere l’unica a svolgere questa funzione?
Ho così tanto lavoro che non ho molto tempo per me. Certe volte dico che non ho affatto una mia vita. Un giorno mi piacerebbe entrare in contatto con le mie colleghe in Europa. Qui ho dei buoni amici, preti come me, sia uomini che donne e discutere con loro è importante.
Ha qualche aneddoto relativo alla sua vita in Polizia?
I poliziotti si prendono cura l’uno dell’altro. Penso sia molto bello lavorare nel Dipartimento di Polizia. Si ha la sensazione di essere una grande famiglia. Alcune volte sono anche molto divertenti.
In ogni caso il mio lavoro è molto duro e loro hanno bisogno di me quando qualcosa di serio accade. A metà marzo qui in Finlandia c’è stato un incidente d’autobus in cui sono morti 23 giovani e altri 11 sono stati feriti gravemente. Tre settimane di lavoro incessante, giorno e notte. Abbiamo dovuto avvertire le famiglie e dire loro che i loro figli erano morti, assistere i feriti e dare loro sostegno morale e spirituale, organizzare i funerali, etc.
Come viene vista da coloro che non sono luterani?
Diciamo chiaramente che in Finlandia la cappellania è luterana e che il cappellano può anche essere una donna. La maggioranza delle persone appartenenti ad altre fedi mi rispetta. E io cerco di intrattenere buoni rapporti con persone di tutte le religioni.
Come sono i suoi rapporti con gli agenti uomini e con le donne?
Interagisco in continuazione con poliziotti uomini e donne. Ma quando si discute di questioni private come ad esempio di bambini o della famiglia questo accade di più con le donne forse perché sono anche io una madre e ho i problemi di tutte le altre madri. Con gli agenti maschi gli argomenti riguardano di più questioni inerenti il lavoro.
Quando ho cominciato la mia funzione alcuni erano un pò sospettosi, si chiedevano che cosa ci facessi qui, ma ora non più. Pensano che io sia utile a loro e alle persone che si rivolgono a loro. Penso che questo sia il mio posto, il posto dove posso servire Dio e la gente. Nonostante tutte le difficoltà che ho nel mio lavoro lo apprezzo molto.
Claudia Kiehn
Wuppertal, Germania

Nella terra che ha dato i natali a Martin Lutero Claudia non è entrata in Polizia per un soffio, ma, dopo essere diventata prete, dirige la cappellania del Rheinland. Un lavoro stimolante, al fianco dei poliziotti, per essere di supporto. Al fianco di altre colleghe.
Come ha deciso di diventare prete e cappellano nella Polizia?
I miei genitori non erano membri della Chiesa fino a poco tempo fa così non sono stata allevata ricevendo un’educazione cristiana. Ma sono stata battezzata e poi ho potuto decidere da sola se continuare o meno nel mio percorso di fede. Ero molto interessata alla Chiesa e ho capito presto che avrei voluto essere un prete. Dopo un anno chiamato “anno di lavoro sociale volontario” durante il quale ho lavorato nella cura pastorale in un ospedale ho studiato teologia per poter diventare prete. Dato che in Germania i posti per coloro che sono laureati in teologia sono scarsi ho anche tentato altre strade a livello professionale. Ad un certo punto mi sono seriamente interessata alla carriera nel Corpo di Polizia. Ma nell’anno in cui ho fatto domanda c’era un blocco delle assunzioni. Il caso ha poi voluto che sei mesi dopo mi venisse offerto il posto come prete cappellano nella Polizia e dato che ero meglio preparata per questo tipo di lavoro rispetto ad altri sono diventata cappellano.
Quale è la situazione per le donne nelle Forze di polizia e nella Chiesa?
Le donne sono ancora la minoranza in entrambe le istituzioni. Anche se la percentuale femminile è di circa il 50% all’inizio degli studi sono ancora poche quelle che occupano posizioni chiave. Si possono trovare in entrambe le istituzioni delle opinioni critiche verso le donne. In ogni caso è interessante notare che queste opinioni sono solo rivolte al contesto della propria professione. Ad esempio una minoranza di poliziotti uomini ha delle reticenze nei confronti delle donne e, viceversa una minoranza di cappellani in Polizia non approva la presenza delle donne cappellano. Ma questi uomini non disapprovano mai la presenza femminile nell’altra professione.
Il 1 gennaio 1997 io e la mia collega Susanne Hansen abbiamo cominciato a lavorare per la Polizia. All’epoca eravamo le sole donne tra i cappellani mentre dal 2003 siamo il 50%.
Esistono istituzioni per le pari opportunità?
Nella Chiesa esiste il Dipartimento delle donne, composto da donne che sostengono altre donne nel loro lavoro. Nella Polizia esiste una rappresentanza che si occupa dell’uguaglianza delle donne in campo lavorativo. In entrambe le istituzioni queste donne diventano attive su richiesta ad esempio in caso di molestie sessuali o di trattamento disuguale. Durante il processo di selezione del personale le donne sono sempre presenti e lavorano come consigliere.
Come è stata accolta a livello personale?
La leadership della Polizia è in generale molto aperta e riconosce positivamente il lavoro dei cappellani, sia uomini che donne. Accolgono la nostra assistenza e ci sostengono quanto possibile. Gli agenti di pattuglia sono generalmente scettici all’inizio, spesso temono che cerchiamo di controllarli. Ma quando diventa chiaro che siamo lì per aiutarli e non per lavorare contro i loro interessi sperimentiamo una nuova fiducia e conosciamo meglio loro e il loro lavoro.
In cosa consiste il suo lavoro come cappellano?
Come prete nella Polizia lavoro in tre settori: la cura pastorale, l’etica professionale e la spiritualità. Visitiamo le stazioni di Polizia, i loro gruppi di lavoro o li accompagniamo in servizio. Questo significa che siamo nella macchina della Polizia ad esempio durante manifestazioni politiche o di protesta. Li sosteniamo nei loro problemi riguardanti il lavoro o la loro vita privata. Riguardo all’etica li guidiamo nella loro educazione. Le domande che poniamo sono “Cosa vuol dire comportarsi correttamente?” e “Come posso stare bene con il mio comportamento?” Offriamo anche seminari per le famiglie. A livello della spiritualità ovviamente battezziamo, celebriamo matrimoni e funerali ma presentiamo anche programmi per trovare se stessi nel nostro odierno mondo eclettico.
Come la trattano coloro che non sono luterani?
Come prete della Polizia sono lì per tutti indipendentemente dalla loro confessione religiosa. Difficilmente vedo differenze. I non luterani possono essere altrettanto scettici nei nostri confronti dei luterani, così come possono essere altrettanto interessati.
Gli uomini e le donne si rapportano a lei nello stesso modo?
Gli uomini all’inizio sono molto aperti, e usano la possibilità di vedermi come donna, in qualche caso cercando il “flirt”. Mascherano il loro interesse per la cura pastorale dietro la possibilità di una connessione sentimentale e questo fa sì che ci mettano più tempo rispetto alle donne a raccontarmi i loro problemi. In genere gli uomini mi testano per vedere se riesco a sostenere quello che mi vogliono dire. Le donne d’altro canto sono più dirette e vengono da me esponendo subito i loro problemi.
Gli uomini mi contattano più frequentemente per questioni di mobbing o inerenti alle loro relazioni, le donne più per problematiche legate a depressione nervosa o molestie sessuali.
Quali sono le sfide speciali e le soddisfazioni che vive esercitando la sua funzione?
Come prete della Polizia ho bisogno di avere una conoscenza approfondita del lavoro. Devo capire il linguaggio, la gerarchia e la routine. E, malgrado ciò, non sono un membro della Polizia e devo mantenere il mio status di osservatore esterno. Solo in questo modo posso continuare il mio lavoro in maniera critica mantenendo la solidarietà con la Polizia. Sono al di fuori della gerarchia della Polizia in quanto faccio parte del corpo ecclesiastico e quindi posso discutere e porre domande che non potrei fare se facessi parte della Polizia. E’ importante che io faccia i miei colloqui sotto la protezione della discrezione professionale, del segreto del confessionale e del diritto di rifiutarsi di fornire prove. Queste protezioni sono essenziali per gli agenti.
Mi piace trovarmi con così tanti giovani. In generale i giovani non appartengono all’audience tradizionale della Chiesa. Posso lavorare molto nel campo della teologia dato che in Polizia ci si trova confrontati a così tante questioni teologiche, cosa che non sempre accade in una parrocchia.

Monika Oscarsson
Goteborg, Svezia

Monika parla e scrive in italiano e ha dei bellissimi ricordi dell’Italia. In un paese come la Svezia, celebre per la parità tra uomini e donne, nessuno si sconvolge di vedere una donna col colletto clericale, né che il cappellano della Polizia sia una bella donna.
Come è nata la sua vocazione?
Seguire la vocazione e diventare un prete è stato per me un processo lungo. Ci sono stati molti fattori e molte persone che erano e sono importanti per me. Ad un certo punto nella mia vita c’è stato un incontro di convinzioni, emozioni, amicizie, preghiere, studi e sensazioni. E’ stata la mia storia speciale, ognuno ha la sua.
Sono diventata prete cinque anni fa dopo aver studiato sociologia, storia delle idee, italiano e teologia, e dopo aver lavorato in un ospedale psichiatrico. Il primo anno sono stata impiegata in una parrocchia in un sobborgo di Goteborg. Ora lavoro nel centro della città, 50% nella parrocchia e 50% nella Polizia.
Com’è organizzata la cappellania presso la Polizia in Svezia?
In Svezia apparteniamo tutti ad una rete che si chiama Chiesa-Polizia. La maggioranza di noi fanChiesa nazionale di tradizione luterana. Siamo preti o diaconi che da noi significa una carica basata su competenze specifiche come infermiere o impiegato nel settore sociale. Fra di noi ci sono anche dei pastori che fanno parte di un’altra Chiesa sempre della famiglia protestante. Ci incontriamo due volte all’anno per un aggiornamento delle esperienze e un confronto sul nostro lavoro. La nostra rete fa parte di un’altra rete, più grande, che si chiama “Chiesa-vita di lavoro” che impiega in maggioranza donne. Nella nostra regione, intorno a Goteborg, siamo al momento sei persone, preti e pastori a lavorare con la Polizia. Lavoriamo insieme a due persone (un social worker e un agente di Polizia) che sono impiegati dalla Polizia per occuparsi degli impiegati e della loro salute psico-sociale.
Quali sono i suoi compiti come cappellano?
Lavoro due giorni alla settimana con la Polizia. Ciò che faccio come prete è fare una visita alle stazioni per parlare con gli agenti e gli altri impiegati. Ogni tanto tengo loro compagnia nella macchina o alla stazione durante una sera. Credo sia importante interessarsi alla loro situazione nel lavoro dal punto di vista pratico, per poter meglio comprendere la loro vita. La gioia, le paure, lo stress, le emozioni che vivono. Il mestiere che fanno richiede molto coinvolgimento personale. Tutto entra quindi in gioco: la conoscenza, l’empatia, il senso di umorismo, la pazienza. E’ molto interessante vedere come il lavoro si possa evolvere in una sera. Ci sono poi dei momenti di conversazione individuale intima. Può essere un momento di preghiera, o discorsi di lavoro, o situazioni esistenziali o ancora situazioni personali, tutto quello che la persona che mi è venuta a trovare ritenga importante.
Oltre a questo ci sono naturalmente dei matrimoni o momenti solenni come il concerto del coro della Polizia.
Quali sono le sfide particolari relative alla sua funzione?
La Svezia sotto un certo punto di vista è una nazione molto secolarizzata. Questo significa che c’è spesso fede nella gente ma non sempre le persone si sentono in familiarità con la Chiesa e le sue tradizioni. Posso dire che si tratta di una sorta di “religiosità privata”. Quindi per noi della rete Chiesa-Polizia è importante chiarire il fatto che tutti sono i benvenuti a contattarci come rappresentanti della Chiesa, qualunque sia il loro rapporto con la Chiesa e il motivo per il quale ci contattano. Questo fatto è chiaro per molti ma non per tutti, nemmeno in Polizia.
La continuità nel lavoro e nei contatti, il tempo che passa e le esperienze condivise ci aiutano però a superare certi ostacoli. Sono anche fortunata perché c’erano altri preti nell’organizzazione prima di me.
Quale è la situazione per le donne nella Chiesa di Svezia?
Ho lavorato tre anni e mezzo part-time con la Polizia e nella mia parrocchia. Mi trovo molto bene e mi sono ambientata con gli impiegati e gli agenti, ho anche fatto delle amicizie. Lo stesso dicasi per la mia parrocchia. Ho trovato un atmosfera benevola e non ho mai percepito che fosse un problema essere una donna prete. Al contrario! In Svezia le donne possono essere prete dal 1958 e in genere non è più un argomento di controversia. Il 40% dei preti ora sono donne.
Quali sono le impressioni relative al suo lavoro?
E’ sempre una sfida, trovandosi a lavorare per un’altra istituzione. Sono un’ospite lì e devo sempre riflettere insieme ai miei amici della Chiesa sui motivi della nostra presenza. Mi sembra anche importante riflettere su ciò che la Polizia richiede dalla Chiesa. Quali sono i bisogni? Essere prete nella Polizia o nella parrocchia è più o meno la stessa cosa, in quanto riguarda il contatto con le persone e l’incarico che la Chiesa ci ha confidato nella vita di lavoro nella Polizia. Ho scoperto che le conversazioni individuali sono molto importanti, ho cominciato quindi un corso per aggiungere la psicoterapia nel mio lavoro.
Yvonne Waldboth
Zurigo, Svizzera

“In Ontario e in Quebec non ci sono donne cappellano in Polizia!” Per Yvonne, unica in tutta la Svizzera, questa realtà appare strana, come riferisce di ritorno da un suo viaggio in Canada. Da anni svolge la sua funzione nella Polizia zurighese. Nel Cantone di Zurigo i protestanti appartengono alla Chiesa riformata.
Come è arrivata a diventare pastore e poi cappellano?
Ho studiato teologia all’Università di Zurigo e ho lavorato come assistente all’Istituto di Etica Sociale. Dopo la laurea sono stata lettrice in Etica alla Facoltà di Scienze Applicate e dopo essere diventata pastore sono stata dapprima in una grande parrocchia e poi per sette anni sono stata cappellano in un carcere. All’Università di Berna mi sono specializzata nel lavoro pastorale nelle prigioni.
Nel 1999 la Polizia di Zurigo insieme alla Chiesa Evangelica Riformata e alla Chiesa Cattolica Romana ha creato un posto per il lavoro pastorale nella Polizia. Grazie alla mia esperienza all’università e nel settore della pastorale ai carcerati mi hanno chiesto di accettare la funzione e di svilupparla.
Ho trovato la mescolanza dell’insegnamento e di doveri pastorali interessante, specie nel contesto particolare della Polizia. Ero anche attratta dall’orientamento ecumenico del lavoro.
Come è organizzato il suo lavoro?
Oggi il servizio pastorale della Polizia di Zurigo copre la Polizia della città di Zurigo e quella cantonale oltre che i servizi di ambulanza e dei Vigili del Fuoco. Circa 5000 persone appartengono alla mia sfera di competenza. Le mie responsabilità includono la partecipazione al training su questioni etiche riguardanti il lavoro (diritti umani di base, etica professionale della Polizia, confrontarsi con la violenza, la sofferenza, la morte, le questioni multiculturali, il trovarsi in situazioni di stress), sostenere gli agenti in situazioni difficili (incidenti gravi, morti di bambini, suicidi, catastrofi, profilassi contro disordini da stress post-traumatico) e offrire sostegno pastorale in situazioni di crisi personale come separazioni, divorzi, malattie.
Oltre a questo svolgo occasionalmente funzioni religiose riguardanti battesimi, funerali o matrimoni.
Come sono i rapporti con gli agenti?
Non trovo differenze particolari nel modo di rapportarsi a me da parte degli uomini e delle donne, fatta eccezione per il fatto che in momenti di crisi le donne sono più pronte dei loro colleghi maschi a cercare aiuto professionale. Quello che è importante è il livello di contatto umano e professionale.
La gente considera positivamente l’indipendenza del pastore, la discrezione e la competenza, e il fatto che tramite il suo status possa offrire il segreto professionale.
Come è la situazione attualmente riguardo alla presenza femminile nel corpo pastorale e tra gli agenti?
All’Università le donne sono circa il 50% degli studenti in teologia, mentre siamo circa un terzo del totale tra i pastori della Chiesa Riformata. Siamo però accettate e rispettate. Nella Polizia invece le donne sono il 20% anche se molte smettono di lavorare dopo aver avuto bambini.
Quali sono le sfide particolari del suo lavoro?
Lavorare in questa professione come donna ha il vantaggio di poter coinvolgere il lato emozionale sia nelle discussioni pastorali sia negli incontri di tutti i giorni. In un mondo come questo ancora molto dominato dagli uomini questo viene più velocemente accordato ad una donna e permette una buona dose di fiducia. Considero che sia un onore per me, in quanto pastore autorizzato a fornire aiuto in situazioni estreme, essere a mia volta supportata e contribuire in modo che l’umanità, e di conseguenza i diritti umani, siano e rimangano il principio base del lavoro della Polizia.
Un giorno sono arrivata sul luogo di un incidente e i poliziotti mi hanno riconosciuto. Ho sentito qualcuno che diceva “il nostro cappellano è qui, ora è tutto ok”. Anche se in quella circostanza il gruppo non aveva particolare bisogno di me la frase indica che loro sanno che qualcuno è lì ad aiutarli nel momento del bisogno.
Quello che è vero per noi è vero anche per la Polizia in generale: si è felici che esista, ma contenti di non averne bisogno.
Karen Emery
Newcastle, Inghilterra

Il ministero sacerdotale e il lavoro nella cappellania sono stati interconnessi per Emery fin dall’inizio. Se la gerarchia della Chiesa d’Inghilterra pone ancora ostacoli alle donne, per esempio non consentendo loro l’accesso alla funzione episcopale, il lavoro delle donne prete è invece apprezzato dalla base. Compresa la Polizia.
Come è strutturata la cappellania nelle Forze di polizia in Inghilterra?
Ogni Polizia nel Regno Unito è gestita in maniera autonoma, ognuna ha il suo proprio ordinamento e questo significa che la cappellania può variare da una Polizia all’altra, alcune Polizie locali non hanno affatto la figura del cappellano. Così la mia esperienza non sarebbe necessariamente la stessa se fossi cappellano da un’altra parte.
Come è arrivata ad essere cappellano?
Quando ho lasciato l’Università ho lavorato per un po’ in un ufficio ma avendo una famiglia ho deciso di cambiare e, in seguito all’incoraggiamento di amici nella Chiesa ho intrapreso gli studi teologici nella diocesi anglicana di St.Albans. Durante il primo anno di studi dovevamo svolgere un’attività nel mondo secolare e mi hanno suggerito di lavorare con la Polizia di Hertfordshire.
Ho trovato questa situazione molto stimolante e questo ha fatto sì che io restassi come cappellana volontaria laica per i tre anni successivi. Alla fine dei miei studi sono stata ordinata al diaconato nel 1992 e sono diventata curato a Royston, una piccola città commerciale nel North Hertfordshire. Ho continuato il mio lavoro di cappellana volontaria nella piccola stazione di Polizia di Royston e sono diventata coordinatrice della cappellania nell’Hertfordshire. Insieme ai miei sovrintendenti ho presentato un progetto alla Polizia e al vescovo di Hertford che ha instaurato la cappellania in tutte le stazioni di Polizia nell’Hertfordshire. Dopo quattro anni sono andata via da Royston per essere vicario in una grande parrocchia a Barnet, a North London. Barnet è parte di Londra e di conseguenza fa parte di un’altra Forza di polizia, la Metropolitan Police. Avevo già avuto contatto con loro durante la mia permanenza a Royston quando ho celebrato il funerale di un agente che era stato ucciso in servizio e la cui madre viveva a Royston. Sono diventata cappellana volontaria nella stazione di Polizia di Barnet e mi sono dovuta adattare ad un contesto di 28.000 agenti mentre prima erano 1800! La Metropolitan stava attraversando una grossa fase di riorganizzazione e in seguito all’inchiesta sulla morte di Stephen Lawrence, un giovane di colore in South London, il morale era estremamente basso. La stazione di Barnet venne drasticamente ridotta di personale (da 270 a 30 agenti) e le mie responsabilità nella parrocchia accrebbero, per cui decisi di abbandonare la cappellania.
Nel 2002 ho deciso che era ora di cambiare e sono stata nominata cappellano part-time nella Polizia del Northumbria e prete part-time a Heddon-on-the-Wall. Lavoro con un collega uomo che è stato cappellano per sei anni. Una delle mie responsabilità è reclutare cappellani volontari per le diverse centrali della zona e dare loro sostegno. Attualmente c’è una fase di riorganizzazione come è accaduto a Londra e stiamo vedendo come la cappellania interagirà con la riorganizzazione. Sono anche volontaria alla stazione di Newcastle West che è una delle stazioni di Polizia più cariche di lavoro della zona.
Quali sono i suoi compiti?
La prima responsabilità dei cappellani, inclusa me stessa, è di offrire supporto pastorale agli agenti di Polizia e allo staff di supporto e di agire come un ponte tra la Chiesa e la Polizia in modo che ci siano dei benefici per l’intera comunità. Offriamo anche uno spazio in cui discutere i dilemmi morali relativi al loro lavoro. Visito frequentemente la stazione in modo che i sospetti iniziali sono stati superati. Ogni tanto celebriamo anche funzioni religiose come funerali o battesimi o la messa di Natale.
Quale è la posizione delle donne nella Chiesa e nella Polizia? Quale è stata la sua particolare esperienza?
Ho sempre sostenuto la Polizia e sono sempre stata altrettanto sostenuta da loro. Durante i miei studi teologici quando stava esplorando la mia vocazione ho trovato la Polizia di St.Albans estremamente incoraggiante e una dozzina di poliziotti sono venuti alla mia ordinazione al diaconato.
Non ho mai incontrato un’attitudine ostile o negativa come donna cappellano. Penso che essere una donna dia il permesso alla gente di cercarmi liberamente e di parlarmi. Solo nella Chiesa ho vissuto dell’antagonismo relativo al fatto di essere una donna prete. Questo non vuol dire che non ci fossero atteggiamenti sessisti anche nella Polizia, almeno all’inizio.
Nella diocesi di St.Albans le donne sono circa il 20% dei preti. La donna più alto in grado nella Polizia all’inizio degli anni ’90 era un ispettore. Ora il Chief constable di North Yorkshire è una donna, Della Canning, mentre nel Northumbria una donna è stata appena promossa Chief Superintendent.
Quali sono le sue relazioni con gli agenti, uomini e donne?
Ho delle buone relazioni con gli agenti di entrambi i sessi e nel corso dell’ultimo anno ho lavorato con una sovrintendente che era comandante di area a Newcastle West. Non posso però dire che non ci sia alcuna differenza nel modo in cui gli uomini e le donne si rapportano a me.
Come è il rapporto con coloro che non sono anglicani?
Nelle Forze in cui ho lavorato c’era una minoranza molto piccola di agenti provenienti da minoranze etniche e da altre fedi e culture ma la mia limitata esperienza mi suggerisce che loro si relazionano al cappellano vedendolo come la “persona sacra” con la quale possono parlare. Penso che vedano il servire la Polizia come servire Dio in generale e non una fede in particolare.
Posso dire di aver percepito più ostilità da parte degli atei e con loro ci vuole più tempo per guadagnare la loro fiducia e cominciare a discutere la dimensione spirituale della vita.
* * *
In altri paesi europei l’assenza di donne cappellano in contesti a maggioranza protestante è una casualità. In Danimarca, ad esempio, non esiste la cappellania per la Polizia e ogni prete, donne incluse, si occupa dell’assistenza pastorale alla vicina stazione. La Chiesa nazionale, di tradizione luterana, ha invece donne cappellano nelle Forze Armate.
In Francia, paese laico e in cui i protestanti sono in minoranza, c’è Emmanuelle Dronne, pastora della Chiesa riformata a Chatellerault, che è stata nominata cappellano per la vicina Ecole de Gendarmerie. Una funzione cominciata da pochissimo, al punto che Emmanuelle, che nel frattempo segue la sua parrocchia nei pressi di Poitier, non ha ancora avuto l’uniforme.
Anche la International Conference of Police Chaplains ha un numero crescente di donne tra i propri ranghi. E non tutte cristiane. Come Suzanne Carter, rabbina e cappellano capo della Delray Beach Police a Boca Raton, in Florida. In una città dove metà della popolazione è ebrea, tale percentuale si riflette anche tra gli agenti di Polizia. E Suzanne, figlia di un sopravvissuto all’Olocausto, lavora per offrire sostegno ai poliziotti. Come tutte le altre.

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