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Aprile-Maggio/2005 - Interviste
Iraq
Il mio amico Nicola - Parla Alberto Intini Dirigente della Squadra Mobile di Roma
di a cura di Paolo Andruccioli

Alberto Intini, dirigente della Squadra Mobile
di Roma, parla del suo collega Calipari,
dei suoi 25 anni di esperienza nella Polizia,
del suo carattere e delle sue alte qualità investigative


Ho sentito, anche in altre interviste da lei rilasciate, che conosceva molto bene Nicola Calipari. In quali occasioni avete lavorato insieme?

Noi abbiamo lavorato insieme, nello stesso ufficio, qui alla Squadra Mobile di Roma; poi abbiamo lavorato in uffici diversi ma collegati: io alla Mobile, lui alla Criminalpol Lazio- Umbria-Abruzzo; io all’Interpol e lui allo Sco della Polizia di Stato, sempre nell’ambito della Criminalpol.
Insieme abbiamo lavorato alla Squadra Mobile della Questura di Roma quando, dal 1992 al 1997, lui era prima dirigente della Sezione Narcotici, poi vicedirigente della Squadra Mobile e dirigente della Sezione Criminalità Organizzata (che è la sezione collegata al vicedirigente), mentre io dirigevo prima la Sezione Antirapine, poi dal 1993 la Sezione Omicidi. Quelli sono stati praticamente cinque anni di lavoro nello stesso ufficio.
Dal 1997 io ho preso il suo posto di vicedirigente della Squadra Mobile e lui è andato a dirigere - sullo stesso piano dell’edificio, quindi praticamente nella ‘stanza accanto’ - il Centro Interprovinciale Criminalpol Lazio-Umbria-Abruzzo. Ora non c’è più questa struttura interprovinciale: quando lui nel 1999 lasciò quell’ufficio ci fu una rimodulazione, nel senso che fino a quell’anno c’erano stati i centri interprovinciali che dipendevano dalla Criminalpol nazionale e raggruppavano più provincie e regioni; Calipari coordinava tutte le attività di Polizia criminale, per conto della Criminalpol nazionale, nelle regioni Lazio, Umbria e Abruzzo. Io invece ero alla Squadra Mobile ancora, come vicedirigente, al suo posto.
Nel 1999 Calipari è stato trasferito allo Sco, il Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, ed io l’ho raggiunto, dopo circa un anno e mezzo, nella stessa Direzione Centrale a dirigere una divisione dell’Interpol - quindi abbiamo lavorato in uffici collegati, con continui scambi di lavoro per le operazioni all’estero.
Io sono rimasto all’Interpol fino all’estate del 2003, quando sono venuto a dirigere la Squadra Mobile di Roma; Calipari, nel frattempo, era rientrato dal 2001 in questura; è stato un anno all’Ufficio Immigrazione, poi nell’agosto del 2002 è transitato al Sismi.
Questo è un po’ in sintesi il percorso professionale di Nicola Calipari.

Nelle ricostruzioni giornalistiche che abbiamo letto, emerge una figura di Nicola Calipari, soprattutto come investigatore, molti hanno insistito su questa caratteristica. Secondo lei è la sua caratterizzazione professionale più importante?

Sicuramente. Il nostro lavoro nella Polizia di Stato cura diversi aspetti che riguardano la tutela della sicurezza, dell’ordine pubblico, la Polizia amministrativa, questioni attinenti l’immigrazione e gli stranieri, ecc. L’attività investigativa - che sicuramente è quella più conosciuta e in cui il cittadino identifica di più la figura del poliziotto - non è certo quella preponderante, perché è una parte - forse anche minoritaria – dei compiti di tutto l’apparato della Polizia di Stato, ed anche delle altre Forze di polizia.
Ma la storia di Nicola Calipari nella Polizia di Stato è stata quasi esclusivamente investigativa, perché lui ha avuto un incarico nella Squadra Mobile di Genova, poi ha diretto la Squadra Mobile a Cosenza; dall’89 al 97 è stato alla Squadra Mobile di Roma (lo conobbi in quell’occasione perché ero già alla Squadra Mobile); poi, come ho già detto, la Criminalpol e lo Sco, quindi tutta una storia investigativa.
L’unico periodo in cui non ha svolto attività investigativa è stato nell’ultimo anno, 2001/2002, quando ha diretto l’Ufficio Immigrazione della questura di Roma; quella è stata per lui un’esperienza a carattere amministrativo: gestione delle politiche di immigrazione, regolarizzazione delle posizioni degli stranieri e gestione della sanatoria che ci fu in quel periodo; quindi non un’attività investigativa.

Ma, a parte quest’ultimo anno, prima di transitare al Sismi, dal 1989 al 2001 sono stati per Nicola Calipari 22 anni spesi in attività investigative, peraltro in uffici di punta nell’ambito delle indagini di Polizia giudiziaria.
In molte dichiarazioni e interviste, emerge la figura di una persona molto sicura,serena, perfino gioviale. Questo carattere sereno e questo senso di sicurezza che trasmetteva, secondo lei da cosa dipendevano?

Secondo me dipendeva da due fattori, che credo in tutti determinano delle peculiarità comportamentali. Uno il carattere e due la formazione professionale.
Indubbiamene lui aveva un carattere sicuro, con una spiccata autostima, oltre ad un equilibrio nei modi e nella condotta. Questi 25 anni di servizio che ha svolto nella Polizia di Stato hanno ancor più arricchito la sua sicurezza, la sua determinazione; chiaramente nel nostro lavoro si affinano queste capacità di organizzazione, di gestione, di comando, di decisione - perché a volte in questo lavoro bisogna prendere decisioni importanti in pochi secondi - nello stesso tempo bisogna attivarsi con la giusta ponderazione per non prendere una decisione istintiva, ma valutare sempre quali possono essere le conseguenze delle scelte.
Nicola Calipari assommava in se questo giusto equilibrio tra determinazione e decisionismo da un lato, e ponderazione ed equilibrio dall’altra, che ne fanno la miscela migliore per non essere un temporeggiatore che rischia di non determinare quando c’è da decidere e, nello stesso tempo, per evitare che si prendano iniziative intempestive, istintive e poco ponderate che possono portare a conseguenze gravi. Questo lo rendeva un funzionario sicuramente di rilievo nella nostra Amministrazione.

Lei ha mai avuto modo di discutere con Calipari del suo nuovo incarico nei servizi?

No, di discutere no, anche perché quando lui è passato al Sismi io ero ancora alla Direzione centrale della Polizia criminale (la Criminalpol), mentre lui era tornato in questura. Sapevo di questa sua scelta ma non è stata oggetto di discussione.

Mi pare che sia stata considerata una sorta di anomalia il fatto di affidare ad un funzionario di Polizia un incarico del Sismi, io personalmente l’ho visto come un segno molto positivo e di rinnovamento. Lei come la intende?

Anomalia non è una parola corretta. Il nostro sistema di sicurezza è formato da un Servizio di sicurezza civile ed uno militare; in realtà, al di là di questa distinzione, una si occupa di sicurezza interna, l’altra di sicurezza esterna, anche se le loro attività in molti casi si incrociano, soprattutto negli ultimi tempi: la sicurezza interna, ad esempio, nei confronti della minaccia del terrorismo internazionale, va a sfociare in quella esterna; sono organismi che quindi si intersecano, con un organismo di coordinamento che é il Cesis (Segretariato alle dipendenza della Presidenza del Consiglio) che coordina i due servizi proprio perché sono due aspetti di un unico sistema di sicurezza.
Tendenzialmente, nel Servizio segreto civile sono confluiti normalmente appartenenti alle Forze di polizia, mentre in quello militare, normalmente, la componente dei dipendenti è determinata da personale militare, tra cui i Carabinieri perché Forza di polizia e nello stesso tempo Forza Armata. Non c’è, però, una preclusione di appartenenza, infatti nei Servizi possono essere assunti anche i civili; chi ne fa parte deve avere delle competenze, delle esperienze che sono funzionali alle finalità istituzionali del Servizio. Assolutamente non c’è una incompatibilità tra personale civile, o in servizio di Polizia civile, e Servizio segreto militare, soprattutto negli ultimi anni in cui le minacce esterne sono determinate da situazioni di terrorismo internazionale, il cui contrasto rientra tra le attività che le Forze di polizia, civili o militari, svolgono.
Proprio in quell’ottica, l’esperienza investigativa di Nicola Calipari, anche la sua esperienza all’Ufficio Immigrazione, ne hanno determinato un profilo professionale evidentemente utile al Servizio per la sicurezza militare, il Sismi, come dimostrano altre immissioni di personale delle Forze di polizia; quindi non la considererei un’anomalia, probabilmente è dovuta a un’evoluzione anche della materia maggiormente di interesse del Sismi.

Quindi c’è un processo di modernizzazione di queste strutture? Anche sui giornali si è parlato della trasformazione dell’immagine dei servizi italiani, da quelli “deviati”, dallo 007 alla figura di una persona, come Nicola Calipari, che diventa un eroe.

Questo è quello che è stato detto e quello che ha percepito l’opinione pubblica in generale, però è un salto un po’ troppo veloce, da quella premessa a questa conclusione dell’eroe che si immola.
In realtà, al di là dei programmi che non conosco e non sono di mia competenza, posso dire, come già detto in altre occasioni, che indubbiamente i Servizi per le loro caratteristiche si devono muovere nella massima riservatezza. Questo ha comportato negli anni, nei decenni, una scarsa conoscenza da parte dell’opinione pubblica, non solo delle persone, delle loro storie, dei profili, ma anche delle attività dei Servizi. Purtroppo, invece, nei decenni passati, sono apparsi all’attenzione dell’opinione pubblica degli episodi che hanno mostrato (anche con procedimenti giudiziari) situazioni poco piacevoli e negative, come possibili deviazioni di apparati dei Servizi. Questo, secondo me, in maniera sbagliata ha caratterizzato il Servizio segreto militare come fosse un organismo “deviato”, ma sono stati episodi - la ‘pecora nera’ che devia dai compiti istituzionali - come possono essercene nell’ambito della polizia, nel giornalismo, nel settore sanitario, ecc. Però questo ha caratterizzato negativamente l’immagine ed i compiti di quella struttura, mentre l’episodio, purtroppo, della morte di Calipari lo ha rappresentato diversamente, si è capito che i Servizi sono composti da persone che operano in sintonia con i fini democratici, con alta professionalità e anche con la messa a rischio della propria vita.
Questo indubbiamente ha dato, rispetto ad una caratterizzazione errata del passato, una immagine diversa e veritiera dei Servizi.

Si è fatta un’idea del tragico incidente?

Al di là del fatto che c’è un’indagine in corso, per formazione professionale sono abituato a tracciare le mie ipotesi investigative su fatti che tratto direttamente e di cui conosco gli elementi di base e di cui ho notizie dirette.
Qui potrei fare delle ipotesi come tanti, come lei, come qualsiasi cittadino, come l’esperto di queste cose che da una serie di elementi fa un’ipotesi, ma del tutto teorica e infondata. Questo è però contrario alla mia impostazione mentale. Ho notizie che arrivano indirettamente, e non sono sicuro della loro fondatezza.
Nel mio lavoro, quando gli elementi determinano una prova certa io sono in condizioni di dire al magistrato ‘tizio è responsabile di questo delitto’; al limite se non sono certo posso fare delle ipotesi, ma sempre su elementi di fatto che io ho raccolto, io ho constatato, io ho valutato ed io ho collegato a tutti gli altri elementi. Però fare un’ipotesi su una vicenda che non conosco direttamente come valutazione investigativa, come questa che soprattutto è abbastanza complessa e delicata, sarebbe avventurarsi in un esercizio di pensiero un po’ avventato.

Ci sono le inchieste in corso, Rumsfeld ha detto che tra pochi giorni avremo la verità. Lei ci crede?

Io penso di sì. Parto da una posizione mentale ottimistica e di giustizia. Non potrei, per il mio lavoro, avere un’impostazione diversa. Fino a che non ho elementi che mi fanno pensare che in una certa situazione si è offuscato qualche cosa, io parto dalla convinzione che c’è una buona fede nella ricerca della verità: anche in questo caso verrà detta chiaramente. Non ho motivi a priori per ipotizzare una qualche deviazione nella valutazione degli elementi e, quindi, nella ricostruzione; poi se ci dovessero essere si valuterà sulla base di elementi concreti, ma non ho nessun motivo per pensarlo.
Al di là di ipotesi, di fatti raccontati da terzi indirettamente, alcuni punti sono abbastanza chiari; anche perché abbiamo due testimoni oculari, che non è poco. Qualora - questo penso di poterlo dire per giustificare questo ottimismo che non è di facciata - avessimo a che fare con il decesso di una persona senza testimoni potrebbe pensarsi al rischio di versioni non oggettive, ma abbiamo in questa vicenda due testimoni oculari che per gran parte di questo fatto possono dire la loro, l’hanno detta, l’hanno ribadita, continueranno a precisarla. Questa verità, quindi, non può essere scalfita più di tanto e questo ci dà, più che una speranza, una convinzione.

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