Abbiamo intervistato Gabriele Polo, direttore de “il manifesto”,
il giornale per cui Giuliana Sgrena era inviata in Iraq:
da Roma, dove ha incontrato più volte Nicola Calipari, ha seguito
alcune fasi della liberazione della giornalista e della
sua drammatica conclusione
Da quanto stava in Iraq Giuliana Sgrena prima del rapimento?
Stava lì da una decina di giorni; da domenica 23 gennaio. Giuliana è stata rapita il 4 febbraio.
Era l’ultima volta, ma c’era già stata? Da quanto tempo?
Giuliana è stata in Iraq in più occasioni: c’è stata durante la guerra, era ritornata nell’immediato dopoguerra, poi era tornata di nuovo durante il rapimento di Simona Pari e Simona Torretta. Questa era almeno la quarta volta, ma probabilmente c’era già stata durante l’embargo.
Lei è stata rapita tre giorni dopo le elezioni, che cosa aveva visto e scritto sul voto, l’affluenza alle urne, e altri aspetti?
Giuliana aveva raccontato ciò che aveva visto, e in particolare l’esclusione o l’autoesclusione dei sunniti; poi ha fatto le cronache della giornata elettorale. Aveva parlato con gli sciiti di Baghdad. Ha scritto reportage sulle elezioni, ma soprattutto sulla situazione sociale in Iraq. Ha lavorato anche sull’affluenza alle urne a Baghdad.
E’ sempre rimasta nella zona di Baghdhad? Non è mai andata a Nassiryia?
Sì era stata a Nassiryia in un viaggio precedente.
Che tipo di contatti professionali aveva con gli iracheni, ad esempio con l’Iman della Moschea dell’Università?
Giuliana è una giornalista che preferisce raccontare la società piuttosto che fare cronache istituzionali. Le piace raccontare la vita quotidiana delle persone. Quindi in questo contesto avrà avuto dei contatti anche con l’iman della Moschea. Almeno come si fa in genere quando come giornalista ci sono delle persone che ti possono mettere in contatto con altre. Dipende sempre dalle situazioni. In questo caso, per andare lì, Giuliana aveva chiesto il permesso all’iman.
Te lo chiedo perché si sa che in queste situazioni qualcuno dei contatti che ha preso avrebbe potuto allertare qualcun altro.
Io piuttosto credo che tra le persone che lei ha incontrato quel giorno c’era sicuramente qualcuno che poi ha avvisato i rapitori.
Ma tu credi che lei si è fermata davvero troppo tempo in quel luogo ed è per questo che l’avrebbero scelta? Oppure pensi che era già un bersaglio designato?
No, io credo che tutti gli occidentali lì siano un bersaglio, giornalisti o non giornalisti. E se si muovono dagli alberghi e vanno in giro; essi diventano subito un bersaglio concreto. Non credo però che abbiano scelto lei. D’altra parte lo ammette lei stessa che ha contravvenuto un po’ alle regole rimanendo in quel posto per quattro ore. Purtroppo però quello era l’unico modo per realizzare quel servizio. E lei quel servizio lo voleva fare per raccontare l’esperienze dei profughi.
Lei stava anche raccogliendo materiale su quello che era accaduto a Falluja durante e dopo l’assedio?
Io non credo che c’entri qualcosa; la spiegazione vera è che lei era diventata un obiettivo facile. Tra gli occidentali lei è diventata un obiettivo più facile.
Ma Giuliana, secondo te, si è potuta fare un idea sui suoi rapitori, su chi fossero? Erano sicuramente sunniti? Erano terroristi, guerriglieri o che altro?
Lei dice che erano sicuramente sunniti che fanno parte di quel mondo chiamato resistenza. Giuliana non li definisce terroristi, chiamando terroristi in particolare quelli di Zarkawi. Quindi una componente della resistenza che usa metodi violenti, e quindi non accettabili.
Senza legami con Al Qaeda?
No, lei esclude che siano una componente religiosa, pur essendo anche i suoi rapitori delle persone di fede perché pregavano molto, almeno è quello che lei ha visto. In ogni caso si tratta della parte più laica del mondo della resistenza irachena, del mondo della clandestinità irachena, che usa questi metodi che sono indubbiamente diversi da quelli utilizzati da altre resistenze. Qui si attaccano obiettivi militari, anche se in questo caso l’attacco è stato rivolto verso obiettivi civili. I rapitori hanno spiegato a Giuliana che comunque questa è la guerra, che si combatte con tutti i metodi. Hanno sempre precisato però, loro stessi, di non aver nulla a che fare con quelli di Al Qaeda.
Ora passiamo un po’ a te. Come direttore del manifesto, durante il mese del sequestro hai incontrato più volte Nicola Calipari. Ti ricordi che lui abbia mai fatto, parlando con te, un qualche confronto tra il rapimento di Giuliana e quello delle due Simone che poi sono state liberate, o con quello di Enzo Baldoni che invece è stato ucciso?
No, nei nostri colloqui non abbiamo mai parlato di altri sequestri. Abbiamo sempre parlato del sequestro di Giuliana, o al massimo della situazione in Iraq.
La liberazione di Giuliana Sgrena si è avviata con l’arrivo a Baghdad di Nicola Calipari accompagnato da un maggiore dei Carabinieri, distaccato al Sismi. Tu hai mai incontrato questo ufficiale?
No, non l’ho mai visto. Noi abbiamo tenuto le relazioni con il sottosegretario Gianni Letta, con il capo del Sismi, Pollari e con Nicola Calipari che era la persona che operava sul campo. Noi abbiamo incontrato solo queste persone, ed è stato giusto così.
Dalla ricostruzione che ti sei potuto fare, ti sembra chiaro in che modo Calipari, appena arrivato all’aeroporto di Baghdad, in quel momento lì, non dopo, ha espresso il motivo della sua presenza ai militari americani? Anche se non gli ha detto il vero motivo, qualcosa avrà pur dovuto dire. E hai capito chi erano esattamente queste persone e quali funzioni avevano tra gli americani?
C’era un ufficiale di collegamento che si chiama Green, a cui è stato chiesto il supporto tecnico per portare a termine una missione, pur se gli italiani non hanno specificato di quale missione si trattasse, anche perché non erano tenuti a farlo. Probabilmente gli italiani avevano anche delle preoccupazioni. Non l’hanno fatto perché erano preoccupati che la cosa potesse saltare. Gli americani sapevano però della missione: hanno fornito infatti documenti di identità, il permesso di portare le armi, e l’auto, e tutte le cose necessarie per muoversi a Baghdad e poter ripartire da Baghdad la sera stessa. Sappiamo anche che al momento del rilascio della Sgrena, lo stesso Green è stato avvisato che Giuliana era stata liberata, che stava andando all’aeroporto e sull’auto c’era lei con due ufficiali del Sismi.
Quindi sapevano che stava percorrendo quella strada e hanno avuto mezz’ora di tempo per attivarsi. Più in generale, io sono convinto - lo sostiene anche il generale Marioli - che gli americani sapevano da tempo che l’azione di Calipari riguardava il sequestro di Giuliana Sgrena.
C’è questo problema dei due atteggiamenti diversi, quello italiano e quello americano, nei confronti dei sequestri: quello americano contrario, quello italiano più duttile, favorevole alla possibilità di una trattativa. Evidentemente la riservatezza di Calipari era dovuta anche a questo?
Certo, era dovuta anche a questo. Il dover ufficializzare una missione che avrebbe ricevuto un “no” dagli americani. Non erano tenuti a dirglielo e, sostanzialmente, era meglio non dirglielo. E’ stato detto nel momento in cui l’operazione era stata portata a termine; in quella mezz’ora gli americani avevano la possibilità di far arrivare, alle pattuglie che erano su quella strada, l’ordine di non sparare.
Secondo te, questa decisione di Calipari di tacere sul vero scopo della missione, era stata preventivamente concordata con il Sismi e con il governo?
Sì, ritengo che le persone che erano coinvolte in questa vicenda erano assolutamente concordi sul fatto che gli americani non dovevano essere messi al corrente.
Perché tanta fretta di andare via da Baghdad? Poteva essere anche per questo motivo?
Quando si libera un ostaggio, io non me ne intendo, ma credo che la prima cosa per mettere in sicurezza quell’ostaggio sia di portarlo all’aeroporto e farlo andare via immediatamente. All’ambasciata sarebbe stato più rischioso perché avrebbero dovuto attraversare una zona di Baghdad molto pericolosa,dato che l’ambasciata non è nella zona verde. Quella è la decisione più logica.
Il fatto che l’ambasciata sta dall’altra parte della città chiarisce molto sulle scelte di Calipari. Sembra comunque che sia Calipari che il maggiore dei Carabinieri sono stati in contatto diretto per tutto il giorno con Palazzo Chigi.
E quindi tutte le iniziative sono state concordate con i suoi interlocutori?
Sì, tutte le iniziative sono state concordate.
Veniamo all’aereo con cui è arrivato Calipari. L’aereo che stava all’aeroporto in attesa; era lo stesso che ha portato Calipari in Iraq?
Sì, è lo stesso che avrebbe dovuto riportarli indietro; in realtà poi Giuliana è tornata con un altro aereo. Comunque quell’aereo era lì in attesa.
In quale ospedale è stata portata Giuliana Sgrena?
E’ stata portata all’ospedale della base americana di Camp Victory, sia lei che il maggiore, ma il maggiore poi non l’ha più visto.
Quindi le prime cure le hanno date a Camp Victory, ma qualcuno ha scritto che l’aereo ha dovuto girare un’ora....
Sì ma prima, quando Calipari era ancora a bordo. Questo ha comportato un ulteriore ritardo.
Arriviamo al fatale incidente. Gi americani sapevano che stava arrivando all’aeroporto una macchina amica?
Quella pattuglia sicuramente no.
No, intendo gli americani che erano all’aeroporto.
Sicuramente il Comando della base presso l’aeroporto sapeva che stava arrivando quella macchina, perché di questo sono stati avvisati dal generale Marioli. Sono stati avvisati dal momento che la Sgrena è stata liberata, quindi hanno avuto mezz’ora per organizzarsi. Green lo sapeva senz’altro e avrebbe dovuto avvisare.
Ma quelli di Camp Victory lo sapevano?
Non sappiamo se lo sapevano, ma dovrebbe essere una procedura normale.
Del resto non sappiamo che collegamenti ci sono tra Camp Victory e l’aeroporto?
Camp Victory è attaccata dell’aeroporto, penso che una telefonata o via radio...
Anche perché quei famosi 700 metri non sono prima dell’aeroporto, sono prima del check point?
Sì, check point che apre la strada per l’aeroporto, poi ci sono tre, cinque chilometri. Comunque è quel check point che delimita la strada dell’aeroporto.
Si può ritenere che fino al check point la macchina con i tre italiani passasse su un terreno non controllato?
Anche se quella è una zona già molto pattugliata dagli americani ed è una strada che usano soltanto i diplomatici militari; non è la normale strada per l’aeroporto che è molto più pericolosa, ovviamente.
Sull’incidente che altro si può dire?
Si può dire che hanno sparato dal fianco destro senza nessun preavviso; che non è stato acceso nessun faro se non al momento in cui sono partiti i colpi; che hanno sparato sull’abitacolo e non sul motore come prevedono le regole di ingaggio; tra l’altro di fianco, non davanti; che quindi hanno fatto un’azione che metteva in conto l’alta possibilità di uccidere qualcuno.
Adesso abbiamo due inchieste, una americana con i due osservatori italiani che però non potrebbero interrogare i soldati americani che hanno sparato, e poi una della magistratura romana. Secondo te la magistratura romana potrà avere in mano degli elementi concreti?
La magistratura romana dovrebbe, come prima cosa, ordinare una perizia sull’automobile; è l’unica cosa che dovrebbe fare e partire da lì per capire quanti colpi, che tipo di colpi, se erano pallottole tutte uguali, a che distanza sono state sparate...
Sembra, come hai detto, che la pattuglia abbia sparato, non di fronte ma di fianco e dietro.
Sì, la macchina era in movimento e hanno cominciato a sparare, prendendo la fiancata della macchina. La macchina ha continuato a camminare e hanno sparato dietro.
Tu pensi che si saprà la verità? O rimarrà un altro mistero d’Italia?
Come diceva Pasolini, noi la verità la sappiamo ma non abbiamo le prove.
Giuliana si è fatta un’idea più chiara della dinamica di quanto è accaduto?
La dinamica è quella che ti ho raccontato adesso.
Da quello che ti ha detto, quando è stata ferita quanto tempo è passato prima che la raccogliessero?
Circa 10 minuti, un quarto d’ora, però il suo tempo è molto dilatato.
E’ venuta un’ambulanza?
No, un mezzo militare. Andava anche molto piano, ci ha messo un quarto d’ora per portarla all’ospedale.
E hanno preso cellulari e satellitari?
Sì, Giuliana non l’aveva, ma c’erano i cellulari e i satellitari di Calipari e del maggiore.
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