Il processo di unificazione implica
una diversa visione della cooperazione giudiziaria.
E la globalizzazione del crimine rende urgente una nuova struttura
È nota la presa di coscienza dei Governi europei della ormai avvenuta globalizzazione del crimine e della improcrastinabile necessità di affrontare in una dimensione almeno europea l’impegno per contrastare efficacemente il fenomeno.
E’ opportuno chiedersi, però, se il nuovo assetto normativo che disciplina la cooperazione di Polizia e giudiziaria in materia penale sia veramente idoneo a garantire un corretto e rapido sviluppo della collaborazione fra tutti gli attuali 25 Stati aderenti all’Unione, consentendo il raggiungimento di uno spazio comune di libertà e sicurezza.
Finora, gli Stati membri per impostare la loro azione congiunta contro il crimine internazionale, avevano a disposizione strumenti che, introdotti dal Trattato sull’Unione europea, e potenziati al Consiglio di Amsterdam, li hanno obbligati a raggiungere risultati su materie che fino a ieri, per molti Stati membri e sovrani, erano gelosamente considerate di dominio riservato.
Questo risultato è senz’altro in linea con il principio che vuole gli interessi della comunità sempre più sovraordinati rispetto a quelli nazionali. Occorre però verificare quanto i nuovi Stati dell’Unione e quelli ancora candidati, siano veramente pronti a “mettere in comune” questioni che, pur non cessando di essere di competenza nazionale, cessano di essere di competenza “esclusivamente” nazionale.
E’ infatti possibile che, prima di fare ciò, vista la posta in gioco, ogni Stato si adoperi al massimo perché i propri interessi nazionali siano presi in dovuta considerazione nelle decisioni del Consiglio.
Si è assistito, finora, a lunghi ed estenuanti negoziati tra gli Stati membri, prima in seno ai gruppi tecnici e poi in Consiglio, per l’adozione di decisioni che inevitabilmente saranno espressione di un contemperamento di interessi che farebbe perdere all’atto varato la sua efficacia.
Nonostante alcuni progressi raggiunti nel Trattato di Nizza, la persistenza del principio dell’unanimità in seno al titolo VI ha tradito le aspettative di molti Stati membri preoccupati della rigidità procedurale in questo settore.
E’ vero che per creare uno spazio giuridico uniforme è necessario che tutti gli Stati membri siano d’accordo sulle modifiche normative da apportare per avvicinare i rispettivi ordinamenti ma riuscire a mettere d’accordo 25 Paesi su temi così delicati appare un’impresa assai ardua.
Non è più sostenibile tale lentezza delle decisioni, soprattutto in un settore nel quale la criminalità risulta, invece, in piena e rapida espansione e gli atti terroristici sono sempre più contraddistinti da particolare scelleratezza, sempre più indefettibile è dare una risposta concreta alla domanda di sicurezza dei cittadini europei.
Non è un caso che il 18 e 19 ottobre 2004, cinque Capi di Governo e relativi Ministri dell’Interno rappresentanti Italia, Spagna, Germania, Gran Bretagna e Francia, il cosiddetto “G5”, si siano incontrati a Villa Cora in Firenze per raggiungere un accordo intergovernativo su immigrazione, asilo politico, terrorismo e sicurezza.
A prescindere dal risultato raggiunto non è stata velata l’intenzione del summit di accelerare le decisioni su tale materie in ambito istituzionale europeo, proponendo il rafforzamento di Europol ed Eurojust nonché accordi multilaterali con i Paesi terzi da cui provengono i cittadini stranieri anche con misure drastiche, come il discutibile ma attuato “Campo di prima accoglienza” direttamente nei paesi di origine o, addirittura, nei paesi di attracco o passaggio per il successivo sbarco nell’Europa meridionale.
A fronte della crescente domanda di sicurezza dei cittadini europei nonché del crescente dibattito, anche se più recente, sul coordinamento della difesa europea e sull’intervento diretto nei paesi terzi destabilizzati, sotto il profilo democratico, spesso promotori o fiancheggiatori di guerriglie internazionali, l’Europa si va attrezzando per individuare più incisive misure compensative all’abolizione delle frontiere idonee ad ostacolare ogni forma di crimine che possa pregiudicare un sereno svolgimento della vita privata e pubblica nel continente europeo.
La risposta dei governi europei al possibile deficit di sicurezza, nel Trattato dell’Unione, si manifesta non solo nel potenziamento della congiunta opera di contrasto del crimine da parte delle Polizie e delle magistrature europee e nelle iniziative volte a creare uno spazio giuridico europeo ma anche nel rafforzamento della cooperazione Europol, che nel Trattato riveste un ruolo primario.
Così, se l’obiettivo iniziale dell’istituzione dell’ufficio è stato quello di migliorare l’efficacia dei servizi competenti degli Stati membri nella cooperazione di Polizia contro alcune forme, le più insidiose, di criminalità organizzata, il Consiglio di Amsterdam e di Nizza delineano uno sviluppo dell’Europol mirato a forme di operatività che trascendono gli interessi dei singoli Stati membri per tendere alla tutela di interessi comuni nella lotta alla criminalità organizzata.
Segnali ambivalenti sono stati comunque registrati recentemente, come ad esempio l’istituzione di Eurojust senza il corollario del potere di iniziativa penale, almeno in relazione ai gravi crimini internazionali; un inaspettato arresto alla lotta al riciclaggio di denaro provento di reato, alla frode ed alla corruzione, nonostante gli auspici della Commissione; nonché la recentissima iniziativa di istituire la “Gendarmeria europea”, riproponendo inutili duplicazioni delle competenze generali in materia di Forze di polizia, ancora una volta intese ad accontentare vocazioni prettamente nazionali e corporativistiche piuttosto che l’afflato di globalizzazione europea alla lotta alla criminalità.
Iniziative, assolutamente, diastoliche alla consapevolezza che lo sviluppo, in termini tecnologicamente avanzati, della criminalità organizzata può pregiudicare non solo l’esercizio della sovranità nazionale ma anche il processo stesso di integrazione europea.
L’Europa del terzo millennio deve potenziare il settore della difesa, della sicurezza, della giustizia e degli affari interni, con al suo centro Europol ed Eurojust, che si atteggiano a fattore essenziale e vincente per la costruzione europea e della realizzazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia al fine di consentire la legalità nell’espletamento della vita pubblica e privata dei cittadini dell’Unione europea. Quanto sembra essere recepito dalla recente proposta di Costituzione per l’Europa.
La parte III della proposta di Costituzione dell’Europa è dedicata alle politiche e azioni interne, diversamente che nella prima proposta della Costituzione presentata a Roma, e poi revisionata, la quale dedicava la parte in questione alle politiche ed al funzionamento dell’Unione.
Il capo IV, di tale parte, viene interamente dedicato allo “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”, e proprio in questa politica di rango costituzionale viene compresa, e riservata, una apposita sezione, la quinta ed ultima, relativa alla “Cooperazione di Polizia”.
Anche da tale disposizione normativa, si evince che “lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia” per la costituzione europea non è semplicemente un’azione dell’Unione ma un importante obiettivo e più esattamente l’offerta ai cittadini europei di uno spazio nel quale sono riconosciuti il diritto alla libertà, alla sicurezza ed alla giustizia, senza frontiere interne ed un mercato interno nel quale la concorrenza è libera e non falsata.
Non è un caso che tale obiettivo costituzionale segue immediatamente dopo quello primario che si prefigge l’Unione ovvero la promozione della pace, dei valori e del benessere del suo popolo.
Obiettivo ambizioso al quale la Costituzione attribuisce all’Unione addirittura una competenza concorrente.
Quando la Costituzione attribuisce all’Unione una competenza concorrente con quella degli Stati membri significa che l’Unione e gli Stati membri possono legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti in tale settore con il solo limite che gli Stati membri esercitino la loro competenza soltanto nella misura in cui l’Unione non ha esercitato la propria o ha deciso di cessare di esercitarla.
L’aspetto è senz’altro innovativo per il settore della cooperazione di Polizia che finora era dominato da azioni intergovernative e soltanto dopo il Trattato di Amsterdam da atti vincolanti ma mai da regolamenti europei ex art.249 CE.
L’innovazione è meritevole di attenzione, specie se vista alla luce di una apposita disposizione la quale sanziona che d’ora in avanti gli atti giuridicamente vincolanti non possono comportare un’armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. Infatti, tale norma rappresenta una notevole inversione di tendenza rispetto alla precedente adozione per il terzo pilastro di appositi strumenti giuridici che, marcatamente intergovernativi nella fase precedente al Trattato di Maastricht, solo successivamente, assumevano il carattere spiccatamente tendente all’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri in tale delicato settore, le cosiddette decisioni quadro o decisioni vincolanti.
Invece, per Costituzione, il settore dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia sarà dominato da Leggi europee, le quali si atteggiano, secondo i casi, a Regolamento o Direttiva europea, accanto al consueto strumento giuridico vincolante, anche se in regime di competenza concorrente.
Tutti gli obiettivi delineati dall’articolo I-3 sono perseguiti con i mezzi appropriati, in ragione delle competenze attribuite all’Unione nella Costituzione.
Il Capo IV introduce le disposizioni generali sullo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, precisando che l’Unione si impone di realizzare tale spazio nel rispetto dei diritti fondamentali e dei diversi ordinamenti e tradizioni giuridiche degli Stati membri.
L’Unione, nel successivo paragrafo, garantisce che non vi siano controlli sulle persone alle frontiere interne nonché lo sviluppo di una politica comune in materia di asilo, immigrazione e controllo delle frontiere esterne, fondata sulla solidarietà tra gli stati membri ma anche nell’equità di trattamento nei confronti dei paesi terzi.
Come si adopera L’Unione per garantire un livello elevato di sicurezza? Essenzialmente, attraverso quattro misure:
- misure di prevenzione e di contrasto della criminalità, del razzismo e della xenofobia;
- misure di coordinamento e cooperazione tra Forze di polizia e autorità giudiziarie in materia penale e le altre autorità competenti;
- il riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie penali;
- il riavvicinamento, solo se necessario, delle legislazioni penali.
Da non trascurare, l’ultimo paragrafo con il quale l’Unione facilita l’accesso alla giustizia attraverso il riconoscimento reciproco delle sentenze giudiziarie ed extragiudiziali in materia civile.
Il Consiglio europeo resta competente a definire gli orientamenti strategici della programmazione legislativa ed operativa nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
Le proposte e le iniziative legislative presentate per la cooperazione di Polizia e giudiziaria in materia penale devono rispettare il principio di sussidiarietà ed a tale vigilanza sono preposti i Parlamenti nazionali, conformemente agli appositi protocolli siglati che fissano e definiscono il principio giuridico di sussidiarietà e proporzionalità in ambito europeo. Questo inciso significa che i Parlamenti degli Stati membri possono vigilare che la legge europea o, addirittura, la proposta sia avanzata in quanto le autorità nazionali non possono intervenire adeguatamente in tale settore se non con il sussidio dell’Unione e che l’intervento sia proporzionale al fenomeno che si intende contrastare o prevenire secondo le prerogative della stessa Unione.
L’importanza di tale vigilanza è enorme in quanto unico sindacato dei Parlamenti degli stati membri in tale settore.
Invero, nel Trattato che istituiva una Costituzione per l’Europa adottato per consenso della Convenzione europea il 13 giugno ed il 10 luglio 2003, ora cancellata dalla revisione della Conferenza governativa di Bruxelles, si stabiliva che i Parlamenti nazionali potevano, addirittura, partecipare al controllo politico dell’Europol ad alla valutazione delle attività di Eurojust conformemente ai compiti degli stessi uffici prevedendo, ancora, la partecipazione ai meccanismi di valutazione del Consiglio dei Ministri, su proposta della Commissione, nell’adottare regolamenti europei o decisioni per l’attuazione dell’obiettivo europeo dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia ed in particolare quello del riconoscimento reciproco delle sentenze.
Tali controlli parlamentari, evidentemente, rispondevano all’esigenza di completare l’integrazione europea pur rispettando il dominio riservato in alcune materie sovrane degli Stati membri lasciando loro un ruolo di rilievo ai Parlamenti degli stessi Stati membri ed a quello europeo quale rappresentante di interessi europei.
Invece si registra un arretramento del ruolo dei Parlamenti nazionale ed europeo, il revisionato art.III-260 riserva a loro il ruolo di istituzioni non più compartecipi attivamente all’attuazione delle politiche dell’Unione ma meri destinatari dell’informazione dei contenuti e dei risultati della valutazione oggettiva ed imparziale del Consiglio dei Ministri, in collaborazione con la Commissione.
Resta invariato che il Consiglio dei Ministri, e su proposta della Commissione, possa adottare regolamenti e decisioni europee per definire le modalità secondo le quali gli Stati membri, in collaborazione con la Commissione, procedono ad una valutazione oggettiva ed imparziale dell’attuazione delle politiche dell’Unione da parte delle autorità degli Stati membri ed in particolare quello del riconoscimento reciproco delle sentenze giudiziarie ed extragiudiziali in materia civile.
Dei contenuti e dei risultati di tale valutazione, incombe l’obbligo di informazione non solo al Parlamento europeo ma anche ai Parlamenti nazionali degli Stati membri.
L’art.III-261 conferma l’istituzione, in seno al Consiglio dei Ministri, di un “Comitato permanente” al fine di assicurare all’interno dell’Unione la promozione ed il rafforzamento della cooperazione operativa in materia di sicurezza interna.
L’aggettivo operativo alla cooperazione di Polizia venne utilizzato per la prima volta con il Trattato di Amsterdam ma restò lettera morta; la sottolineatura nella proposta di Costituzione d’Europa potrebbe essere interpretata come auspicio favorevole e positivo di una concreta operatività della futura cooperazione di Polizia europea.
Il comitato, ai sensi dell’art.III-344, è costituito dai rappresentanti permanenti dei governi degli Stati membri ed è responsabile della preparazione dei lavori del Consiglio e dell'esecuzione dei compiti che quest'ultimo gli assegna. Il comitato può adottare decisioni di procedura nei casi previsti dal regolamento interno del Consiglio.
Tale Comitato ha il compito di favorire il coordinamento dell’azione delle autorità competenti degli Stati membri ed ai suoi lavori possono essere associati i rappresentanti degli organi e delle agenzie interessate.
Il Parlamento europeo ed i Parlamenti nazionali sono tenuti informati dei lavori eseguiti.
L’art.III-262 ribadisce a chiare lettere che nulla osta all’esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna. Tale dominio riservato era già previsto nei precedenti Trattati sull’Unione europea.
Esaminiamo ora la modifica o l’introduzione di nuovi strumenti giuridici validi per l’intero capo della Costituzione, i quali sono da considerarsi una forte e concreta accelerazione di tutte le attuazioni cooperative degli obiettivi dell’Unione tenendo presente che, ai sensi dell’art.IV-347, una volta entrata in vigore la Costituzione viene abrogato sia il Trattato C.E. che quello sull’U.E.
La cooperazione di Polizia viene trattata nella specifica sezione 5 del Capo IV, il quale recita che l’Unione sviluppa una cooperazione di Polizia che associa tutte le autorità competenti degli Stati membri, ovvero le Polizie, le dogane e gli altri servizi incaricati dell’applicazione delle leggi specializzate nella prevenzione o nell’individuazione dei reati e nelle relative indagini.
Si noti che, come del resto nello stesso Trattato sull’Unione europea tuttora in vigore, non è prevista l’attività repressiva e tale non poteva essere in quanto la repressione resta materia di domino riservato e quindi competenza delle autorità nazionali.
Innovativo, invece, è il paragrafo 2 dello stesso articolo, infatti la Costituzione europea prevede che la legge o la legge quadro europea può stabilire le misure relative al III pilastro, quindi prevede strumenti giuridici tipicamente comunitari, in quanto si atteggiano a regolamenti o direttive a secondo delle circostanze, con l’iter della codecisione. Le misure, attualmente in vigore, sono invece adottate o con lo strumento convenzionale o con le posizioni comuni, le decisioni quadro e le decisioni vincolanti adottate dal Consiglio dei Ministri, ovvero strumenti normativi vincolanti ma privi di efficacia diretta, fatta eccezione per le Convenzioni.
Inoltre, le leggi o leggi quadro europee adottate dal Consiglio dei Ministri possono stabilire la cooperazione operativa tra le autorità competenti degli Stati membri nella prevenzione o per la repressione del reato.
Invero, ed è questa la nota dolente, permane la condizione dell’unanimità per l’approvazione della delibera del Consiglio dei Ministri, previa consultazione del Parlamento europeo. Purtroppo, vista l’esperienza passata, il consenso unanime dei rappresentanti di governo degli Stati membri non depone favorevolmente per la pronta azione di contrasto alla criminalità.
Tuttavia, le misure in argomento riguardano:
- la raccolta, l’archiviazione, il trattamento, l’analisi e lo scambio di informazioni di Polizia;
- un sostegno alla formazione del personale, e la cooperazione relativa allo scambio di operatori, alle attrezzature ed alla ricerca in campo criminologico;
- le tecniche investigative comuni ai fini dell’individuazione di forme gravi di criminalità organizzata.
I compiti dell’Europol vengono indicati nella Costituzione all’art.III-276, punto 1, stabilendo che l’ufficio europeo deve:
- sostenere e potenziare l’azione delle Autorità di Polizia e degli altri servizi incaricati dell’applicazione della legge degli Stati membri;
- la reciproca collaborazione nella prevenzione e contrasto della criminalità grave che interessa due o più Stati membri, del terrorismo e delle forme di criminalità che ledono un interesse comune oggetto di una politica dell’Unione.
Nihil soli rispetto al Trattato in vigore ma vengono taciuti due requisiti essenziali per cagionare l’azione comune degli Stati membri nel settore ovvero quello di organizzazione criminale e la particolare estensione ed ampiezza delle conseguenze del reato. Resta un solo requisito la forma di criminalità grave e transnazionale, inoltre si fa riferimento ad una più generale tutela degli interessi comuni oggetto della politica europea, in questo caso dello spazio di libertà, giustizia e sicurezza.
Il secondo paragrafo dell’articolo in argomento, sanziona che sarà la legge europea a determinane la struttura, il funzionamento, la sfera d’azione ed i compiti dell’Europol.
Tra i compiti dell’Europol, la legge europea può determinare:
a) la raccolta, l’archiviazione, il trattamento, l’analisi e lo scambio delle informazioni trasmesse in particolare dalle autorità degli Stati membri o di paesi o organismi terzi;
b) il coordinamento, l’organizzazione e lo svolgimento di indagini e di azioni operative, condotte congiuntamente con le autorità competenti degli Stati membri o nel quadro di squadre investigative comuni, eventualmente in collegamento con Eurojust.
La lettera b) riproduce una maggiore e concreta operatività dell’Ufficio europeo prevedendo l’intervento e la formazione di squadre investigative miste, tra Ufficio europeo ed autorità nazionali, eventualmente con l’altro ufficio europeo Eurojust.
Oltre alla mancata costituzione concreta di squadre comuni vengono perpetuate due limiti a tale operatività, una che qualsiasi operazione dell’Europol dovrà essere condotta in collegamento e d’intesa con l’autorità dello Stato o degli Stati membri di cui interessa il territorio, ovvero il luogo del delitto, l’altra, e non poteva essere altrimenti, che l’applicazione di misure coercitive, e quindi repressive, è di competenza esclusiva della pertinente autorità giudiziaria nazionale.
Invero, esiste un altro limite già esistente e confermato costituzionalmente ovvero la Corte di giustizia europea non può sindacare la proporzionalità e la validità delle operazioni di polizia o di altre analoghe autorità e nell’esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell’Ordine pubblico. Per inciso, analogamente avviene per i compiti e la struttura di Eurojust, ovvero con una legge o una legge quadro europea adottata dal Consiglio dei ministri, stabilendo gli stessi limiti di operatività.
L’ultimo comma del paragrafo 2 dell’articolo in esame recita che la legge europea fissa inoltre le modalità del controllo delle attività dell’Europol da parte del Parlamento europeo, al quale sono associati i Parlamenti nazionali degli Stati membri. Il Consiglio dei Ministri delibera all’unanimità previa consultazione del Parlamento europeo. Pertanto, trattandosi di atti giuridici comunitari, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha il sindacato di legittimità.
In particolare, esercita il suo controllo di legittimità sulle leggi, sulle leggi quadro europee, sugli atti del Consiglio dei Ministri fatta eccezione dei pareri e raccomandazioni nonché sugli atti del Parlamento europeo e del Consiglio europeo nel caso specifico che siano destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi. Per di più, la Corte esercita un controllo di legittimità sugli atti degli organi o organismi dell’Unione destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi.
A tal fine, la Corte è competente per pronunciarsi sui ricorsi per incompetenza, violazione di forme sostanziali, violazione della Costituzione o di qualsiasi regola di diritto relativa alla sua applicazione, nonché per sviamento del potere, purché sia proposta oltre che da uno Stato membro e dalla Commissione, come attualmente previsto anche dal Parlamento europeo, dal Consiglio dei Ministri.
Questa volta, non sono esclusi dal diritto di impugnazione le persone fisiche, quindi anche il non cittadino europeo, e le persone giuridiche. Infatti, la Costituzione prevede la facoltà di proporre ricorso per legittimità purché siano atti adottati nei loro confronti o che li riguardi direttamente o individualmente.
Il ricorso è consentito anche contro gli atti regolamentari purché non comportino alcuna misura d’esecuzione.
Inoltre, ai sensi dell’art.III 365, paragrafo 5 della proposta di Costituzione, le persone fisiche o giuridiche possono impugnare anche gli atti prodotti dagli organi o organismi dell’Unione purché destinati a produrre effetti giuridici nei loro confronti.
Queste norme ampliano la competenza della Corte, con l’effetto di sindacare qualsiasi atto vincolante o atto regolamentare riguardanti lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
Le condizioni e modalità specifiche relative a tali ricorsi possono essere previsti negli stessi atti istituiti degli organi e gli organismi dell’Unione; salvo diverso avviso, i ricorsi devono essere proposti nei termini di due mesi a decorrere, secondo i casi, dalla pubblicazione dell’atto, dalla notificazione al ricorrente ovvero, in mancanza, dal giorno in cui il ricorrente ne ha avuta conoscenza.
L’art.III-368 prevede che le Istituzioni, l’organo o l’organismo che hanno emanato l’atto annullato o si sono astenuti ad emanarlo contravvenendo alla Costituzione, sono tenuti a prendere le misure che l’esecuzione della sentenza della Corte di Giustizia comporta. Inoltre, nel caso che si astengano a pronunciarsi, in violazione all’obbligo costituzionale, gli Stati membri e le altre Istituzioni possono adire alla Corte per la constatazione di tale violazione, se non è stato preventivamente invitato ad agire.
La Corte di Giustizia dell’Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale, sull’interpretazione della Costituzione e sulla validità e l’interpretazione degli atti delle Istituzioni, organi ed organismi dell’Unione.
Quando la questione è sollevata innanzi la giurisdizione di uno degli Stati membri, il Giudice nazionale può, qualora lo reputi necessario per emanare la sentenza, risolvere la decisione chiedendo alla Corte di pronunciarsi sulla questione, oppure è tenuta a rivolgersi alla Corte qualora non possa proporre ricorso giurisdizionale di diritto interno.
La Corte statuisce il più rapidamente possibile se la persona imputata è detenuta.
La Corte di Giustizia, invece, non è competente riguardo la politica estera e di sicurezza comune, ovvero il II pilastro, ma non nel caso di ricorsi riguardanti il controllo di legittimità delle misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche adottate dal Consiglio nel campo della politica estera e di difesa comune.
La Corte di Giustizia europea resta assolutamente incompetente a riesaminare la validità e la proporzionalità delle operazioni effettuate dalla Polizia o da altri servizi incaricati dell’applicazione delle leggi di uno Stato membro o l’esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna.
Nella formulazione precedente dell’art.III-377 della Convenzione era stata aggiunta la dicitura “laddove gli atti rientrino nel diritto interno”. Presumibilmente tale inciso è stato ritenuto, in sede di verifica, superfluo.
Infatti Europol, quant’anche possa impegnarsi operativamente con proprie squadre investigative negli Stati membri pur svolgendo operazioni congiunte, le misure restrittive verranno applicate esclusivamente dalle autorità nazionali competenti per l’esecuzione delle stesse.
Alla luce di quanto sopra, la persona fisica non può adire la Corte di Giustizia dell’Ue in caso di misure restrittive adottate nei suoi confronti dalle autorità nazionali in applicazione del diritto interno, in quanto resta competente la giurisdizione nazionale, salvo che gli atti adottati dal Consiglio o dagli organi ed organismi non prevedano effetti giuridici nei confronti di essi e delle persone giuridiche per vizi di legittimità, sempre che il ricorso sia proposto nei termini previsti dalla Costituzione o dall’atto impugnato.
Resta confermata la competenza della Corte a pronunciarsi su qualsiasi controversia tra l’Unione e gli agenti di questa, nei limiti e nelle condizioni determinate dallo Statuto dei funzionari dell’Unione e del regime applicabile agli atti degli agenti dell’Unione.
I ricorsi proposti alla Corte di Giustizia non hanno effetti sospensivi, tuttavia può, quando reputa che le circostanze lo richiedono, ordinare la sospensione dell’esecuzione degli atti impugnati.
In conclusione, il cittadino europeo potrà aspirare alla concreta realizzazione egualitaria di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, anche se tale speranza è legata all’esile conclusione del lungo iter di entrata in vigore della convenzione per la Costituzione d’Europa, che già si preannuncia indeterminato per le complesse operazioni di ratifica.
La più volte auspicata stretta cooperazione delle Autorità di Polizia e giudiziarie, soprattutto dal punto di vista operativo è invece tutta da costruire con le nuove disposizioni legislative e atti giuridici vincolanti previste dalla Costituzione. Atteso però l’agnostica riluttanza dei Governi degli Stati membri a rinunciare alle proprie prerogative, specie se attagliano il dominio riservato, quindi giustizia e sicurezza interna ed esterna, tali speranze sono sostanzialmente legate alla soluta integrazione politica dell’Unione europea.
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