L’autore di questo scritto, già funzionario
della Polizia di Stato, ricorda Calipari
che aveva conosciuto all’Ufficio stranieri
della questura di Roma
Non esistono parole che possano recare un pur minimo conforto. Tutti i “tutori dell’ordine”, qualsiasi servizio svolgano, in uniforme o di intelligence, sono accanto a Nicola Calipari, alla moglie Rosa Maria, ai figli Silvio e Filippo, al fratello Maurizio, alla madre Rachele, commossi ed attoniti in rispettoso silenzio. Onorano il collega caduto nel modo più eroico e tragicamente sublime: dando la vita per salvare un’altra persona per la cui liberazione si era battuto con successo in un ambiente d’odio e terrore. La morte in servizio come atto d’amore assoluto.
Non ho lavorato direttamente con Nicola. Ne sentivo parlare dai miei vecchi collaboratori di Genova e di Roma. Sembrava che , dalla Squadra Mobile di Genova poi a quella di Roma ci succedessimo su una stessa strada: io ormai anziano ed emarginato, lui giovane e promettente. Mi giungevano giudizi di ammirazione ed elogio, soprattutto da parte dei più severi esaminatori di ogni Capo, gli appuntati e marescialli di un tempo, quelli che sembrano avere la saggezza antica di tutta la Polizia nel sangue. Anche i cittadini che avevano avuto a che fare con lui ne avevano sempre un ricordo di stima e rispetto. Ero desideroso di conoscere quel funzionario preceduto dai tratti del “vero poliziotto”, professionalità ed umanità. Infine pochi anni fa ci eravamo incontrati all’Ufficio Stranieri di Roma che lui dirigeva, dov’ero andato a trovarlo con un collega. Ero da poco rientrato in Polizia dopo le mie peripezie. Si era alzato per venirmi incontro, mi aveva espresso il piacere di potermi conoscere personalmente e ringraziarmi per le battaglie professionali e democratiche fatte.
Ogni suo gesto, ogni parola, il sorriso dolce e deciso, mi dava conforto. Lo guardavo ammirato: ero io che gli ero grato. Era lui il “nuovo funzionario di polizia” che nei tremendi anni di piombo avevamo sognato, destinato ad operare nello spirito della “nuova Polizia” non più separata, ma pronta ad esprimere sempre, ovunque e a chiunque, il senso ideale del servizio verso la collettività e il Paese.
Nicola Calipari era la perfetta simbiosi tra tutta la severità professionale intelligente ed astuta e tutta l’umanità disponibile e delicata del funzionario di Polizia che sa dare fiducia e sicurezza al cittadino e alle istituzioni democratiche. Ci eravamo salutati con un abbraccio. Non l’avevo poi più incontrato. Le nostre strade si erano forse ancora sfiorate quando nel maggio 2003 il prefetto Pecoraro mi aveva chiesto per conto del Capo della Polizia la disponibilità ad andare in Iraq. Sorpreso per l’improvvisa richiesta avevo risposto di essere pronto, pur facendo notare le esigenze di Cepol-Accademia Europea di Polizia di cui mi stavo occupando e di cui era imminente la Presidenza Italiana dell’Unione Europea. Poi silenzio assoluto. Avevo continuato il mio compito come capo della delegazione italiana per Cepol con risultati positivi per l’Italia. Ma già nel giugno 2003 con la quinta consecutiva “non promozione” era stato deciso il mio congedo d’ufficio. Chissà, quel discorso avrebbe potuto essere ripreso e forse avrei potuto essere utile ancora, magari anche al povero Calipari. Ma gli insondabili percorsi del destino passano forse anche attraverso la contraddittorietà dell’arcipelago Polizia: dall’eventuale Iraq alla rottamazione.
Oggi e sempre rendiamo onore a Nicola Calipari, che ha dato la vita in una situazione che sublima nella maniera più catartica e trascendente la sua simbiosi di coraggio, professionalità e altruismo. Trattando con nemici feroci, affrontando pericoli estremi, sacrificando se stesso per salvare la vita della signora Sgrena, giornalista del “manifesto”, ha mostrato che l’abnegazione del vero funzionario mira esclusivamente alla sicurezza del cittadino, del prossimo, chiunque esso sia e qualsiasi convinzione esso abbia.
Ha cancellato qualsiasi minima prevenzione ci fosse magari mai stata. Gli accertamenti anche giudiziari stabiliranno l’esatto svolgersi degli eventi, ma già si staglia gigantesca e straordinaria nella storia della nostra Polizia e quella non sempre limpida dei Servizi, la sua dimensione di vero funzionario “eroe” italiano. E per chi ha fede, quella di un cristiano che ha dato la vita per il prossimo, per l’Umanità.
Il suo cuore è stato fermato dal fuoco “amico” nell’insanguinata terra d’Iraq; il suo spirito vola come un angelo accanto a quel Dio che lo ha richiamato a sé forse proprio per le ali di coraggio e di amore che aveva per tutti. Il dolore dei suoi familiari è assoluto, indicibile.
Possono essere certi che per i poliziotti, per gli italiani, per tutti coloro che credono e si battono per una società migliore, Nicola è vivo e volteggia loro accanto col suo sorriso di angelo eterno. Fare sempre bene il nostro lavoro é il modo per rendergli onore.
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