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Aprile-Maggio/2005 - Articoli e Inchieste
Iraq
La tragedia: un’ ipotesi induttiva
di Leandro Abeille

È complesso fare un’ipotesi sulla tragedia che ha portato alla morte di Nicola Calipari, un poliziotto diventato capo dell’Ufficio operazioni internazionali del Sismi. Sulla sua vita è stato giá scritto tanto e purtroppo anche sulla sua morte.
Una morte violenta, un assassinio. Solo dall’analisi dell’azione, della situazione sociale e dalle condizioni psicologiche dei partecipanti, potremo capire quale è stato il movente, di un omicidio. Senza sostituirsi agli investigatori o ai giudici questo studio vuole formulare un’ipotesi, uno sforzo sincero per tentare di capire ed imparare, per impegnarci perché cose simili non accadano piú. Ricostruendo ed investigando, con gli strumenti della ricerca sociologica e della criminologia investigativa tramite le cosiddette “storie di vita”, in questo caso, le informazioni riportateci dai giornalisti su quello che probabilmente è successo e su quello che hanno dichiarato i testimoni della vicenda. Per capire se fu un omicidio premeditato, volontario o il concatenarsi di eventi che hanno fatto premere un grilletto quando invece, quella stessa mano avrebbe dovuto inserire una sicura.
Probabilmente non sapremo mai tutta la veritá su di una disgraziata, piovosa, serata irachena, forse conosceremo una veritá giudiziaria, in ogni caso nessuno sará soddisfatto.
Ci rimetteremo tutti. Nicola Calipari e la sua famiglia, i servizi segreti, gli ufficiali di collegamento, le Forze armate, l’Italia e gli Usa, a mio avviso ci rimetterá soprattutto chi ha sparato. Convivendo con il rimorso, terribile, di aver ucciso un “amico”.

L’omicidio premeditato: la teoria del complotto.

Nelle ore immediatamente successive al fatto, le notizie, anche le piú incontrollate, rimbalzavano tra i telegiornali e la rete, diceva Pier Scolari, compagno della Sgrena: “Gli americani volevano uccidere Giuliana. E’ stato un agguato(1)”, “Gli americani hanno fermato le macchine che stavano trasportando Giuliana, hanno sparato 3-400 colpi ed hanno ucciso un uomo, senza alcun motivo”. “Ci troviamo di fronte alla follia più assoluta e siamo nelle mani di pazzi. Hanno messo a rischio la vita di tutti. Non possiamo rimanere lì un minuto di più(2)”. S’inizia a far strada un terribile dubbio: una macchina crivellata di colpi, colpita da forze statunitensi informate del passaggio della macchina del Sismi(3). La mente corre al monito dei rapitori a Giuliana Sgrena: “gli americani non vogliono che tu torni(4)”.
I due sopravvissuti italiani parlano di un viaggio fin lí, tutto sommato tranquillo, di un faro puntato contro di loro, di una decina di secondi di fuoco, di circa 3-400 colpi(5) sparati contro di loro e poi solo grida in inglese, dolore e disperazione.
In molti gridano al complotto, “volevano uccidere Giuliana” - dicono, altri sono increduli, non si capacitano di come possa essere possibile. Inizia il ballo delle responsabilitá. “Gli Usa sapevano” - si dice da subito, i comandi militari americani invece negano. Il gen. Casey comandante delle truppe statunitensi afferma che nessuno della coalizione sapeva nulla della liberazione della Sgrena(6). “Trovo assurdo formulare l'ipotesi che i nostri uomini e le nostre donne in uniforme abbiano sparato deliberatamente su singole persone, su civili innocenti. E’ semplicemente assurdo” -dice Scott McClellan, portavoce della Casa Bianca, rispondendo al sospetto delle accuse di complotto(7). Dopo queste dichiarazioni, l’Italia si divide tra i sostenitori del tentativo premeditato di uccidere Giuliana Sgrena e chi non ci crede.
Le motivazioni dei dubbiosi si basano su un teorema: 3-400 colpi, almeno cal. 5.56, assicurano, in una macchina, una Toyota Corolla non blindata, sopravvivenza zero. Come è possibile che ci siano dei sopravvissuti?
Perché una volta che la macchina è stata fermata, se volevano realmente uccidere la Sgrena, non l’hanno fatto? Se gli assalitori avessero voluto uccidere la Sgrena, avrebbero potuto farlo nel secondo momento, era buio, pioveva, c’era il coprifuoco(8), nessuno li avrebbe visti, nessuno li avrebbe denunciati, non avrebbero rischiato nulla ed invece si sono comportati in maniera diversa.
“La tesi dell'agguato per uccidere Nicola Calipari o Giuliana Sgrena è assolutamente infondata(9)” è stato “un incidente” - dice il ministro degli Esteri Fini in Parlamento, “i militari americani accortisi dell’errore hanno addirittura chiesto scusa(10)” e trasportato i feriti in ospedale.
La teoria del complotto subisce lo scossone finale quando il gen. Marioli nel suo rapporto alla magistratura militare scrive: “Chiedo a Calipari se devo dire qualcosa all'alleato Usa dell'operazione per la liberazione dell'ostaggio, ma la risposta è che l'alleato non doveva essere informato in alcun modo” ed ancora: “se dovevo avvertire l'alleato visto che stavano rientrando in aeroporto con Giuliana Sgrena a bordo. Mi veniva risposto "no", nonostante abbia fatto presente che il mancato avviso poteva significare aspettare anche quindici minuti davanti al check point di ingresso nell'aeroporto(11)” . Gli americani non sapevano nulla.
Si verrá a scoprire, in seguito, che la macchina è stata attinta da 8 colpi(12) di questi, uno solo ha ucciso Calipari colpendolo alla testa(13), gli altri hanno fatto esplodere i vetri dell’autovettura dando, agli altri occupanti della macchina, sorpresi ed impauriti, l’impressione di una pioggia di proiettili(14). Da questa percezione, tanto erronea quanto comprensibile, parte la ricostruzione delle prime ore successive all’incidente, che porterá alle accuse di premeditazione nei confronti dei soldati Usa.

L’ipotesi dell’incidente: il “Fuoco amico”

Si definisce “fuoco amico”, quando, in buona sostanza, ci si uccide tra alleati. E’giá successo in Iraq ed in Afghanistan, succede da quando le armi sono diventate cosi a lunga gittata che non si riconosce piú a chi si sta sparando e possiamo essere certi che succederá ancora.
E’stato un incidente dovuto al cosiddetto fuoco amico? Entriamo ancora nel campo delle ipotesi. Probabilmente, se d’incidente si è trattato, non si é verificato per una sola causa, ma per una serie di scelte e di concause, assolutamente marginali se considerate singolarmente, che insieme, peró, hanno scatenato una tragedia. Incidente non vuol dire che non ci siano delle colpe ma all’identificazione delle stesse o di un eventuale fatto-reato indagherá una commissione d’inchiesta e la magistratura.
Le scelte:
- Le forze americane non sono state informate. Secondo la testimonianza del Gen. Marioli, gli alleati non dovevano essere informati. La scelta di non informare del trasporto di Giuliana Sgrena all’aeroporto, puó essere stata dettata da motivi di segretezza, avvisando i comandi americani, i quali avrebbero girato la notizia alle singole pattuglie, poteva provocare una disseminazione incontrollata di un’informazione sensibile. In pratica, dopo poco, tutti, ma proprio tutti, militari, Forze di polizia, forze fedeli alla coalizione ma anche forze ostili, avrebbero potuto sapere che: una macchina non blindata, scortata da due soli agenti, stava transitando per le vie di Baghdad. Tre occidentali, di cui, due agenti governativi, sarebbero stati una preda troppo facile per eventuali altri gruppi di terroristi. Meglio viaggiare in incognito come una normale auto irachena.
- Rientrare subito in Italia, senza attendere qualche ora per organizzare un trasporto protetto. Questa scelta è stata probabilmente dettata da motivazioni psicologiche e d’opportunitá, come gia sostenuto(15), si voleva evitare alla Sgrena lo sforzo dell’interrogatorio con i magistrati iracheni e con i militari Usa, dopo lo stress accumulato da un mese di prigionia.
- La macchina senza dispositivi di riconoscimento occultati, da mostrare anche a distanza, in caso di necessitá. Non si potevano installare dispositivi di riconoscimento su una macchina a noleggio, che avrebbe potuto essere ceduta ai rapitori in cambio di un’altra, né tantomeno, si poteva mostrare a distanza una “paletta” d’identificazione come quelle che hanno le macchine “civetta”in Italia. Le truppe statunitensi, come anche la Polizia irachena, non conoscono questo tipo di segnaletica ed avrebbero potuto fraintendere.
Le concause:
- La velocitá dell’auto. Gli americani dicono che l’auto aveva un’andatura sostenuta, gli italiani smentiscono. Giuliana Sgrena sostiene: “Comunque siamo arrivati su questa strada, tutta allagata, la macchina ha sbandato e ho detto: 'Ma guarda tu se ora andiamo a sbattere'. Poi quella frase, `ancora settecento metri', e subito i colpi(16)” . Tuttavia, sostengono i sopravvissuti: “non viaggiavamo veloci(17)”. Un’andatura moderata che ha provocato una leggera sbandata, sotto la pioggia battente, con l’asfalto della strada piuttosto liscio. E’un gioco di differenze culturali, ad esempio, per noi italiani viaggiare a 60 km/h in cittá, in una strada deserta, é considerata un’andatura moderata. A Roma sarebbe considerata ai limiti “del latte alle ginocchia”. In America no. Negli Stati Uniti i privati cittadini viaggiano in cittá al massimo a 50 km/h (35mph), quei pochi che vanno piú veloce, sono multati, con poche discussioni. Com’è stata considerata quella macchina che andava ad una velocitá moderata? Per gli americani andava troppo veloce e forse, alla vista del check point ha anche rallentato inaspettatamente. Ad ogni modo i soldati, abituati ad un altro tipo di comportamento stradale, l’hanno percepita come “sospetta”.
- Le differenze culturali. Non tutti hanno il nostro stesso sistema di riferimento o universo simbolico. Le Forze dell’ordine ed i militari a volte agiscono all’estero come se si trovassero ancora nel loro paese. Un marine il Sgt. Jimmy Massey dice a la Repubblica: “Ci sono voluti due giorni perché ci spiegassero che il nostro alzare il braccio per intimare l'alt era interpretato come un gesto di saluto(18)”. Il risultato? Le macchine degli iracheni non si fermavano a quello che non reputavano un “alt” ma un saluto ed i soldati sparavano. Un buon numero di civili inermi sono stati scambiati per pericolosi terroristi dagli americani che hanno aperto il fuoco e li hanno uccisi. “A volte le logiche sulla sicurezza degli americani ci sfuggono. Ad esempio, quando tornai dopo l’attentato alla base di Nassiriya all'una di notte all'aeroporto, bloccai la macchina cento metri prima del check point Usa e avanzai a piedi, mani alzate e l’identity card in mano. Il soldato mi disse che avevo esagerato e per loro - lo vidi poi nei check points successivi - nulla era cambiato, nonostante ció che era successo(19)” .
- Lo stato mentale (attitude) delle truppe Usa. Come dichiarato da McClellan: “L’autostrada dell’aeroporto a Baghdad è un posto dove gli insorti compiono attentati con le autobomba, e sparano sui nostri soldati. E’ la più pericolosa dell’Iraq, una zona di combattimento che spesso costringe le nostre truppe a prendere decisioni in una frazione di secondo per la loro sicurezza(20)” I terroristi hanno usato ogni mezzo subdolo per tentare di uccidere piú militari (e civili) possibile. Hanno usato mortai, cecchini, autobomba, trappole esplosive occultate, e, con i kamikaze, la fantasia dei terroristi si è sbizzarrita: hanno usato kamikaze, uomini, donne e adolescenti, a piedi, alla guida d’utilitarie o di camions, furgoni o carretti. Di tutto. Non esiste un modo troppo fantasioso per mascherare un attentatore suicida. Come sappiamo, un compito dell’ “intelligence” è anche quello di prevenire “queste fantasie”e allora ogni giorno, arrivano ai militari della coalizione avvisi che li mettono in guardia da tutto, compresi i bambini, le ambulanze o le donne incinte(21). Non ci sono delle macchine stile “Terminator” ad un check point, non ci sono i robot guardiani dei fumetti di “Nathan Never”, ci sono ragazzi, poco piú che teenager, con la capacitá di discernimento che contraddistingue gli esseri umani con paure, bisogni, aspirazioni. Ragazzi, spesso provenienti dalle zone povere, dai ghetti, alcuni non sono neanche cittadini americani, ma lo diventeranno. “Per loro l'America è veramente la terra della libertá, della ricchezza, delle opportunitá, dove pur se miserabili si ha peró una chance, una possibilitá di costruirsi una vita normale, civile, forse agiata, magari addirittura arricchirsi, onestamente, in modo pulito. E ora si trovano in un paese di cui non capiscono la lingua, la storia, il motivo stesso dell'ostilità nei loro confronti. Vedono altra gente povera, disperata come loro, che peró gli è ostile, gli spara contro, se puó tenta di ucciderli, sia loro sia altri loro stessi concittadini... e non capiscono. Non capiscono perché questa popolazione disperata che come loro ora vive di stenti, ma che ha un diverso senso di appartenenza, rifiuti la libertá e il sogno americano di cui loro sono portatori, e in cui loro stessi credono, perché è la loro unica possibilità di riscatto sociale(22)”. Non capiscono, forse odiano, sicuramente si sentono bersagli di gente che non li vuole e di altri che tentano di farli esplodere, allora, a volte sparano troppo in fretta ed uccidono, a volte sparano troppo tardi e muoiono dilaniati dall’ultimo, in ordine cronologico, uomo-bomba.

Era possibile evitare l’incidente?

Da quanto esposto l’ipotesi dell’incidente sembra la piú probabile, a chi o a cosa addossarne le responsabilitá rimane piuttosto complicato.
Non possiamo accusare né le scelte, prese “sul campo” da Nicola Calipari, avallate dai vertici dei nostri servizi, che solo a posteriori, dopo qualche tempo e decine di “moviole”, possono rivelarsi erronee ma che purtroppo sono inevitabili in una pianificazione cosí complicata come la liberazione di un ostaggio in una zona ad alto rischio. Gli esperti potranno sostenere che forse era meglio fare in un modo o in un’ altro, meglio andare in ambasciata, meglio farsi scortare dagli americani. A mio parere e da quanto ho potuto ricostruire, gli agenti del Sismi hanno fatto le scelte giuste, solo che, in certi casi, non esistono scelte perfette.
Pur non dimenticando che, il controllo del territorio è un’attività delle Forze di polizia e non dei militari(23), non possiamo accusare i soldati Usa, vittime loro stessi, di uno stress anormale che li conduce a reazioni cosi veloci da sembrare piú dettate dall’istinto di conservazione che ragionate e pianificate. Non è colpa della loro giovane età, non è colpa dell’addestramento che ricevono, non è colpa del loro background socio-culturale. Probabilmente, tutti noi, nelle loro stesse condizioni, ci comporteremmo come “americani”.
Un accusato c’è di sicuro: il terrorismo. Un terrorismo più pernicioso di una bomba al fosforo, ti si attacca così tanto addosso che per staccarlo ti devi tagliare la tua stessa pelle. Terrorismo, quello che in Iraq uccide, rapisce, ricatta tutti: civili, militari, poliziotti, giornalisti, politici, perfino la comunitá internazionale, quello che usa metodi criminali sempre nuovi, sempre diversi e sempre piú micidiali, che definire vigliacchi sarebbe riduttivo. La strategia dei terroristi sta vincendo, ha disseminato il terrore, ha creato i prodromi dell’insicurezza sociale, politica ed economica: lo stato del terrore dove tutti hanno paura dell’“altro”.
Nicola Calipari non è morto per il colpo sparato da un militare americano che ha reagito a quello che percepiva come una situazione a rischio, un possibile attacco terroristico. Calipari è morto perché dei terroristi hanno rapito Giuliana Sgrena.
Non dimentichiamolo mai.

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Note

(1) El. Pa.- Scolari accusa: “Un agguato” Gli 007: “È da escludere” -, Il Messaggero, 6 marzo 2005.
(2) la Repubblica (on line), 4 marzo 2005.
(3) Giovanni Bianconi, Fiorenza Sarzanini, La Cia all'aeroporto era stata, informata, Corriere della Sera, 8 marzo 2005.
(4) Alessandro Mantovani: Intervista a G. Sgrena, La notte piú lunga della mia vita, il manifesto, 11 marzo 2005.
(5) Giovanni Bianconi, Fiorenza Sarzanini, La Cia all'aeroporto era stata, informata, Corriere della Sera, 8 marzo 2005.
(6) Iraq hostage shooting probe opens, www. Bbc.co.uk, martedi 8 marzo 2005.
(7) Ennio Caretto - Casa Bianca: “Assurdo parlare di agguato”-, Corriere della Sera, 08 marzo 2005.
(8) I misteri del check point, "Nessuno ci aveva informati", www.repubblica.it, 5 marzo 2005.
(9) Renzo Rosati, Sgrena: perché non convince, www.panorama.it, 8 marzo 2005.
(10) Calipari ucciso da soldati ragazzini, www.panorama.it, 8 marzo 2005.
(11) Claudia Fusani, “Il Sismi mi ordinò due volte Non dire nulla agli americani", www.repubblica.it, 12 marzo 2005.
(12) Renzo Rosati, Sgrena: perché non convince, www.panorama.it, 8 marzo 2005.
(13) Un solo colpo alla testa: così è morto Calipari, www.panorama.it, 6 marzo 2005
(14) Giovanni Bianconi, Le prime foto dell’auto e i dubbi sugli spari, Corriere della Sera, 10 marzo 2005.
(15) Ugo Cubeddu, “L’ordine era: partire subito e senza avvertire nessuno”, Il Messaggero, 6 Marzo 2005.
(16) Alessandro Mantovani: Intervista a G. Sgrena, La notte piú lunga della mia vita, il manifesto, 11 marzo 2005.
(17) Bush: “voglio la veritá”, www.panorama.it, 7 marzo 2005.
(18) Riccardo Stiglianó "Noi, killer ai checkpoint le regole non ci sono più", www.repubblica.it, 10 marzo 2005.
(19) Andrea Angeli, ex Portavoce della Coalition Provisonal Authority in Iraq, giá Portavoce Onu nei Balcani 93/03, attualmente é Portavoce UE Skopje, intervista del 17 marzo 2005.
(20) Ennio Caretto, - Casa Bianca: “Assurdo parlare di agguato” -, Corriere della Sera, 08 marzo 2005.
(21) Sarebbe scorretto pensare che diffidare di tutti sia un comportamento esagerato, vi siete mai chiesti perché alle carrozzine per bambini viene impedito l’accesso in (alcune) banca? La mamma che se vuole entrare lo deve fare con l’infante in braccio.
(22) Il corsivo è di Mariangela Falabella, Psicologa, Psicoterapista e Counselor, V. Presidente dell’Istituto di Ricerche Psicosomatiche e Psicoterapeutiche.
(23) Cfr. “Iraq: Cosa è andato storto”, Polizia e democrazia, dicembre 2004

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