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Aprile-Maggio/2005 - Articoli e Inchieste
Iraq
Forse in "agguato" ma contro chi?
di Stefano Chiarini

Una ricostruzione del tragico episodio del
4 marzo, sulla base del percorso seguito
dall’auto con a bordo Nicola Calipari,
Giuliana Sgrena e il maggiore del Sismi,
rende poco comprensibile la
presenza della pattuglia americana che ha
sparato: forse attendevano qualcuno,
anche se non necessariamente i tre italiani


Circa venti minuti per arrivare dal luogo del rapimento (all'Università di Jadriyah), alla casa prigione, venti-venticinque minuti per arrivare dalla villetta al luogo dove Calipari ha trovato in un'auto Giuliana Sgrena (sembra nel quartiere di al Mansour), venti-venticinque minuti per arrivare da qui alla tragica curva della strada per l'aeroporto dietro la quale era appostata la pattuglia americana che, sostengono i comandi Usa, si sarebbe trovata lì per proteggere il passaggio di un ambasciatore come Negroponte che va sempre all'aeroporto in elicottero e mai in automobile, per evidenti ragioni di sicurezza. Se non altro per coerenza, poiché lui stesso ha emanato un ordine a tutti i diplomatici Usa di non percorrere mai in auto quella strada.
Tutta la vicenda del rapimento di Giuliana Sgrena sembra essersi svolta nella parte ovest della città, nel raggio di qualche chilometro attorno all'alta torre di Saddam Hussein, nella zona di al Mamoun. Una serie di quartieri come al Mansour, al Rashid, al Khadra, al Ameriyah, e, più a nord, al Ghazaliya, particolarmente ostili alle forze occupanti e roccaforti della resistenza irachena "patriottica" in quanto abitati in gran parte da membri e ufficiali dell'esercito iracheno, dei servizi e delle forze di sicurezza, sciolti dall’Amministrazione Usa, nonché da dipendenti di vari ministeri, che avevano ricevuto dal governo un pezzo di terra e il cemento per potersi costruire delle villette, modeste ma confortevoli, uni o bifamigliari. Qui ad al Mansour sorgeva il comando dei servizi segreti, e poco lontano, al di là dell'aeroporto, verso abu Ghraib, in un hangar abbandonato, in vista di una possibile occupazione del paese, negli anni Novanta, si tenevano i corsi "di addestramento alla resistenza diffusa" del "Direttorato per le operazioni speciali". In altri termini a girare da queste parti sembra proprio che una parte dell'esercito nazionale iracheno - in quanto tale mai arresosi formalmente agli occupanti - non si sia affatto sciolta ma stia ancora combattendo.
Da questo punto di vista l'uso, di una macchina civile per portare in salvo Giuliana Sgrena da parte di Nicola Calipari e il non tornare in ambasciata dall'altra parte della città, era in realtà l'unica scelta possibile per poter sperare di arrivare sani e salvi all'aeroporto. Secondo le prime testimonianze l'auto con a bordo il maggiore “corsaro”, Calipari e la Sgrena si sarebbe diretta verso l'aeroporto senza transitare sui primi dieci chilometri dell'autostrada, i più pericolosi. Non si sa con certezza dove la Toyota Corolla si sia inserita sulla striscia di asfalto, che porta all’aeroporto prendendo quella curva a destra dove l'attendeva, al buio al lato della strada, la pattuglia Usa che ha aperto il fuoco contro l’auto. Ma dove si trova quella curva fatale? Dalle prime testimonianze emerge che la curva si sarebbe trovata "a 700 metri dell'aeroporto". Se con tale espressione si intende l'aerostazione vera e propria, allora l'agguato sarebbe avvenuto lungo la curva che, nei pressi di uno sbarramento di cemento, tira verso destra per poi adagiarsi davanti al terminal. In tal caso, la pattuglia Usa sapeva perfettamente che la Toyota Corolla aveva già superato di sicuro (non essendoci altre strade), il primo grande check point dove le auto autorizzate devono semplicemente rallentare e non fermarsi dal momento che la zona è sorvegliata e controllata elettronicamente. Prima del check point il traffico viene canalizzato in due corsie, separate da una divisione in cemento. La prima conduce ad una specie di dogana dove le auto vengono perquisite da personale delle società di sicurezza coadiuvato da uomini dei servizi americani, poi riprese da una telecamera montata in un camion della Cia con un computer che controlla sia gli automezzi che i guidatori; quindi, duecento metri più avanti, le auto “non Vip” vengono di nuovo perquisite e infine fatte entrare in un grande parcheggio da dove si può proseguire solamente in autobus o a bordo di alcuni taxi molto selezionati. I mezzi delle ambasciate, dei contractors, dell’esercito Usa, prendono invece la seconda corsia e dopo un breve controllo proseguono per l’aeroporto.
Le misure di sicurezza sono così severe che, dopo il primo check point, a 5 chilometri dall'aeroporto, sulla destra c'è un grande cartello verde nel quale si invitano le scorte a mettere la sicura alle armi in quanto ormai in zona sicura.
Più probabile però che al momento della tragedia l’auto con a bordo Giuliana Sgrena, il maggiore del Sismi e Nicola Calipari, fosse a circa 700 metri non dal terminal ma proprio da questo grande check point al quale era giunta dopo aver percorso varie traverse interne (ma in tal caso la presenza di un’auto apripista ci sembra probabile) attraverso al Mansour, al Mamoun e al Qadra (dove c'è uno dei più grossi distributori abusivi di benzina della zona lungo la strada per Ramadi), per poi immettersi nell'autostrada all'altezza del sottopasso di Ameriya, solitamente allagato. Dopo aver svoltato a destra sulla strada per l'aeroporto qui generalmente si tira un sospiro di sollievo dal momento che subito lì a destra inizia Camp Victory, la grande base Usa, e poche centinaia di metri più avanti si vedono le luci del check point.
Anche in questo secondo caso l'attacco alla macchina (dando per buona l'improbabile versione dei soldati che avrebbero sparato per paura: di che non si sa, visto che nascosti nel buio nessuno poteva vederli), appare altrettanto ingiustificato dal momento che in ogni caso poche centinaia di metri più avanti il mezzo sarebbe stato costretto quasi a fermarsi senza alcuna conseguenza per i soldati Usa. A meno che quei soldati appostati nel buio non avessero un altro obiettivo.
L'Oxford Dictionary alla voce check point recita: "Luogo presso il quale vengono controllati o ispezionati documenti, veicoli etc". Quindi un luogo visibile e illuminato in modo che i veicoli possano riconoscerlo, ridurre la velocità e farsi ispezionare dopo che, a causa di una serie di opere murarie, sbarramenti di cemento, piccole trincee nel manto stradale, gimcane, si sono già praticamente fermati o hanno rallentato al massimo la loro velocità. Senza dubbio il check point a circa 5 chilometri dall'aeroporto di Baghdad, in vista del quale Nicola Calipari aveva acceso la luce interna dell'auto per rendere ancor più evidente chi si trovasse a bordo della Toyota Corolla, risponde in pieno a questa descrizione. Non così il luogo dove la pattuglia americana ha ucciso il funzionario del Sismi, ferito un altro funzionario italiano e Giuliana Sgrena, dal momento che i soldati Usa hanno fatto fuoco all'uscita di una stretta curva a destra che si immetteva in autostrada, dalla banchina, e immersi nell’oscurità, del tutto invisibili agli occhi di chiunque stesse sopraggiungendo. Inoltre ci si chiede che senso ha organizzare un posto di blocco con una manciata di soldati a poche centinaia di metri da quella vera e propria fortezza ultracontrollata, illuminata e difesa da ingenti forze militari Usa, coadiuvate da contractors privati con cani antiesplosivi, e un sistema di telecamere che riprende ogni auto e ogni passeggero?
Il modus operandi della pattuglia Usa sembra rispondere in realtà più al concetto di imboscata, di agguato - chiunque fosse il loro obiettivo e non necessariamente l'auto con a bordo i tre italiani - che a quello di un check point. Tanto che, stando alle prime indiscrezioni, al capocentro del Sismi all'aeroporto che gli aveva appena comunicato l'allarme per la sparatoria avvenuta pochi minuti prima, l'ufficiale Usa di collegamento, il capitano Green, avrebbe risposto "non esiste alcun check point sulla strada" (Corriere della Sera - 15/3/05).
Assai poco credibile nella ricostruzione dei comandi Usa è inoltre il fatto che, prima di essere informati ufficialmente dal generale Marioli, vicecomandante delle forze della coalizione, verso le 20,30 del 4 marzo, circa 20-25 minuti prima della sparatoria, (“Eravamo li [all’aeroporto ndr]) perché era stato liberato l’ostaggio italiano che doveva proseguire per l’Italia”) i comandi Usa già non sapessero dell'auto e di cosa stava succedendo. Senza contare che già a metà febbraio lo stesso generale Marioli aveva comunicato ai comandi Usa il prossimo arrivo di un gruppo di agenti italiani “in relazione alle attività in corso per il sequestro Sgrena”. E' inoltre noto a tutti che in una zona così strategica come quella dell'aeroporto, gli americani intercettano qualsiasi comunicazione telefonica in tempo reale e sono in grado di localizzare qualsiasi veicolo in avvicinamento al check point e oltre. In realtà da qualche parte nella base "Victory" accanto all'aeroporto e di sicuro al Pentagono, vi sono senza alcun dubbio non solo le registrazioni delle comunicazioni tra Calipari, gli ufficiali di collegamento all'aeroporto, il governo di Roma e quelle con eventuali emissari della guerriglia irachena, ma anche foto e riprese televisive dell'arrivo dell'auto e di quel che è successo su quella fatale curva. E non si tratta solamente delle immagini fotografiche ed elettroniche scattate dai satelliti e dai droni senza pilota in continuo volo sulla zona, ma anche di quelle provenienti dal grande pallone aerostatico, simile a quello del jocker-Nicolson, che oscilla pigramente al vento dall'estate scorsa, controllando tutte le vie di accesso verso l'aerostazione e la grande base Usa che si estende dall’aeroporto sino quasi al carcere di Abu Ghraib. L'aerostato bianco, agganciato al suolo con un cavo di acciaio nel quale passano anche la corrente e i fili per il funzionamento delle apparecchiature e delle telecamere, si trova generalmente, a circa 300 metri di altezza ed è in grado di controllare in tempo reale, trasmettendo le sue informazioni ad una sala di controllo in grado di dare indicazioni immediate ai soldati sul terreno, un'area di circa 10 chilometri. Trovandosi a circa 3 chilometri dal luogo dell'omicidio la memoria dell’aerostato, non può non aver registrato le scene salienti dell'agguato dal momento che il suo compito è quello di individuare possibili nemici in avvicinamento verso l'aeroporto. Altro che pattuglia spaventata e isolata nel buio.
I soldati Usa sono entusiasti del gigante buono (costruito dalla Lockheed Martin) che li protegge dal cielo tanto che nel luglio del 2004 la "Denton News" (Texas) comunicava: "E’ veramente utile per i ragazzi sul terreno - sostiene il sergente Munroe - dal momento che in tal modo possiamo monitorare sia i convogli che le pattuglie sul terreno, ed essere sicuri che non vi sia nessuno che si trovi davanti o dietro di loro. Quando ad esempio delle pattuglie a piedi entrano nel pericoloso quartiere di al sheik Maruf, le telecamere dell'aerostato scrutano i tetti per vedere se vi sono dei ribelli". Forse la verità sull'uccisione di Calipari sta proprio nella pancia del grande pallone, a meno che, come quei radar nella notte di Ustica, non sia stato "spento" proprio quella sera dalle 20,30 alle 21.
A sentire le notizie che vengono ogni giorno da Baghdad sembra quasi che la battaglia per il controllo dell'area dell'aeroporto e dei quartieri sud-occidentali della capitale che costeggiano il primo tratto dell'autostrada che dal centro porta all'aerostazione, sia stata una delle più cruente della guerra e in un certo senso non è mai finita. A dare a quest'area un grande valore strategico non c'è soltanto l'aeroporto, attraverso il quale passa ogni giorno una sempre maggiore quantità di merci, ma anche, più a Est, la strada che attraverso Falluja e Ramadi, porta verso la Giordania, e verso il confine siriano. E infine l'esistenza di una sorta di corridoio utilizzato dalla resistenza per spostarsi dalle zone a Sud della capitale (Mahmoudiya, Latifiyah) verso Ovest (Abu Ghraib, Falluja e Ramadi) e da qui dirigersi verso nord (Haditha e Hit), e arrivare, ripercorrendo l'antica strada per Aleppo, ad un altro posto di confine con la Siria. Un corridoio costituito generalmente da zone desertiche interrotte però da rigogliosi palmeti dove non è certo facile per l'esercito americano combattere, nonostante la sua superiorità tecnologica, una vera guerra di guerriglia. Due anni di lavori, di raid, di costosi investimenti in barriere e protezioni per gli accampamenti Usa, e il taglio di quasi tutte le palme che crescevano ai lati e al centro dell'autostrada, hanno si migliorato la situazione per gli occupanti, ma solo negli ultimi cinque chilometri dell'autostrada per l'aeroporto. Praticamente dalla curva dove è stato ucciso Nicola Calipari e poco più avanti dal primo check point sino all’aerostazione.
Assai diversa la situazione nei, pericolosissimi, primi dieci chilometri tra la città e il primo check point. Qui, a differenza della seconda parte dell'autostrada, il transito è permesso anche alle auto irachene che si lanciano spesso ad oltre 160 chilometri orari sopra i tre cavalcavia, micidiali per le truppe Usa, di Amel, di al Qadra e infine di Ameriya. Micidiali o perché le bombe arrivano dall'alto sui convogli sottostanti, o perché vengono nascoste ai lati della strada o persino sotto l'asfalto, tra il passaggio di una pattuglia e l'altra. Questo tratto dell'autostrada, passaggio obbligatorio per i grandi trasporti e per le scorte che escono dalla "zona verde" - la "città proibita" Usa dove si trovano l’ex palazzo presidenziale, la rappresentanza diplomatica di Washington e di Londra e il palazzo del governo iracheno - e che vogliono raggiungere l'aeroporto, è stato soprannominato "Irish road" o "Rpg road" per i continui attacchi e le micidiali esplosioni che colpiscono ogni giorno i convogli americani di passaggio. Non pochi si interrogano sui motivi di tale pericolosità dopo ben due anni di occupazione, ma la risposta è piuttosto semplice e sta nelle centinaia di migliaia di iracheni che abitano in quest'area e che avversano, anche attivamente, l'occupazione e gli occupanti. Il primo tratto dell'autostrada è infatto costeggiato da quartieri (Yarmouk, al Amel, al Jihad, al Altuba, al Qadra, Ameriya) in gran parte abitati da sunniti o da sciiti ex membri dell'Esercito, della Polizia, dei servizi, del settore pubblico, del partito Baath, trovatisi improvvisamente, in seguito all'occupazione, senza lavoro e senza mezzi di sussistenza.
Del resto si trattava di quartieri "difficili" anche ai tempi di Saddam Hussein, tanto che il regime aveva eretto ai lati dell'autostrada due alti muri che impedivano agli abitanti di vedere chi stesse transitando sotto le loro case.

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