Le associazioni di genere a tutela della donna “si trovano molto spesso ad affrontare episodi di rilievo criminologico, con drammatici effetti sulle vittime”. A raccontarlo a Polizia e Democrazia è Lella Mencio, presidente nazionale di Telefono Rosa, responsabile della sede torinese. “E’un segnale d’allarme – assicura – Non c’è limite all’emergenza. E tutto accade proprio sotto i nostri occhi, nelle nostre case, nei luoghi di lavoro o nelle strade che percorriamo quotidianamente”.
Il Telefono Rosa pubblica ogni 8 marzo i dati relativi ai contatti dell’anno precedente. Quante donne hanno chiamato il Telefono Rosa di Torino nel primo semestre 2004?
Sono state 420 in totale. 129 limitatamente a informazioni di carattere generale ma ben 291 da parte di donne che sono poi state seguite nei settori legali o psicologici, quando non nelle accoglienze, ascolti o accompagnamenti determinati dall’emergenza. La violenza, purtroppo, è ben lontana dall’esser debellata e nemmeno parzialmente controllata.
Che età hanno le persone che si rivolgono a voi?
Una percentuale minima ha meno di 20 anni, il 15% è tra i 21 e i 30 mentre il grosso delle chiamate è tra i 31 e i 40 anni (35,7). A seguire dai 41 ai 50 fino ai 70 anni.
Le violenze dove avvengono?
Maggiormente in ambito domestico. Il 51,7% delle donne che ci contatta è infatti sposata. Il 16% è separata e una piccola percentuale è divorziata. Molto alto comunque il numero delle donne che non sono più nubili.
Di che nazionalità sono? Cominciano a contattarvi anche le donne provenienti da altri paesi?
Ancora in percentuale molto bassa. L’87% delle chiamate arriva da cittadine italiane ma abbiamo accolto anche donne africane, albanesi, austriache, boliviane, brasiliane, filippine, ceche, croate, francesi, marocchine, peruviane e polacche.
Da dove chiamano. Hanno modo di contattarvi direttamente dalle loro case?
Direi di sì. Il 43,1% chiama dalla propria abitazione, l’11,9% dal cellulare e un discreto numero dal posto di lavoro (8,8%). Il 2% da casa di amici e il 2,9% da quella di parenti.
Chi si rivolge a voi cosa denuncia?
In primis maltrattamenti psicologici. Poi maltrattamenti fisici. Alto il numero di coloro che denuncia minacce, fino ad arrivare alle violenze sessuali familiari, extrafamiliari e di gruppo. Il dato più allarmante è che la violenza da parte del proprio compagno è in continuo aumento e non in ambiti legati al degrado e all’ignoranza. Piuttosto si conferma la tendenza verso un target elevato.
Parlando con le donne che chiedono il vostro aiuto, quali difficoltà avete riscontrato dopo una violenza subita?
Senza dubbio, problemi alimentari. Sia difficoltà legate all’eccesso sia legate a una diminuzione dell’appetito. Oltre la metà racconta un’alterazione del sonno-veglia con grandi problemi relazionali. Nonché sessuali ed emozionali. Per non parlare dell’autoagressione che rappresenta, purtroppo, un fenomeno molto diffuso. Dal punto di vista fisico e psichico sono spesso colte da agitazione, cefalea, depressione, dipendenza, disperazione e disturbi gastrointestinali. Ma anche panico, paura, problemi di concentrazione e vergogna. Esiste tutto un linguaggio del corpo che mostra i segni del disagio come conseguenza della violenza: e ciò a volte ben prima che una donna decida di ricorrere ad un’associazione di genere per tutelare i propri diritti.
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