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marzo/2005 - Interviste
Riforma di Polizia
Claudio Giardullo - Quello che c'è da fare
di a cura di Paolo Andruccioli

Si dice di voler puntare sulla sicurezza, ma poi la Finanziaria taglia i fondi. E ora il rischio vero è la “devolution”


Partiamo dal bilancio di questi primi 25 anni dalla Riforma di Polizia: qual è il tuo giudizio?

Intanto c’è da dire che la Riforma dell’81 conferma ancora oggi una forte efficacia innovativa e non ha esaurito la sua spinta innovativa nel sistema di sicurezza nel nostro Paese. Anzi è ancora un punto di riferimento importante ed efficace. Il modello che ha messo in campo la legge 121 appare ancora oggi come un modello indubbiamente avanzato, in grado di far fronte alle esigenze di sicurezza che si pongono in un paese come il nostro, che ha delle caratteristiche particolari, come, per esempio, l’esistenza di una minaccia terroristica da una parte e di consistente livello, e dall’altra la presenza di organizzazioni criminali, mafiose in particolare, che purtroppo fanno dell’Italia un Paese, con una situazione assolutamente specifica e originale.
Quel modello dunque è ancora assolutamente valido. Il punto è che deve andare avanti il percorso per completare quel processo di riforma e per adeguarne l’impianto ad una società che è cambiata; servirebbe un impegno, politico-istituzionale di rinnovamento che però deve tenere conto di quali sono i principi della legge 121, che andrebbero valorizzati, e quali sono i segmenti di quel modello che ancora non sono stati attuati completamente e che andrebbero rafforzati.
I principi di quel modello sono, appunto la centralità dell’autorità civile di pubblica sicurezza, il coordinamento delle Forze di polizia, la formazione permanente delle Forze di polizia e la grande elasticità, duttilità, da parte dell’intero sistema sicurezza, in grado così di far fronte ai cambiamenti, che si sono avuti sul piano criminale da una parte, e adeguarsi anche sui cambiamenti che si sono avuti sul piano sociale ed economico nel Paese.
Questi dovrebbero essere i principi e i segmenti da rafforzare; ci vuole quindi una maggiore sintonia informativa e operativa tra i vari Corpi, una flessibilità organizzativa, la capacità di lettura unitaria di fenomeni criminali, che ormai hanno una dimensione internazionale e perciò richiedono anche una capacità di lettura di tutti i dati, da quelli locali a quelli di rilievo transnazionale. Si richiede una capacità sempre più spiccata, per esempio, da parte del sistema di sicurezza, di pensare globalmente e agire localmente; e poi ci vuole il rafforzamento dell’utilizzo della formazione come risorsa strategica e un più alto livello di sinergia fra apparati dello Stato ed enti locali.
Alcune di queste linee strategiche, che pure esistono, ora andrebbero rafforzate, perché hanno avuto un rilievo minore, un rafforzamento minore, uno sviluppo minore. Per esempio il coordinamento delle Forze di polizia, l’integrazione funzionale delle componenti civili e militari. Questi sono alcuni dei terreni su cui si è marciato meno velocemente; poi, per esempio, quello del completamento delle direttrici di riforma. Pensiamo alla Guardia di Finanza, che comunque ha avuto e ha tuttora grandissimo merito nel contrasto dei fenomeni di criminalità economica. La Guardia di Finanza non ha conosciuto finora una riforma complessiva che la possa spingere verso un modello di Polizia specificamente economica e finanziaria nel nostro Paese. La Guardia di Finanza, per fare un esempio, ha una serie di incombenze che ovviamente non sono semplicemente quelle di una moderna ed avanzata Polizia finanziaria.
Questi sono anche i punti deboli dell’attuazione del modello di riforma della 121. In realtà, a questi punti deboli che già erano emersi nel corso di questo processo di attuazione durante gli ultimi anni, vanno aggiunti alcuni veri e propri rischi di stravolgimento del modello di sicurezza pubblica. Guardando solo dal punto di vista dell’organizzazione di questo modello, per esempio un rischio è, anche se è ancora un’ipotesi che ogni tanto circola negli ambienti politici e istituzionali, la possibilità di creare un Segretariato Generale. Un modello che è fortemente divergente rispetto a quello contenuto nella legge 121; un modello che vorrebbe dire separare la componente Polizia di Stato dalla componente sicurezza pubblica, che quindi farebbe fare alla Polizia di Stato un enorme passo indientro. Se ciò avvenisse, questo processo riporterebbe la Polizia di Stato a Corpo, quindi a una situazione precedente alla legge 121, e attraverso questo sganciamento delle due componenti, operative e politico-amministrative, si avrebbe la Polizia da una parte e la sicurezza pubblica dall’altra. Una scelta che non consentirebbe più quella compattezza, quella gestione unitaria, quella visione d’insieme di cui invece una moderna struttura di pubblica sicurezza ha bisogno.
Ma c’è un rischio ancora maggiore nel Paese che riguarda la sicurezza e più in generale l’assetto costituzionale del Paese: c’è l’ipotesi di modifica del Titolo quinto della Costituzione, che sta andando avanti in Parlamento per la realizzazione della cosiddetta devolution. Si parla della possibilità di costituire altre 20 Polizie regionali; in questo momento il testo della legge parla di Polizie regionali amministrative, in realtà nulla impedirebbe di trasformare nei fatti queste Polizie amministrative in Polizie di sicurezza; questo sarebbe la frantumazzione del sistema di sicurezza. Una scelta che determinerebbe anche un aumento delle spese che il Paese non è in grado oggi di sostenere, per fare altre 20 Polizie. Oltre alla questione economica, c’è anche da considerare la determinazione di un vulnus ad un principio fondamentale che è nella legge di Riforma dell’81. Certo la sicurezza pubblica e le attività di Polizia devono essere decentrate sul territorio e lì si deve spostare il baricentro delle strategie di prevenzione e di repressione nel territorio; ma in ogni caso serve anche una grande capacità di gestione, flessibile, unitaria, al centro, perché appunto la dimensione di contrasto al crimine non può essere certo quella regionale. Forse non è nemmeno più quella nazionale. Ormai la dimensione dell’attività anticrimine non può essere che quella transnazionale, il che ovviamente obbliga ad avere al centro strumenti di conoscenza, di intervento operativo sui diversi segmenti del sistema di sicurezza pubblica che possano rendere l’iniziativa di contrasto strutturata e coordinata. Con la devolution, invece si avrebbe la frantumazione del sistema di sicurezza e, tra l’altro, si determinerebbero anche altri rischi come quello di un accentramento alle Regioni di funzioni che oggi svolgono egregiamente i Comuni.
Questi sono i due rischi di interruzione di quel processo di Riforma che è partito con la 121 e che è ancora in atto. Si avrebbe bisogno semmai di un impulso per la valorizzazione dei suoi principi fondamentali. Dicevo prima della centralità dell’autorità di pubblica sicurezza, ma c’è anche la questione dell’integrazione tra componente civile e componente militare, anche a fronte di un sistema misto. Il probelam poi da affrontare è quello degli effetti della “devolution”.

Rispetto a questi problemi, ci sono delle scadenze in vista per quest’anno? Quali sono i passaggi politico-parlamentari che si individuano?

I passaggi politico-parlamentari che sono in vista sono quelli della devolution, secondo l’iter che ha normalmente un progetto di legge, un disegno di legge di modifica costituzionale che ha un doppio passaggio ai due rami del Parlamento e, come è probabile, un secondo passaggio con un referendum confermativo. Tutto questo dovrebbe avvenire prima della scadenza dell’attuale legislatura. Il passaggio popolare del referendum confermativo, qualora quest’iter legislativo dovesse andare avanti entro questo ultimo anno di legislatura, sarebbe fondamentale perché darebbe la possibilità ai cittadini di esprimersi su una questione che non è semplicemente tecnico-organizzativa e neanche soltanto di disegno costituzionale;
Ci si avvia verso una di quelle questioni che i cittadini italiani guardano con maggiore attenzione, con interesse e qualche volta con apprensione e preoccupazione, specie in riferimento a certe emergenze come quella di Bari, di Napoli. Mi riferisco, ovviamente, alla grande attenzione che c’è sulla sicurezza pubblica. Gli italiani avrebbero la possibilità di esprimersi su un modello di sicurezza che negli ultimi 20, 25 anni ha dato frutti assolutamente significativi, salvo l’esigenza poi di doverlo rafforzare e aggiornare, ovvero - al contrario - su un modello di sicurezza, come quello della devolution, che contiene tantissime incognite, sia sul piano della capacità dell’azione di contrasto e di prevenzione, ma anche per quanto attiene il modello complessivo di assetto costituzionale nel nostro Paese.
Modificando questo modello e istituendo le Polizie regionali, perdendo più tempo nel legame tra centro e periferia, tra territori e istituzioni centrali su un versante delicato come questo, in realtà si finisce per alterare un po’ anche l’assetto complessivo costituzionale del nostro Paese.

Quindi i cittadini italiani saranno chiamati a decidere su questo; ma quale bilancio si può fare da un punto di vista sindacale? Perché una delle grandi novità di allora era l’introduzione del sindacato e una delle grandi polemiche che ricorrono oggi è quella della frantumazione dei sindacati.

Intanto io dico che le organizzazioni sindacali di Polizia hanno svolto un ruolo fondamentale in momenti delicati della vita delle amministrazioni di pubblica sicurezza e del Paese in generale. Durante gli anni di piombo, durante una fase difficilissima per tutto il Paese, le organizzazioni sindacali hanno contribuito alla tenuta, sia operativa che democratica, delle Forze di polizia.
Durante tutta la fase del terrorismo c’è sempre stata una risposta decisa, motivata, ferma, professionale. Non c’è stato mai, neanche per un attimo, un cedimento verso ipotesi di reazioni da parte delle Forze di polizia che non fossero assolutamente in linea con i principi costituzionali e con la legalità.
E la stessa cosa è accaduta, successivamente, nella terribile stagione stragista mafiosa, quando le organizzazioni sindacali - con le loro differenze perché c’è da registrare una diversa sensibilità su temi come questi - hanno aiutato gli operatori e anche altre istituzioni, come il circuito giudiziario, ma hanno aiutato soprattutto il mondo politico italiano a riaffermare l’idea di una esigenza delle Forze di polizia insieme anche ad altre istituzioni come la magistratura nel pieno rispetto della legge, potessero essere messe in condizioni di difendere quello che non era soltanto un attacco da parte delle organizzazioni militari per i propri interessi, immediati ai rappresentanti dello Stato, ma era un vero e proprio tentativo di mettere lo Stato all’angolino; anche in questo caso, con i sacrifici che ci sono stati -(penso ovviamente alle stragi di Capaci, di Palermo per fare solo due ipotesi nell’occasione degli assassinii dei giudici Falcone e Borsellino che sono solo due esempi) le Forze di polizia e le loro organizzazioni sindacali hanno sempre svolto un ruolo importante; sottolineando anche il ruolo che svolgono normalmente per la difesa, la tutela degli operatori, operatori che sempre più, in questi anni, sono stati impegnati in un compito difficile, delicato, e lo hanno svolto guardando ai motivi della loro esistenza, cioè la tutela dei diritti e degli interessi degli operatori di Polizia, ma l’hanno fatto sempre - ribadisco con sensibilità diverse ovviamente - ma l’hanno fatto guardando anche alle esigenze complessive del Paese.
Il bilancio, da questo punto di vista, penso può essere considerato assolutamente positivo. Le organizzazioni sindacali in Polizia sono un canale permanente nei confronti della società civile, forse è il miglior antidoto verso un ritorno al passato e penso lo sarà ancora per il futuro contro ogni ipotesi di separatezza delle Forze di polizia dalla società civile.
Genova con i fatti del G8 è stata una ferita profonda, comunque la si guardi, per la società italiana; quella ferita si è cominciata a rimarginare, e la si è superata, grazie anche ad un ruolo delle organizzazioni sindacali, di alcune organizzazioni sindacali (in questo caso penso soprattutto alla mia) che hanno svolto un ruolo non secondario perché questa ferita si potesse rimarginare, perché si riacquistasse immediatamente quel rapporto di fiducia tra Forze di polizia e società civile, si evitasse di emettere un giudizio che generalizzava le valutazioni per quello che era successo a Genova, perché tutto sommato questo finiva per creare solchi tra le Forze di polizia e la società civile e tutto questo non era nell’interesse della democrazia. Per cui, anche in questo caso, io penso che le organizzazioni sindacali abbiano svolto un ruolo importante come strumento in grado di rendere costante il rapporto tra la Polizia e la società che, ribadisco anche sotto questo punto di vista, è il miglior antidoto contro ogni forma di separatezza.
Certo, avremmo bisogno di rendere ancora più pregnanti, più incisivi, più efficaci gli strumenti a disposizione delle organizzazioni sindacali, per migliorare costantemente la tutela degli operatori che si trovano spessissimo in condizioni difficili, sia ambientali sia dal punto di vista organizzativo.
Il punto è sempre, ovviamente, la questione di volontà politica e disponibilità nell’investire nel settore della sicurezza e delle attività delle Forze di polizia, risorse che siano adeguate. Da questo punto di vista io ricordo che invece, per fare un esempio attuale, nelle ultime leggi Finanziarie noi abbiamo assistito ad una riduzione costante delle risorse messe a disposizione, sia delle strutture dell’istituzione Polizia - il ché da una parte mette a rischio la capacità operativa ovviamente dell’intero sistema - sia per le risorse messe a disposizione degli operatori: dei contratti, della formazione, della tutela professionale, a partire dalla tutela della salute nei luoghi di lavoro. Una riduzione costante di risorse su questo versante, ovviamente, fa correre il rischio di una riduzione costante della tutela nei confronti degli operatori. Gli strumenti che i sindacati di Polizia hanno in mano sono ovviamente quelli della protesta, del dibattito, della proposta, della mobilitazione, della sensibilizzazione, perché questi ovviamente devono essere gli strumenti a disposizione in un’organizzazione, in un settore delicato come questo, però proprio perché gli strumenti sono di questo tipo servirebbe una disponibilità, da parte degli organi di governo, maggiore rispetto a quella che in questi ultimi anni è stata dimostrata.

Hai detto che uno dei punti saldi della Riforma era il problema della formazione; adesso lo hai ripetuto legandolo al discorso delle risorse: a che punto siamo sulla formazione?

Il punto è che sta crescendo dentro l’istituzione l’esigenza di realizzare una formazione permanente, rendendola uno strumento strategico permanente. Gli operatori di Polizia ormai si scontrano con una realtà che cambia velocemente dal punto di vista delle dinamiche criminali, soprattutto dal punto di vista della capacità del mondo del crimine di rinnovarsi. Per fare soltanto un esempio: c’è tutto il mondo dei reati che adesso si possono compiere su Internet, attraverso Internet. E’ una questione che ci dice che ci sono delle frontiere assolutamente nuove per le istituzioni, per la Polizia, attraverso le quali poi o ci si adegua velocemente o c’è un buco, nel confine della legalità che questa istituzione deve tutelare. Quindi sta crescendo questa consapevolezza, anche perché gli strumenti internazionali, comunitari, gli organismi comunitari in particolare, in cui l’Italia è inserita, costringono ad una visione che deve essere sempre più di ampio respiro; si mettono a confronto culture delle Forze di polizia di questi paesi, a confronto anche capacità e conoscenze.
Quindi, sta crescendo la consapevolezza che la formazione è sempre più una risorsa strategica, anche se questa consapevolezza si scontra con la progressiva diminuzione di disponibilità finanziarie, in generale per le Forze di polizia, in particolare anche su questo fronte specifico;
Si riducono perfino le risorse per l’attività anche ordinaria, non soltanto di progetto, di investimento strategico. Le Forze di polizia possono avere un problema che riguarda addirittura la logistica, che riguarda la riparazione delle auto, che riguarda il carburante, che riguarda l’equipaggiamento; quando le Forze di polizia hanno un problema per l’investimento ordinario, per il funzionamento ordinario della macchina, ovviamente si finisce che la formazione diventa una delle tante voci da ridimensionare. A causa dell’ultima Finanziaria, è assolutamente probabile che la formazione riceverà un’ulteriore riduzione del 20%. Quindi, mentre da una parte c’è la consapevolezza che la formazione è una risorsa strategica, dall’altra assistiamo a una progressiva riduzione della disponibilità finanziaria.

Quali sono, secondo te, le strategie per rispondere alle nuove domande di sicurezza che emergono dalla società?

Intanto c’è da dire che le strategie che sono state messe in campo in questi anni devono essere cambiate, rapidamente e profondamente. Ce lo dicono alcuni dati che ci consentono un bilancio, che non può che essere critico, evidentemente, rispetto a queste strategie, perché i dati che abbiamo di fronte ci dicono che non siamo su una strada giusta.
Da una parte i maggiori istituti di rilevazione, ma anche i procuratori generali che hanno aperto l’anno giudiziario quest’anno sono concordi nel dire che nel nostro Paese stanno aumentando i reati, non stanno diminuendo, a fronte di un decennio passato durante il quale c’era stata una diminuzione. Da una parte c’è quindi l’aumento dei reati e dall’altra c’è l’aumento di una insicurezza percepita.
Lo dicono alcuni sondaggi di opinione, ma soprattutto lo dice il dato per esempio - che ha pubblicato il Censis alla fine del 2004 nel suo rapporto - un dato che ci dice che le famiglie italiane hanno speso, l’anno scorso, 700 euro in più a famiglia e il 7% in più, per la difesa privata; quando aumenta la spesa delle famiglie e aumenta anche la spesa per le aziende inevitabilmente - per le cose che dicevamo: sulla tutela dei dati, sui reati attraverso la rete, ecc, - quando aumenta la spesa privata vuol dire che sta aumentando l’insicurezza. Allora, se contemporaneamente aumentano i reati, aumenta l’insicurezza, allora bisogna cambiare strategia, rapidamente e profondamente.
Il punto debole delle strategie che sono state messe in campo in questi ultimi anni è che hanno puntato prevalentemente sulla rassicurazione. La rassicurazione è un elemento importante per l’azione di contrasto, indubbiamente perché non è sufficiente una azione di contrasto se poi non c’è la percezione di elementi positivi su questo versante: al cittadino non è sufficiente sbandierare un eventuale statistica dove si dice che i reati stanno diminuendo, è importante che percepisca che c’è un complesso di iniziative, di azioni positive, di politiche di strategie che vanno verso un più alto livello di sicurezza.
La rassicurazione è importante, ma in realtà se si investe tutto sulla rassicurazione a scapito dell’azione di contrasto, si finisce per fare delle operazioni di immagine, di propaganda che non aiutano. Faccio un esempio: la Finanziaria riduce fortemente le risorse di Polizia rendendo più difficile anche l’attività operativa, incrementa di 2700 unità quel numero di poliziotti e carabinieri di quartiere che dovranno essere assunti in questi ultimi anni, poi, in realtà, riduce di 3500 unità solo nella Polizia di Stato, l’organico dei prossimi anni, perché non autorizza la copertura del turn-over. Ecco un modo per puntare molto, troppo forse, sulla rassicurazione col poliziotto di quartiere. Ci saranno però meno Volanti, meno operatori addetti alle Squadre Mobili e alle squadre di Polizia giudiziaria.
Questa impostazione strategica che punta molto sulla rassicurazione e meno sull’azione di contrasto, rischia di farci tornare indietro nel controllo del territorio, nella conoscenza del territorio. In fondo tutto questo rende difficile anche le azioni di contrasto, anche in situazioni di emergenza, come quella di Napoli dove lì c’è un vero problema, non soltanto di politiche di sviluppo economico e sociale, ma anche di vera e propria riconquista di alcune parti del territorio napoletano, c’è a volte un problema di riaffermazione vera e propria della sovranità in alcune parti del territorio napoletano. Io penso che al cittadino la prima sensazione che si debba dare sia proprio quella della riconquista del territorio, conquista della sovranità dello Stato su un territorio che oggi è governato dalle forze della criminalità organizzata.
Abbiamo bisogno di cambiare velocemente una strategia che è tutta puntata sulla rassicurazione, che è tutta puntata su un modello di sicurezza come quello della legge Bossi-Fini. Quella legge ha raddoppiato l’attività burocratica perché, per esempio, ha dimezzato il periodo del permesso di soggiorno. Il permesso per motivi di lavoro, prima della Bossi-Fini, veniva rilasciato, rinnovato ogni due anni, mentre oggi deve essere rinnovato ogni anno. Per questo motivo l’attività burocratica degli operatori di Polizia è raddoppiata; attività burocratica raddoppiata vuol dire sottrazione di risorse all’attività di sicurezza. Penso che sia un’ottica sbagliata, che toglie risorse e che fa della Bossi-Fini uno strumento che sicuramente non ha fornito maggiore sicurezza, ha promesso maggiore sicurezza in realtà ne fornisce di meno.
Queste strategie di sicurezza devono essere profondamente cambiate. Va rivalutato il rapporto con gli enti locali, un rapporto di sinergia; va ampliato un progetto di modernizzazione delle Forze di polizia, appunto rinforzando la formazione, l’innovazione e l’innovazione tecnologica; va riaffermata l’esigenza di combattere la maggiore delle illegalità nel nostro Paese, che è ovviamente l’organizzazione mafiosa, con strategie che siano in strettissimo rapporto con il contrasto della criminalità diffusa. In questi due mondi non c’è una separazione, a volte c’è un rapporto costante; poi soprattutto nel nostro Paese, penso si debba riaffermare la cultura della legalità, ovviamente i condoni non aiutano la riaffermazione della cultura della legalità; la cultura della legalità dovrebbe essere insegnata nelle scuole, dovrebbe essere insegnata attraverso l’etica dei comportamenti individuali, ma sopratutto si diffonde se è chiaro che l’illegalità non paga, e l’illegalità non paga quando funzionano i circuiti della Polizia e della magistratura. Allora un investimento in questo settore è un investimento che rafforza l’attività di Polizia e della magistratura, ma che rafforza anche la cultura della legalità e difende anche la democrazia e la libertà del nostro Paese.

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