Siamo indietro con la formazione professionale e l’Amministrazione non fornisce gli strumenti necessari. Il Paese è cambiato molto dal 1981; anche le Forze di polizia devono aggiornarsi. E noi ci compriamo i Codici a spese nostre
Sono passati 25 anni dalla Riforma di Polizia, qual è il bilancio che si può fare?
Il bilancio a mio giudizio è certamente positivo. La Polizia è cresciuta molto, sia in termini culturali sia in termini di valutazione, di sensibilità democratica all’interno del nostro Paese. Credo che i sindacati siano stati comunque un motore importante in un processo che è quello di democratizzazione, che si traduce naturalmente in una maggiore sensibilità nella tutela dei diritti fondamentali dei cittadini, quindi una Polizia più sensibile alle libertà che sono garantite all’interno di un paese. Il che ha comportato, a mio giudizio, una minore sensibilità dal punto di vista autocratico, dal punto di vista repressivo.
Quello che nei 25 anni di storia ha forse offuscato un po’ questa immagine, che io ritengo assolutamente positiva sotto tutti gli aspetti, ritengo sia stata la brutta parentesi dei fatti di Genova, su cui credo bisognerà riflettere molto, soprattutto sulle denunce che sono andate a vuoto da parte del sindacato sul processo di formazione professionale, specie per i ragazzi più giovani.
Che cosa ha comportato la presenza del sindacato in Polizia? Se ricordiamo in quel periodo c’era molta retrosia, perché si diceva che sarebbe andato a scapito proprio della professionalità della Polizia. Invece cosa è successo? Qual è stato l’effetto di questa esperienza?
Il primo effetto? I poliziotti sono usciti dalla caserma, quindi dalla cultura prettamente “repressiva”. Non che la Polizia non svolga più le sue funzioni, ma io credo che svolga una funzione più serena, più consapevole del suo ruolo, che in prima analisi è quella di essere garante dei diritti fondamentali dei cittadini e dell’uomo e, in seconda analisi, in chiave repressiva, perché naturalmente la Polizia svolge anche una sua funzione di organo di repressione dei reati. La differenza sostanziale che c’è oggi è che siamo perfettamente consapevoli, o quanto meno siamo maggiormente maturi, sul fatto che prima c’è la tutela dei diritti dei cittadini e poi c’è la repressione. Per questo il sindacato ha creato una struttura importante, perché attraverso il sindacato noi ci siamo resi conto, per esempio, che attraverso uno strumento di partecipazione, che è appunto il sindacato, si governano le moderne politiche delle democrazie liberali.
Io, per fare un esempio, credo che nella Polizia non capiterà mai che qualcuno possa dare un ordine di violare la legge e che questo ordine possa essere eseguito, commettendo illeciti di un certo tipo, o comunque forzature all’interpretazione della legge. Certo, che su 117mila uomini è capitato anche che ci siano state delle mele marce, ma non per questo era marcio il sistema, o è marcio il sistema. Sulle questioni, invece, più prettamente sindacali, si registra un “minimo grado di degenerazione”, perché le organizzazioni sindacali della Polizia sono arrivate a 21, ma il cuore del sistema, cioè il 70% del personale, è rappresentato da due o tre organizzazioni sindacali. In ogni caso, i sindacati storici, che sono nati con l’indomani della Riforma - Siulp e Sap - rappresentano oggi più della metà di tutto il personale della Polizia di Stato. Questo lo dico perché molto spesso nelle cronache dei giornali si leggono delle sigle di organizzazioni sindacali che rappresentano poche centinaia di uomini e quindi io credo che forse, su questo punto, sarebbe necessaria una maggiore riflessione sui criteri selettivi dei sindacati rappresentativi, perché non si può accettare l’idea che siano rappresentativi dei sindacati come nei Corpi di Polizia più piccoli che rappresentano due o trecento agenti. Questo ha contribuito, a mio parere, a dare un’idea distorta nell’opinione pubblica della rappresentanza che, invece ripeto, rimane consolidata almeno intorno ai due sindacati storici, Sap e Siulp.
Rispetto a questo discorso, che rilancia una polemica antica, quali soluzioni si possono vedere per superare questa parcellizzazione corporativa? Ci sono delle ragioni professionali perché un sindacato rappresenti una categoria piuttosto che un’altra oppure ci sono altre ragioni?
Diciamo che la frammentazione deriva da due processi storici: l’atomizzazione, la suddivisione del sindacato confederale, quindi del Siulp, il sindacato unitario che si è scisso nelle tre componenti confederali Cisl, Uil e Cgil; per quanto riguarda invece il fattore del sindacalismo autonomo, anche noi abbiamo avuto come Sap delle scissioni interne, che sono derivate soprattutto dal fatto che dei segretari non hanno trovato riconferma nelle elezioni congressuali. Naturalmente in questo processo di frammentazione della rappresentanza - che comunque è limitato perché dicevamo prima Sap e Siulp rappresentano più del 50%, quindi oltre 50mila agenti - naturalmente ha influito anche la politica del Palazzo, diretta a togliere forza rappresentativa al sindacato maggiore. Io lo affermo in modo assolutamente obiettivo, su fatti obiettivi: anche questo vertice della Polizia ha favorito una logica di frammentazione per poter poi sostenere che alcuni problemi derivavano dai sindacati.
Quando sono successi i fatti di Genova, il sindacato non si è chiuso dietro una tutela corporativa; noi abbiamo detto che prima di tutto c’era da verificare la responsabilità dei nostri colleghi. Facciamo svolgere i processi. Dal punto di vista culturale abbiamo però aperto la porta ad alcune valutazioni. In particolare ci siamo chiesti se questi sbagli, così grossolani, siano stati effettivamente commessi. Bisogna capire. C’è però chi si è chiuso dietro un muro di silenzio come ha fatto l’Amministrazione. E questo dimostra una insensibilità democratica, se mi è consentito, una valutazione totalitaria e antidemocratica del sistema della Polizia. Quindi il sindacato serve, o almeno è servito, per fare queste critiche. Se fosse stato un sindacato corporativo, queste critiche non le avrebbe mai esplicitate.
Tornando al discorso della formazione e su come è cambiata anche l’immagine del poliziotto, quali sono le carenze principali su cui bisognerebbe insistere?
Sulla formazione, secondo il mio giudizio, siamo ancora molto, molto indietro. Pensiamo semplicemente all’idea che dicevamo prima: prima esiste una Polizia di tutela civile dei diritti fondamentali del cittadino, poi c’è una Polizia di repressione. Il catalogo dei diritti fondamentali dei cittadini è quello della Costituzione, è quello delle Convenzioni internazionali, compresa quella sui diritti dell’uomo; ancora oggi nelle scuole di Polizia non si studia né il diritto costituzionale o pubblico, né questo delle Convenzioni internazionali, questo la dice lunga sul criterio di formazione. Lo studio è incentrato prevalentemente nel cuore della repressione, l’arresto obbligatorio e facoltativo senza spiegare, per esempio, che l’articolo 13 della Costituzione stabilisce che comunque il potere di arresto, di limitazione della libertà personale, da parte della Polizia è un potere straordinario.
Quindi, a mio giudizio, la formazione è una formazione ancora di tipo vecchio, era la formazione che si faceva 40 anni fa, prima della Riforma di Polizia; esistono carenze pazzesche, vistosissime sulla formazione, ad esempio non ci sono testi aggiornati, il personale è privo persino di Codici, quindi è una formazione molto spesso raffazzonata, e molto spesso il sindacato, attraverso le sue finanze, si deve far carico di curare questa formazione. Non a caso noi abbiamo comprato con i nostri soldi, con i soldi degli iscritti, i Codici. Nel 2005 distribuiremo dei Codici e dei testi professionali gratuiti. Io non credo che nel budget del ministero dell’Interno, che raggiunge circa il 4% della spesa pubblica del nostro Paese, non ci siano le risorse per questo tipo di intervento sulla formazione. Probabilmente, le sensibilità dei vertici sulla Polizia sono ancora delle sensibilità molto, ma molto lontane da un Paese moderno e democratico.
Come hai accennato prima, cambia anche l’immagine del poliziotto, da sbirro a tutore della legge, a che punto siamo su questo tema? Qual è la situazione, in generale sulla legalità e la sicurezza e quali sono le priorità che emergono in questo periodo?
In tutto questo devo prima fare una precisazione. Nel senso che, innanzitutto questo è un Paese che politicamente si è trasformato in un modo impensabile fino a qualche anno fa; pensiamo a due riforme della Costituzione, pensiamo all’introduzione del sistema politico bipolare che si è instaurato nel nostro Paese e che io credo costituisca una riforma materiale della Costituzione, una riforma piuttosto incisiva; questo che cosa c’entra con quello che stavamo dicendo? C’entra perché la Polizia e le istituzioni con un sistema bipolare devono avere quel ruolo istituzionale più forte, diretto a garantire non solo i cittadini, ma anche le minoranze politiche. Io credo che se non si rafforza il ruolo istituzionale, cioè il ruolo pubblico dell’applicare la legge e non in modo fazioso in modo ideologico, è certo che il problema si può porre, cioè può porre le Forze di polizia in una condizione di non essere valutate da tutti come superpartes,.
Basti pensare all’intervento repressivo che la Polizia, le Forze dell’ordine, possono compiere in uno sciopero, nell’interruzione della circolazione di una strada o di una ferrovia. La legge dà una discrezionalità piuttosto alta, se quindi non c’è un equilibrio, una sensibilità forte su questi temi, si può cedere in un punto piuttosto che in un altro. Per tornare quindi a noi, io credo che la Polizia non sia oggi democratica perché sindacalizzata. Caso mai la Polizia è più democratica rispetto a ieri perché, lo ripeto, è più sensibile ai diritti che deve tutelare. Rispetto all’esempio che facevamo prima, la repressione viene dopo l’esercizio del diritto di sciopero, che è un diritto costituzionalmente garantito. Fino a qualche anno fa, fino a quando eravamo militari si aveva una visione totalmente diversa. Inoltre ci troviamo ad operare in un Paese che ha avuto delle profonde trasformazioni, ma l’impianto delle leggi di Polizia si basa sempre sulle stesse leggi del 1931. Basti pensare che una manifestazione può essere sciolta solo perché ci sono delle grida sediziose.
Quindi, il potere di Polizia è sempre un potere forte, ed è un potere che deve essere bilanciato alla luce dei diritti costituzionali dei cittadini, proprio su una base di sensibilità culturale e, soprattutto, di alta professionalità. Quando non si studia la Costituzione o si studia in modo del tutto marginale, significa che questo è un Paese che non vuole avere delle Forze di polizia che siano istituzioni al servizio delle leggi, o forse si vorrebbe molto di più obbedienti alle logiche, diciamo così, delle forze politiche che sono al governo.
Torniamo sulle esigenze prioritarie all’interno della sicurezza. Quali sono le priorità su cui lavorare?
La politica nel nostro Paese è una politica che, almeno negli ultimi anni, tende ad abbassarsi di livello. Si tende per esempio a sottovalutare il tema della Mafia, che oggi è quasi nascosto. Sempre di più le Forze di polizia sono chiamate a reprimere condotte che socialmente hanno una rilevanza, io credo, minimale. E’ stata approvata di recente la legge sul fumo, saremo chiamati a reprimere i fumatori nei bar, siamo chiamati a reprimere chi non allaccia le cinture di sicurezza o il casco, poi sui grandi illeciti del Paese, grandi scempi ambientali, l’inquinamento o i reati di un certo tipo, che non siano esclusivamente quelli contro il patrimonio, si tende a sorvolare e questi reati cadono in secondo piano.
Io naturalmente con questo non dico che la Polizia omette di indagare sulle notizie di reato, dico che c’è una diminuzione di attenzione in termini di prevenzione; spesso ci troviamo di fronte all’omissione di denuncia, che è un reato gravissimo. Naturalmente ogni volta che si conoscono i fatti si indaga e si riferisce all’Autorità giudiziaria, ma io credo che sia molto carente, da parte delle Forze di polizia, l’indagine preventiva su certi tipi di illecito, mentre si sia indirizzata l’attenzione su fatti che, io credo, tutto sommato siano anche marginali.
Questo incide sulla valutazione della legalità all’interno del nostro Paese, perché è evidente che se i reati gravi non sono perseguiti mentre sono perseguiti illeciti che, tutto sommato, sono amministrativi, evidentemente la valutazione sulla legalità nel nostro Paese ha preso una direzione piuttosto che un’altra. A me piacerebbe che in un Paese democratico la Polizia potesse avere una grande forza nella tutela dei valori che hanno rilevanza costituzionale, quindi tutti quei beni che hanno un nucleo di tutela fondamentale che si incentra, appunto, nella tutela della Costituzione repubblicana.
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