Il segretario generale del Siulp analizza i punti cardine della Riforma e avverte: i nuovi giovani poliziotti entreranno in servizio senza concorsi civili e solo dopo le esperienze militari. La Polizia, però, esige una preparazione più completa da quella che si acquisisce nei reparti dell’Esercito
Sono passati 25 anni dalla Riforma di Polizia, qual è il bilancio che si può fare?
Il bilancio sicuramente è positivo, anche se, su alcuni aspetti, è contraddittorio. Il percorso che è stato avviato 25 anni fa ha determinato una crescita anche dal punto di vista della democrazia all’interno della Polizia di Stato. Oggi però ci sono nuove esigenze che derivano anche dalla riforma delle Forze armate. Penso che alla fine bisognerà rimettere mano ad una riforma complessiva del Comparto sicurezza.
Che cosa intendi quando parli di nuove esigenze che derivano dalla riforma delle Forze armate? E a cosa pensi quando parli di riforma del Comparto sicurezza in generale?
Ci sono due aspetti da affrontare: uno strettamente contrattuale e sindacale; l’altro è quello politico-sociale. Oggi non ci sono più accessi in Polizia mediante concorso pubblico; abbiamo praticamente allungato la permanenza nell’esercito dei giovani che vogliono venire in Polizia. Siamo ormai a 4 anni di permanenza nelle Forze armate; ma con le esperienze che oggi ci sono attraverso le missioni di carattere internazionale, noi rischiamo d’immettere nella Polizia giovani formati solo da un punto di vista strettamente militare. L’attività di Polizia implica, invece, anche un’altro tipo di preparazione, visto che poi i poliziotti devono operare al loro ritorno in territorio nazionale con grande sensibilità dal punto di vista sociale. La Polizia ha bisogno di personale molto addestrato. I militari sono invece ovviamente concentrati a fronteggiare una esigenza come la guerra a livello internazionale. Questo nuovo stato di cose non può lasciare indifferenti i responsabili delle Forze di polizia, perché nelle prossime immissioni che ci saranno nella Polizia di Stato, occorre pensare a un percorso formativo adeguato al nuovo compito.
Da quello che dici, insomma, possiamo immaginare che l’unico accesso possibile in Polizia passerà inevitabilmente attraverso un’esperienza militare.
La legge ha riservato il 45% dei posti in Polizia a quelli che andranno a fare un anno nelle Forze armate e il 55% dei posti a quelli che andranno a fare 4 anni nelle Forze armate. Per cui non ci sarà nessun concorso pubblico per l’accesso in Polizia. Sono questi i numeri con i quali fare i conti. Oggi noi abbiamo in Polizia oltre 57mila unità di agenti e assistenti.
Le nuove assunzioni verranno esclusivamente dai giovani che avranno fatto uno o quattro anni di militare. Per questo, non solo cambia la natura della leva per entrare in Polizia, ma dobbiamo anche saper affrontare questo nuovo aspetto della questione, proprio per non alterare quell’equilibrio che si è venuto a determinare. Oggi, più che mai, c’è bisogno di una preparazione su come fronteggiare l’esigenza di ordine e sicurezza pubblica.
Poiché uno dei punti saldi della Riforma era proprio quello relativo alla formazione dei poliziotti, come vedi la situazione attuale?
Ho sentito dire spesso che questi giovani sono parzialmente formati dal punto di vista formale; io credo esattamente l’opposto. Un giovane che ha avuto un’esperienza quadriennale in campo militare e che magari proviene anche da esperienza di guerra a livello internazionale, troverà grandi difficoltà a inserirsi in un Corpo di Polizia civile.
Per questo, secondo me, occorrerà maggiormente sviluppare l’aspetto specialistico, perché dal punto di vista della formazione, siamo arrivati ad un livello accettabile se non ottimo; dobbiamo però cercare di migliorare sotto l’aspetto della specializzazione.
La specializzazione in che consiste? E’ legata alle nuove domande di sicurezza o la vedi da un punto di vista più tecnico?
Bisogna tenere presenti entrambi i punti di vista. Bisogna ripartire dalle esigenze legate all’ordine pubblico. Nessuno, nei tempi trascorsi, organizzava dei corsi di specializzazione per come si deve stare in piazza, come si reagisce alle provocazioni, come si gestisce una manifestazione sportiva. Pensiamo, per esempio, a tutti i nuovi problemi che nascono negli stadi. Nello stesso tempo bisogna dare indirizzi specialistici a chi lavora in determinati settori, come per esempio, la Polizia Stradale. Attualmente abbiamo una percentuale di mortalità sulle strade fortissima. Un altro esempio è relativo alla specializzazione di chi opera presso le ferrovie. Anche la stessa rete ferroviaria non è più dello Stato, ma di una Spa. Poi ci sono i compiti istituzionali e gli obiettivi da raggiungere; ecco, tutti questi esempi che ho fatto devono dare il senso della nuova domanda di formazione che c’è e che deriva appunto anche dalle nuove domande di sicurezza.
Un altro dei punti importanti della Riforma, è stato quello relativo all’introduzione del sindacato in Polizia. Da questo punto di vista, tu che bilancio fai? Perché spesso riemerge la polemica sulla frammentazione dei sindacati? Ora mi pare che le sigle sindacali in Polizia siano 22, qual è il tuo giudizio sull’argomento?
Io vedo una responsabilità dell’apparato burocratico, cioè dell’Amministrazione. Ma oggi la politica del “divide et impera” si sta rivoltando contro la stessa Amministrazione. Questo della frammentazione certamente non agevola il compito né delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, tantomeno garantisce un forte diritto del singolo lavoratore rappresentato. Avevamo tentato di applicare una politica di razionalizzazione della rappresentanza, a prescindere dalle adesioni. E’ stato proprio l’atteggiamento ecumenico dell’Amministrazione che ha fatto fallire questo aspetto; dobbiamo riprovarci con molta, molta pazienza, cercando di isolare tutti quanti (e quando dico tutti quanti mi riferisco a interni, esterni, sindacati) che non hanno interesse a risolvere la situazione. Bisogna affrontare il problema anche a livello della possibile “corruttibilità”, lasciami forzare la parola perché è proprio questo il senso proprio del mercato, del commercio dei pacchetti di tessere sindacali.
Una soluzione che ti sentiresti di proporre qual è?
La soluzione io l’avevo individuata circa 4 anni fa, proprio al momento del rinnovo contrattuale dal punto di vista formativo. Ora sarebbe troppo lungo spiegarlo. C’era comunque una diminuzione della responsabilità, come si formava una federazione e quando uno poteva invocare la maggiore rappresentatività e quant’altro. In quel contesto non si sono però voluti affrontare i problemi e la mia proposta non è stata presa in considerazine. Ora c’è di nuovo un altro appuntamento, nel gennaio del 2006, che dovrà vedere tutte le organizzazioni maggiormente rappresentative, quelle che hanno a cuore veramente la valorizzazione della rappresentanza sindacale all’interno delle Forze di polizia, cercare appunto di trovare quel punto di mediazione, per cercare di portare a termine l’obiettivo prefissato già quattro anni fa. L’occasione per affrontare questo problema seriamente la avremo dunque a gennaio 2006 con l’apertura del rinnovo contrattuale. Sarà l’occasione che ci consentirà di mettere mano appunto alla norma vigente.
Rispetto al discorso della legalità e alle nuove domande di sicurezza che emergono nella società quali sono i temi principali?
Vedo soprattutto due aspetti; quello del terrorismo nazionale e internazionale e lì occorre proseguire con una forte specializzazione specifica con investimenti da fare, senza i quali faremmo molta fatica per poter avere strumenti e uomini all’altezza di questa nuova esigenza. L’altro aspetto è l’ordine e la sicurezza pubblica, quello più tradizionale; e ritengo che gli uomini che si apprestano, a cimentarsi su questo aspetto, devono avere: a) la consapevolezza che non è più l’ordine pubblico di una volta; b) che devono chiaramente - questo riguarda l’Amministrazione - mettere in atto tutte le professionalità possibili per dare una specializzazione specifica a questi uomini, cioè renderli consapevoli che oggi, quando si va in ordine pubblico, non ci si va come una volta, come negli anni passati, quando ci si sentiva responsabili limitatamente. Prima la responsabilità era limitata proprio dal fatto che si era in gruppo. Oggi bisogna essere consapevoli che la responsabilità è individuale e il comportamente del singolo poliziotto deve essere giudicato in maniera individuale.
Dal punto di vista sindacale c’è stato uno sforzo rispetto ad un investimento, anche dal punto di vista dei riconoscimenti, proprio su questi uomini che sono chiamati a prestare servizio presso i Reparti Mobili, quelli che tradizionalmente vengono impiegati in servizi di ordine pubblico, che significa lo stadio, le piazze, le manifestazioni politiche; da questo punto di vista l’Amministrazione deve dotare, o si deve dotare, questi uomini di carattere professionale di addestramento anche e soprattutto più generale e completo.
Ma dal punto di vista dell’assetto normativo ed organizzativo della sicurezza, ci sono in vista scadenze e appuntamenti più immediati? Mi pare che una grande questione riguardi la devolution, la riforma del Titolo quinto della Costituzione.
Si, su questo diciamo che un po’ di allarmismo è rientrato; almeno per quanto riguarda la mediazione che si prospetta. Non tocca certo ai sindacati di Polizia giudicare, ma c’è un problema serio da affrontare. Certamente bisogna individuare meglio le responsabilità e le competenze delle singole Polizie, siano esse regionali, siano esse provinciali, siano esse statali; perché altrimenti anziché andare verso un tentativo di coordinamento, di razionalizzazione, perché chiaramente tutti ci dicono che spendiamo troppo per la nostra sicurezza, il rischio che si corre attraverso la devolution è quello di aumentare la spesa per la sicurezza a livello complessivo. Un aumento della spesa a cui non corrisponde necessariamente un’adeguata risposta in termini di qualità; dobbiamo essere in grado di dare quelle risposte in positivo che la gente si aspetta, per cui si frammenta, si frazionano le Polizie, ma non si frazionano i compiti e le specificità.
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