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marzo/2005 - Interviste
Mafia & C.
"Il coraggio c'era ora è organizzato"
di a cura di Paolo Andruccioli

Intervista a Tano Grasso, consulente antiracket e antiusura dei Comuni di Roma e di Napoli; per la prima volta in Italia settanta associazioni antiracket agiscono per denunciare e contrastare il fenomeno dell’estorsione, allargandosi anche ai problemi dell’usura

Facciamo un po’ di storia. Quando è nato il Movimento antiracket?

La prima associazione antiracket fu costituita nel 1990 a Capo d’Orlando, ufficialmente il 7 dicembre del 1990, ma fu nell’autunno del ’90 che si iniziò a lavorare per mettere insieme questo tipo di esperienza, come risposta ad una serie di attacchi estorsivi che si verificavano a Capo d’Orlando, da parte di due gruppi criminali che avevano la loro origine prevalentemente a Tortorici, aggredivano i commercianti di Capo d’Orlando, la risposta fu il costituirsi di questa associazione. Poi gli arresti vennero fatti a gennaio, perché nasce l’associazione e contestualmente ci sono le denunce degli operatori economici; la cosiddetta denuncia collettiva, quella che poi fu la caratteristica dell’associazione antiracket. A gennaio ci furono gli arresti, il 31 luglio ci fu l’udienza preliminare - è importante questa data - poi a fine novembre del 91 ci fu la sentenza in primo grado; poi l’appello a novembre del ’92 e la Cassazione a giugno del ’93: il famoso processo di Capo d’Orlando, mi pare contro 19 imputati.
Niente di simile c’era stato mai in Italia. C’erano sempre stati operatori economici che avevano denunciato; ci sono stati imprenditori che si sono rifiutati, che si sono opposti al racket; la novità è stata che questa opposizione avviene in maniera organizzata, non più basata sul coraggio dell’imprenditore che si indigna, non ce la fa più, che dice “io non voglio cedere” e denuncia forte del suo coraggio, ma la novità è che questo coraggio viene organizzato. E nel momento in cui viene organizzato si costruisce un modello straordinario di sicurezza, perché mentre prima c’erano probabilità che alla denuncia di un commerciante corrispondesse il suo omicidio o un crimine contro di lui o una rappresaglia grave, un attentato, adesso questo non avviene più perché il modello dell’associazione - l’altra grande novità - garantisce una sicurezza a chi denuncia e lo mette al riparo da questa eventualità. Da allora ci sono stati un centinaio di processi, forse anche di più, in ogni parte d’Italia e mai nessuno di quelli che hanno denunciato ha mai subito rappresaglie. Ed è anche comprensibile.
Per il mafioso se c’è uno che si espone e denuncia, è lui solo, la mafia lo uccide (come Libero Grassi) e risolve, ma se ci sono 10 commercianti che denunciano che fa? Ne ammazza 10? Non puo ammazzarne 10 anche perché, quando c’è l’associazione, per 10 che denunciano ci sono altri 90 associati, quindi c’è un consenso forte di tutta la comunità, questa è la grande novità.
E questo è un movimento; oggi è composto da 70 associazioni, sul modello dell’associazione di Capo d’Orlando. Queste associazioni hanno adottano questo modello e questo metodo e sono cresciute lentamente in questi quindici anni.

E sono soprattutto concentrate nel Meridione?

Certamente, e nascono soprattutto come associazioni antiracket. Vengono realizzate in termine di contrasto alle estorsioni, poi nell’arco del tempo si allargano anche ai problemi dell’usura, ma nascono con la caratteristica di antiracket quindi non possono che essere al Sud, dove il fenomeno dell’estorsione è un fenomeno di massa.

E’ importante la differenza tra usura e racket? Nel tuo libro, “U pizzu”, stabilisci una differenza.

Il racket ha una connotazione tipica mafiosa, l’usura no. Tu immagina un territorio dove c’è una famiglia mafiosa, questa famiglia mafiosa ha un fatturato di attività criminale di 100; su cento il ricavato da racket è 5, questa famiglia mafiosa non può fare a meno di quel 5 perché esso, pur con il rischio che comporta, assicura alla famiglia mafiosa il controllo del territorio. Questo è il punto cruciale. L’usura è un fenomeno che ha una diffusione omogenea sul territorio nazionale, non è solo lì dove c’è la mafia; l’usura nasce in un contesto di indebitamento, di difficoltà finanziaria delle persone; non a caso dell’usura si è tornato a parlare a seguito della vicenda di Milano, il suicidio del macellaio.
Se noi dobbiamo vedere una geografia dei due fenomeni, una delle regioni con maggiore presenza di usura è il Lazio, che non è una regione a presenza mafiosa come lo sono la Calabria, la Campania, la Sicilia. L’usura è un fenomeno che esiste a Milano, a Monza, in Lombardia. Esiste dove ci sono difficoltà economiche, dove vi è una situazione di emarginazione economico-finanziaria, dove vi è una situazione di indebitamento. Lì nasce l’usura; invece il racket nasce dove c’è una presenza mafiosa e dove c’è un’azienda che produce, perché il mafioso non va a chiedere il “pizzo” ad una azienda decotta.
Dicevo prima che quel famoso 5 è necessario alla criminalità. Perché la famiglia mafiosa può fare 95 e lo può ricavare facendo traffici di stupefacenti, di armi, però questi cespiti li realizza in giro per il mondo, e perciò quel 5 assicura alla famiglia mafiosa il radicamento sul territorio, e non esiste mafia senza territorio, questo è un punto concettuale strategico: non ci può essere mafia senza territorio. Ci possono essere attività mafiose, ma perché ci sia mafia ci deve essere un territorio, perché la famiglia mafiosa, in quel territorio, costruisce la sua identità.

Quindi non è soltanto un fatto economico?

No, lo è anche ed io ho fatto l’esempio di una famiglia mafiosa ricca, ma il “pizzo” rappresenta anche l’accomulazione originaria della famiglia mafiosa. Se torniamo indietro e vediamo come inizia la ricchezza ci rendiamo conto che inizia proprio col “pizzo”: i soldi che la famiglia ricava con il “pizzo” servono a pagare i soldati e per comprare la partita di droga.
Il pizzo è un’attività fondamentale per la selezione dei gruppi dirigenti mafiosi, perché è un tirocinio, il mafioso deve avere l’abilità a sparare, deve essere coraggioso, ma il fatto di essere killer non è sufficiente per essere un bravo mafioso; per essere un bravo mafioso bisogna avere rispetto. E il rispetto come lo si ha? Se tu riesci ad intimidire un commerciante. Immaginiamo un ragazzo, delinquente, che diventa mafioso perché riesce ad ottenere il pagamento del “pizzo” da un industria con 50 dipendenti. Quel ragazzo non è più un ragazzo così, è un ragazzo che viene pagato da un industriale affinché lui gli garantista “sicurezza”, e il suo prestigio cresce.

Nel ’99, con il governo D’Alema, hai avuto l’incarico nella Commissione antiusura, che ricordi di quel periodo?

L’incarico precisamente era “Commissario antiracket e antiusura”, che fu una figura istituita per legge nel 1999 con la legge 44. Il commissario esisteva dal ’94, ma come straordinario, quindi come figura che poteva esserci o no, mentre adesso la figura istituzionale è per legge.
Per me la cosa più importante di questa esperienza è quella di aver stabilito una relazione fortissima tra società civili e associazionismo da un lato e istituzioni dall’altro. Cioè dentro l’istituzione, ero rappresentante di questo movimento e dentro l’istituzione ho rafforzato il rapporto con il movimento, ho costituito questa forte sinergia tra istituzione e movimento. E il momento più alto di quell’esperienza fu la prima conferenza nazionale contro il racket e l’usura, che si tenne nel gennaio del 2001 alla presenza del presidente Ciampi

Nel tuo libro sostieni che l’esperienza antiusura è importante anche perché fa dialogare tra loro la società civile e le istituzioni. La puoi spiegare meglio?

Non solo possono dialogare, ma quando noi parliamo di questi fenomeni dobbiamo renderci conto che può essere combattuto solo se c’è la collaborazione della società civile, del commerciante. Il “pizzo” non si può combattere solo con una attività di Polizia o giudiziaria, si può combattere se hai la collaborazione delle vittime, della parte offesa, dei commercianti. E per avere la collaborazione cosa serve? Serve la fiducia. O si riesce a costruire questa relazione di fiducia o la gente non denuncia. La gente si deve fidare. Per esporsi deve sapere che c’è il poliziotto, il carabiniere di cui potersi fidare e a cui poter affidare la propria vita.

Dopo questa esperienza personale, come hai proseguito il tuo lavoro?

Ho avuto la fortuna (perché la giudico come tale) di inventare un altro tipo di attività; sia il sindaco di Roma Veltroni che la Jervolino di Napoli mi hanno dato una eccezionale occasione, cioé quella di costruire un modello di intervento del Comune, dell’ente locale, su questi temi. E questa è una cosa molto bella per me, perché anche qui abbiamo creato un’altra cosa (questo dove sto parlando è l’ufficio del Comune di Roma). Allora si scoprono tutta una serie di competenze, di possibilità, per cui il Comune diventa un soggetto attivo sul territorio contro i problemi del racket e dell’usura. Questa è una grande novità, non era mai successo in Italia.
A Roma una delle caratteristiche di questa attività è la costituzione di tre sportelli contro l’usura, sono sportelli su tre territori, contiamo di fare il quarto e il quinto perché hanno una efficacia notevole. A Roma dunque gli sportelli antiusura, a Napoli abbiamo le associazioni antiracket, che non si erano mai costituite. Abbiamo realizzato quello che da quindici anni esisteva in Sicilia, in Calabria.

Come possiamo definire l’usura?

Un grande e purtroppo sottovalutato pericolo. Noi non abbiamo idea, non ci si rende conto del grande pericolo costituito dall’usura. Pericolo serio, l’esempio che ho già citato del suicidio di Milano è il campanello d’allarme. C’è una situazione in cui vi è una crisi economica terribile, una situazione di difficoltà finanziaria notevole e questa situazione porta le persone ad essere esposte al rischio di usura, oggi in una dimensione in cui non si riesce ad avere una idea precisa.
Parliamo di fenomeni vastissimi, con percentuali molto più alte di quello che si immagina. Ma molto spesso l’usuraio è una persona incensurata, è un colletto bianco, è un commercialista, un commerciante, un imprenditore, insomma una persona insospettabile. E questo “insospettabile” appare alla vittima, in quel momento, come il suo salvatore.
Mentre il racket è sempre organizzato, l’usura può essere fatta anche da singoli individui insospettabili. A Palermo il racket è organizzato in maniera centralistica, c’è Cosa nostra che stabilisce le regole, ogni famiglia le applica. A Napoli, in un territorio camorristico, ha le sue regole e le applica. L’usura è l’usuraio che fa l’usura, a volte la fa insieme ad altri e quindi diventa associazione a delinquere, ma può essere anche solo, mentre non può essere solo nell’estorsione. Se c’è un estortore da solo non è un’estortore mafioso, non è pericoloso. L’estortore da solo è un tossicodipendente che ti viene nel negozio con la siringa a minacciarti, è un’estorsione reato, ma non è estorsione “pizzo”.

Rispetto alla pericolosità, rispetto alla risposta, tu hai aperto già questa rete che mi sembra una grossa cosa, dal punto di vista invece dei finanziamenti, la presenza delle banche...

Ad esempio, dal punto di vista degli strumenti, bisogna denunciare purtroppo un grave ritardo, una inadempienza da parte del governo per quanto riguarda la lotta all’usura
Nella legge 108 del 1996 che è la legge che innova la disciplina sull’usura, ci sono tre pilastri: uno è l’aspetto penalistico (cioè la sanzione penale: definire l’aspetto penale, agevolare le prove, ecc...), un altro è la prevenzione (l’artico 15 che istituisce il fondo di prevenzione per l’usura), un altro pilastro è la solidarietà (l’aiuto che si da alle vittime che denunciano l’usura). Attualmente di questi tre pilastri ben due vengono messi in discussione. Uno è quello penalistico: se dovesse passare la legge sulla prescrizione (quella che i giornali chiamano la cosiddetta “salvaPreviti”), cancelleremmo di fatto il reato di usura dal Codice penale; cioé non avremmo più la possibilità di avere sentenze definitive contro l’usura; abbiamo fatto una ricerca di massima e i procedimenti penali contro l’usura durano tutti oltre il periodo di sette anni e mezzo previsti. Se si abbassano i termini di prescrizione, che oggi sono 15, alla metà, sarà quasi impossibile perseguire il reato di usura con sentenza definitiva; se dovesse passare questa legge si demolirebbe uno dei tre pilastri.
L’altro pilastro è quello della prevenzione, per il quale non ci sono più finanziamenti (l’ultimo fu fatto con la legge Finanziaria per il 2001 approvata nel 2000), quello fu l’ultimo intervento fatto dal Parlamento per finanziare questo fondo.
Ancora una cosa: ci domandiamo perché sono così tanti i processi per l’usura. Ma perché costruire una prova in un processo per usura è una cosa difficile: ci vuole la perizia del consulente tecnico.

Si fa un gran parlare della proposta dell’ex ministro Tremonti, di allargare le banche, del Sud per esempio, è una soluzione?

Non c’è dubbio che un sistema bancario più moderno e più elastico, meno rigido, diminuirebbe al Sud il rischio dell’usura. Ma il problema è assai complesso e va affrontato su piani diversi.

Hai mai avuto paura?

Certo che ho avuto paura, e continuo ad averla. Io dico di diffidare di tutti quelli che dicono di non avere paura, di solito chi dice che non ha mai paura è una persona pericolosa per sé e per gli altri, perché degenera nell’incoscienza.
Certo, ci sono momenti in cui ho paura e ci sono momenti in cui paura ne ho meno. Dipende dal fatto se capisco che in quel momento non sono solo. Lo dico sempre anche ai commercianti: il problema è che il commerciante ha paura perché è solo, quando parla con altri la paura diminuisce. La paura è figlia della solitudine, quando mi sento in solitudine ho più paura, quando non sono solo mi sento più forte e ho meno paura.

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