home | noi | pubblicita | abbonamenti | rubriche | mailing list | archivio | link utili | lavora con noi | contatti

Giovedí, 22/10/2020 - 14:49

 
Menu
home
noi
video
pubblicita
abbonamenti
rubriche
mailing list
archivio
link utili
lavora con noi
contatti
Accesso Utente
Login Password
LOGIN>>

REGISTRATI!

Visualizza tutti i commenti   Scrivi il tuo commento   Invia articolo ad un amico   Stampa questo articolo
<<precedente indice successivo>>
marzo/2005 - Articoli e Inchieste
Violenza alle donne
Le "desaparecidos" in Messico
di Giada Valdannini

Storie macabre di ragazze messicane, torturate e uccise

Una volta rapite, a casa non fanno più ritorno. E’ la storia di centinaia di giovani messicane sottratte alle loro vite, torturate, stuprate e infine uccise.
La cornice del macabro rituale è Ciudad Juàrez, una cittadina industriale al confine con gli Stati Uniti. E’ lì che hanno sede numerose maquilladoras, fabbriche statunitensi, per lo più di abbigliamento. Troppo costoso pagare operai negli States, così le multinazionali si spostano oltre confine dove è facile trovare manodopera a basso costo. Solo che è proprio da queste fabbriche che molte donne scompaiono.
Secondo le organizzazioni locali di diritti umani, sarebbero “oltre 400 le donne scomparse senza lasciar traccia”, il tutto nell’arco di questi ultimi dieci anni e con una terribile puntualità. “Ogni settimana – denuncia l’organizzazione Nuestras Hijas de regreso a Casa – almeno una donna scompare e di lei non si sa più nulla a meno che il rapitore non decida di lasciarla da qualche parte senza vita, brutalmente mutilata, bruciata, uccisa”.
Le operaie delle maquilladoras sono in molti casi donne che vivono e lavorano nella precarietà e pertanto sottoposte a un rischio maggiore di subire violenza. Spesso abitano distante dal luogo di lavoro e sono costrette ad attraversare in piena notte campagne deserte. Proprio in questo tragitto rischiano la vita. Nel percorso verso nuove opportunità di lavoro trovano l’inizio dell’incubo.
Da tempo, Amnesty International sta lavorando ad un’inchiesta per documentare i casi irrisolti ma, per ora, ben poco ha potuto. Lo scoglio principale è il governo del Paese che “in merito alla questione si è mosso poco e male”. Le morti di queste donne non hanno un prezzo politico per le autorità locali e in più di un’occasione la colpa del rapimento e del brutale assassinio è attribuita alle stesse vittime: “vestivano in modo sconveniente”. Sta di fatto però, che dietro le sbarre sono finiti in pochi e non si sa neppure se gli uomini assicurati alla giustizia siano effettivamente gli esecutori delle uccisioni. Dure le parole di Amnesty International: “Non essere riusciti a fermare dieci anni di sequestri e omicidi la dice lunga sulla capacità del governo messicano di tradurre in realtà la sua retorica sui diritti umani”.
Di fronte a tutto ciò neppure le proteste delle famiglie hanno sortito effetto e anzi, in varie occasioni, sono state messe a tacere. “Non ci meritiamo il trattamento e il dolore che stiamo provando ogni giorno – ha detto la madre di una vittima –. Quello che chiedo è che trovino mia figlia e che giustizia sia fatta”. Ciò che è più allarmante è che in questi anni le autorità locali non abbiano promosso delle vere inchieste: “Hanno molte ipotesi investigative, indirizzi, numeri di telefono, nomi e non sono stati inoltrati – denuncia la madre di una giovane rapita -. Ho fornito loro parecchie informazioni ma non sono state incluse nel dossier”.
Delle centinaia di donne solo di alcune è stato ritrovato il cadavere, mentre delle altre si è persa ogni traccia. Resta fitto il mistero su 70 dei corpi rinvenuti visto che, date le condizioni, non è stata possibile l’identificazione.
Quel che è certo è che i corpi ritrovati raccontano chiaramente le sofferenze patite. “Quando la trovammo, il corpo di mia figlia diceva tutto ciò che le era stato fatto”, dice Norma Andrade, la madre di Lilia Alejandra, il cui cadavere fu ritrovato nel febbraio del 2001 in un terreno abbandonato a pochi passi da una maquilladora.
Strazianti i referti dei medici legali: “Il corpo di una donna non identificata è stato trovato sulle pendici del Cerro Bola (…) in posizione supina e con indosso dei pantaloni con la cerniera aperta tirati giù fino alle ginocchia (…). Abrasioni sul seno, sulla mandibola e sul mento. Morte per asfissia o soffocamento”.
Il primo di questi “omicidi seriali”, così li definisce il governo locale, avvenne nel 1993 e da allora, almeno in 60 casi, gli omicidi sono stati concepiti “secondo uno stesso modello”.
Per gli inquirenti sarebbero molte le ipotesi sui moventi ma anche sulle possibili coperture garantite agli assassini. Sta di fatto che dietro a questo inquietante mistero criminale, potrebbero esserci orge perverse, compravendite di organi, sacrifici umani o addirittura gli snuff movies: brevi filmati, girati su commissione, nei quali una o più persone vengono volontariamente uccise. Il tutto mentre diverse testimonianze indicano che gli assassini potrebbero aver beneficiato di appoggi negli ambienti legati al traffico di droga o a quelli della politica locale.
Secondo il famoso investigatore dell’Fbi, Robert K. Ressler, inventore dell’espressione “serial killer” e consulente del film “Il silenzio degli innocenti”, dietro le uccisioni seriali ci sarebbero almeno due assassini, presumibilmente neppure messicani.
E’ evidente che qualsiasi inchiesta, al momento, sia costretta a naufragare perché – assicurano gli inquirenti – “dietro la vicenda si profilano strane trame e un gioco gestito dall’alto”. Lo dimostrano le continue intimidazioni cui sono sottoposti i legali, tanto dell’accusa quanto della difesa. Emblematico il caso dell’avvocato Irene Blanco, che curava gli interessi di un cittadino incriminato. Dopo aver chiesto al procuratore generale di esser sottoposto alla macchina della verità l’uomo, accusato di omicidio, è stato chiuso nel più totale isolamento e la sua legale è stata prima minacciata di morte e poi costretta ad abbandonare il caso.
Ciò non fa che aumentare i dubbi di coloro che dicono: “Gli arresti non convincono”. Esther Chavez Cano, direttrice di un’associazione contro la violenza tra le pareti domestiche, dice: “E’ una trappola. Non modifica affatto la situazione, i delitti continueranno”. Nel corso degli anni comunque, tra gli indagati, torna spesso il nome di Alejandro Màynez che, pur facendo parte di una banda di trafficanti di droga, avrebbe beneficiato della protezione del governatore dello Stato di Chiuahua, dove si trova appunto Ciudad Juàrez.
Di fronte alle incalzanti richieste delle associazioni dei diritti umani, il governo locale non si è pronunciato in alcun modo.
Così, mentre questi “spree murders” (assassini per divertimento) – così definiti dal criminologo Ressler - si muovono indisturbati, continua la serie di rapimenti. E può darsi che, in questo stesso istante, una donna stia morendo tra atroci sevizie e mutilazioni.

<<precedente indice successivo>>
 
<< indietro

Ricerca articoli
search..>>
VAI>>
 
COLLABORATORI
 
 
SIULP
 
SILP
 
SILP
 
SILP
 
SILP
 
 
Cittadino Lex
 
Scrivi il tuo libro: Noi ti pubblichiamo!
 
 
 
 
 

 

 

 

Sito ottimizzato per browser Internet Explorer 4.0 o superiore

chi siamo | contatti | copyright | credits | privacy policy

PoliziaeDemocrazia.it é una pubblicazione di DDE Editrice P.IVA 01989701006 - dati societari