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marzo/2005 - Articoli e Inchieste
Mafia & C.
Affari per cento miliardi di euro
di Franco Coppola

Usura, racket, traffico di armi e stupefacenti: questi i filoni principali dai quali il crimine organizzato trae i suoi profitti che poi reinveste in attività insospettabili. I “nuovi mercati” delle famiglie mafiose


Certo non è stato uno spettacolo esaltante vedere la sala semivuota a Palermo, durante un convegno che aveva come tema il “pizzo”, ovvero la tangente che un numero sempre più crescente di negozianti e imprenditori deve versare nelle casse di mafia ed altre organizzazioni similari. E non soltanto nel Mezzogiorno dell’Italia.
Nel corso del convegno palermitano, il vicepresidente di Confindustria Ettore Artioli, di fronte alla già ricordata platea desolatamente vuota (erano presenti il prefetto, il questore, il comandante dei Carabinieri, il procuratore generale della Repubblica) ha lanciato alcune proposte che ben s’intonavano al tema della giornata che era “Racket: testimoniare o tacere”.
Dopo oltre un decennio dall’omicidio di Libero Grasso, il commerciante siciliano ucciso perché si era opposta al “pizzo”, alla luce delle analisi di magistratura e Polizia che parlano del 70% di imprese che pagano il “pizzo” in silenzio, ecco una iniziativa degli imprenditori siciliani che pensano alla “denuncia collettiva” per ribellarsi al “pizzo” senza rischiare più di tanto. “Noi abbiamo mogli, figli, aziende, lavoratori da difendere - dicono i promotori - e vogliamo uscirne ma senza esporci singolarmente e personalmente”. Insomma le vittime delle estorsioni vorrebbero “segnalare” senza “denunciare”, raccontare senza essere costretti a testimoniare.
Fuori del teatro palermitano ove si svolge il convegno, e cioè nella centrale via Roma (dove moltissimi negozi sono costretti a pagare) i commercianti guardano lo sparuto gruppetto di partecipanti. Il sistema, dunque, si basa sul silenzio delle vittime, quasi un tacito accordo fra taglieggiati e taglieggiatori.
In situazioni di crisi economica fra gli esercenti, la mafia concede anche dilazioni o rateizzazioni.
Ma certo in Italia la mafia (o la camorra , o la ’ndrangheta) non operano solo sull’ormai tristemente famoso “pizzo”.
L’usura è l’altro, cospicuo cespite di guadagno per le organizzazioni criminali. C’è quasi un nesso logico fra i due fenomeni: o si paga o ci si trova con il negozio o l’azienda bruciata; se non hai soldi per pagare, rivolgiti a noi che te li prestiamo (a tassi da capogiro). E se poi rimani... strozzato, non ti devi preoccupare: la tua attività te la comperiamo noi per un prezzo pari all’importo del prestito che ti abbiamo concesso.
In questo scenario, non può certo meravigliare, se a volte la tragedia diventa la conclusione degli eventi. Uno dei tanti casi è quello del commerciante milanese, con un negozio di macelleria, che si è tolto la vita ormai strangolato dagli usurai, questa volta di origine slava, ma forse braccio operativo di grosse centrali nostrane. Il macellaio si è impiccato una mattina, sul posto di lavoro, al mercato comunale coperto di viale Monza, perché - come spiega in una struggente lettera d’addio trovatagli in tasca e nella quale nomina nome, cognome e indirizzo dello strozzino - era ormai sul lastrico. E non solo non sarebbe mai stato in grado di far fronte ai debiti, ma - come scrive sempre nel messaggio d’addio - non avrebbe “più potuto vivere in quel modo” senza più niente, nemmeno “la dignità di vivere” perché anche quella gli era stata “tolta” dallo strozzino. Il macellaio, infatti, aveva accumulato in due anni un debito di oltre 100mila euro, denaro prestatogli a un tasso superiore al 20% mensile.
Come è prassi in queste circostanze, qualche cifra può far comprendere meglio la vastità del fenomeno. “Il fatturato annuo lordo della criminalità mafiosa in Italia ammonta a cento miliardi di euro l’anno”. E’ la denuncia del procuratore nazionale Antimafia Pier Luigi Vigna ad una assemblea dei consigli generali Cgil, Cisl e Uilsulla fine del gennaio scorso. Il dato, di eccezionale gravità, tale da inquinare l’economia dell’intero Paese, emerge da un’analisi di intelligence ma anche da dati raccolti sul campo da investigatori e magistrati. “Il problema più grande è proprio quello della criminalità economica”, aggiunge Vigna. Anche perché i cento miliardi sono soltanto il frutto dell’attività criminale tradizionale: stupefacenti, appalti, armi, prostituzione. Non è compreso il fatturato delle nuove mafie che, secondo il procuratore nazionale Antimafia, punterebbero ora al controllo di ogni attività economica. “Il prossimo bersaglio della criminalità organizzata è quello del travolgimento delle regole di mercato. In certe zone si vendono solo certi prodotti di certe marche, tutti gli altri vengono estromessi - ha precisato Vigna - e se l’economia reale è in mano alla criminalità, non c’è percorso verso la democrazia”. Secondo Vigna quello che serve è una grande forza di denuncia sulle tipiche attività dove si esercita la mafia: dai calcestruzzi, alle cave, agli ipermercati. Quello che serve è contrastare la più grande opera strategica delle mafie che hanno distolto la fiducia dei cittadini dalle istituzioni per orientarla verso di loro. Ma l’impresa mafiosa fa solo la propria utilità”. La pesante presenza della mafia sulle imprese del Sud contribuirebbe a quel nanismo imprenditoriale “spesso frutto di autocondizionamento”.
E a questo proposito Vigna ha fatto riferimento a tipiche attività dove il sistema criminale riesce ad avere anche “consenso” controllando anche il mercato del lavoro oltre che a costituire aziende che detengono il monopolio del settore: quello del movimento terra, dell’agricoltura, ma molto ancora resta da fare.
Vigna ha poi ricordato la situazione campana. “La vecchia Parmalat aveva dato in concessione ad un’azienda della camorra il suo marchio perché ne aveva un ritorno in quanto gli garantiva il controllo totale della zona”. O a Caserta dove la distribuzione dell’acqua è in mano alle cosche, o la distribuzione del pane in altre aree del Mezzogiorno. “Se tuteliamo la libertà economica tuteliamo - ha aggiunto -, come ci dimostrano anche altri Stati, anche la democrazia poiché siamo concordi che il vero obiettivo della malativa è di non rendere libera l’iniziativa privata. Tutti parlano del nanismo delle imprese nel Sud, ma io credo che vi sia anche l’autocondizionamento che l’imprenditore, pur non direttamente minacciato, si pone per non invadere produzioni che sono in mano al crimine”. In questo senso il procuratore Antimafia ha ricordato che vi è stata “un’evoluzione dell’impresa mafiosa: negli anni Sessanta era lo stesso boss ad essere il titolare dell’azienda ed ora invece partecipa in modo sempre più sofisticato a imprese che operano nei diversi comparti. Per questo - ha concluso Vigna - quel fatturato annuo della mafia Spa, che non viene investito tutto ma solo in parte nelle attività illecite, è un vero pericolo per la democrazia e l’economia”.
Oltre alle province meridionali ed insulari d’Italia, che vantano il triste fenomeno della presenza mafiosa, ci sono anche altre zone del nostro Paese che sembrano competere, nello specifico, con il Mezzogiorno. Il Lazio, tanto per citare un esempio, è... sulla buona strada.
In questa regione, tanto per citare un esempio, il già ricordato cancro dell’usura spietata, indubbiamente riconducibile alle “famiglie” criminali, fa registrare un giro di affari di un milione e seicentomila euro ogni anno, con un numero di commercianti e piccoli imprenditori caduti nella rete, valutato in oltre ventunomila.
In Campania il giro dei soldi ad usura arriva a un milione e quattrocentomila euro e sono 24mila i commercianti che chiedono aiuto agli usurai. In Sicilia ventimila persone sono sotto “tutela” degli strozzini con un giro di un milione di euro.
Questi ed altri dati sono emersi dalla ricerca promossa da “Sos Impresa”, presentati al convegno “Un altro modo di pensare la sicurezza: serenità”. E nel 2003 risultano aumentati i reati denunciati all’Autorità giudiziaria del 4,2%. Sono poi seimila, secondo Sos Impresa, i commercianti, soprattutto di Roma e dell’Argro Pontino, taglieggiati.
Sempre nel Lazio risultano sette gruppi collegati alla ’ndrangheta, otto a organizzazioni campane, nove a famiglie di Cosa nostra, come dimostrano anche importanti arresti e la recente operazione a Latina; c’è anche un aumento delle organizzazioni dedite allo spaccio di droga. Nel 2003 il Lazio è stata la seconda regione per numero di persone segnalate per traffico di stupefacenti, la prima per sequestro di cocaina, con 1.269 chilogrammi sequestrati, e sempre nello stesso anno sono stati registrati 79 decessi per overdose. Si stanno poi diffondendo droghe sintetiche come l’Ice o il Chat.
Per quanto riguarda l’usura, quello che manca, e Roma potrebbe essere la capofila, è l’omogeneizzazione della legislazione adottata da tutte le Regioni italiane. Se si vuole combattere l’usura si deve polarizzare l’attenzione sulla finanza etica e sul microcredito.
Sulla presenza nella Regione Lazio di organizzazioni criminali di stampo mafioso (camorra e ’ndrangheta) lo stesso prefetto di Roma Achille Serra ha denunciato che il litorale laziale è controllatissimo, monitorato da quattro comitati di sicurezza. Esistono organizzazioni criminali già insediate, ma non sa fino a che punto sono di stampo mafioso. Non risulta che ci sia un grosso pericolo esistente, però è possibile. E, per questo, c’è da parte delle Forze dell’ordine una grande attenzione. “Non c’è consapevolezza - ha commentato dal suo canto Tano Grasso - che aree del Lazio siano a rischio per la presenza di organizzazioni di stampo mafioso, come dimostra la recente operazione ad Ostia. Roma non è Napoli, il sud del Lazio non è il casertano, ma esiste un livello di rischio che se sottovalutato oggi, domani potrebbe farci piangere. Il problema della sicurezza non è solo un problema delle Forze dell’ordine. Su una serie di questioni non si riesce ad intervenire. Il presidente di una Regione deve diventare il promotore di relazioni di fiducia, deve abbattere la soglia di paura, senza nascondere i problemi”.
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Ostia fa gola al crimine

“Aspettiamo la visita del presidente della Commissione parlamentare Antimafia perché Ostia ha bisogno di un segnale forte, ma anche di un impegno maggiore, nel contrasto delle infiltrazioni criminali”. Il presidente del XIII Municipio di Roma Davide Bordoni è preoccupato. E ha chiesto a Roberto Centaro, deputato a capo della Commissione Antimafia, un vertice da tenersi nella cittadina costiera squassata da episodi inquietanti.
Recentemente sono avvenute due gambizzazioni, una a Ostia e una ad Acilia, entrambe alla luce del giorno e contro due persone note alla giustizia come spacciatori. Due episodi che si aggiungono all’operazione “Anco Marzio” di novembre scorso con diciannove persone in carcere, si sommano agli innumerevoli attentati incendiari a danno di negozi e auto in sosta, si aggiungono alla serie ininterrotta di rapine.
“E’ un territorio che fa gola ad investitori onesti ma anche a chi vuole speculare”, osserva Bordoni. “C’è bisogno di una risposta forte da parte della città”, ha osservato Tano Grasso.

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La mappa dell’usura in Italia

Quelle più a rischio...

(Indice globale di rischio usura)

Reggio Calabria 61,18
Catanzaro 54,50
Vibo Valentia 51,98
Caltanissetta 47,67
Crotone 47,30
Napoli 42,15
Enna 41,73
Palermo 41,34
Taranto 40,71
Brindisi 40,36

...e le più virtuose

Bologna 0,04
Parma 0,08
Bolzano 0,21
Trento 0,23
Reggio Emilia 0,33
Brescia 0,35
Forlì - Cesena 0,42
Ravenna 0,51
Sondrio 0,55
Verona 1,28

Fonte: Centro Paolo Baffi per il ministero dell’Economia

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Estorsioni e usura in Sicilia

300mila i commercianti in Sicilia

25mila gli imprenditori

50mila le aziende taglieggiate nel 2004
secondo le stime ufficiose degli inquirenti

452 le denunce presentate

510 le denunce presentate nel 2003

2mila euro la cifra annua minima del pizzo pagato dalle aziende

20mila euro la cifra massima

54 le denunce per usura nel 2004

58 le denunce per usura nel 2003

24 miliardi il giro d’affari annuo nazionale degli usurai

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L’usuraio malefico

La storia di un usuraio: Giggino, soprannominato “il malefico” perché lo è di nome e di fatto; unico suo dio, il denaro e per procurarselo ha fatto suo il più machiavellico dei principî: il fine giustifica i mezzi. E così irretisce fanciulle e giovani sposi, piccola e media borghesia schiava delle apparenze che, pur di far bella figura, con un matrimonio tanto sfarzoso da risultare kitsch, ricorrono al “prestito”; oppure per una vacanza alla moda si è disposti a mettersi sotto le grinfie dell’usuraio. Ma a lui ricorrono anche prostitute e prostituti che vogliono comprare al lenone la Mercedes ultimo tipo.
Un romanzo verità (Pasquale Ferro - “Mercanti di anime e di usura” - ed. L’Ancora del Mediterraneo, e 10) sulla realtà oscura dei vicoli di Napoli, dove l’oggettività dei fatti si cela dietro l’invenzione di una scrittura che rimanda alle ombre cupe di Ferdinando Mastriani.



















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