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marzo/2005 - Articoli e Inchieste
Giustizia
I mali di sempre
di Edgardo Astori

Lunghezza esasperante delle cause (otto anni, in media, per quelle civili), mancanza di personale ausiliario e di attrezzature: tutto ciò offusca il sistema giudiziario. Gli stessi vertici della magistratura non hanno mancato di evidenziare le carenze del settore

Le cifre più allarmanti nel campo della Giustizia, secondo i vertici della magistratura che le hanno riferite nel corso delle inaugurazioni dell’anno giudiziario, si riferiscono ai reati rimasti senza colpevoli: il 95% dei furti e il 50% degli omicidi, siano essi consumati o tentati.
Ma non è tutto qui. Se alcuni tipi di reati tendono a scendere, si deve registrare un picco impressionante per quanto attiene le violenze sessuali: 48% in più.
Queste cifre, e tante altre considerazioni, sono state illustrate dal procuratore generale della Corte di Cassazione Francesco Favara.
La sua relazione sullo stato della Giustizia in Italia è stata pacata ma non indulgente, serena ma severa. Severa con tutti: con il potere legislativo che invece di pensare alla prevenzione dei reati pensa alla repressione; severa con i cuoi colleghi procuratori, che permetto un effetto distorto delle indagini preliminari; severa con gli avvocati, rei di non favorire la celerità dei processi con le loro strategie dilatorie.
Il bilancio è da bollettino di guerra. Ma stavolta, davanti alle massime autorità dello Stato, il pg della Cassazione ha cercato anche di individuare le cause e di proporre soluzioni.
L’efficacia della Giustizia, in sostanza, è stata la prima preoccupazione del procuratore generale. Racconta un paradosso che, se non fosse vero, sarebbe da riderci: la cosiddetta legge Pinto, quella che avrebbe dovuto consentire di ottenere un rimborso a chi ha subito le lungaggini del processo, sta contribuendo ad allungare i processi. Già, perché la gente protesta per i risarcimenti esigui e fa ricorso in Cassazione. E processi si aggiungono a processi. Quanti? 1.052 nell’ultimo anno, solo sulla legge Pinto. Il conto globale fa paura: 9 milioni i processi pendenti in Italia. E siccome in un processo ci sono almeno due soggetti interessati, ci sono 18 milioni di italiani che aspettano giustizia.
Scrive Roberto Martinelli su “Il Messaggero” del gennaio scorso: “... Dato per scontato quello che è ogni anno il bollettino della sconfitta della Giustizia, alcuni brani della relazione del pg debbono indurre a meditate riflessioni tutti gli addetti ai lavori, ma soprattutto i pubblici ministeri ai quali è fatto obbligo di cercare, accanto alle prove della colpevolezza, quelle dell’innocenza dell’indagato. Un discorso già fatto, che tuttavia torna di attualità per le valutazioni dell’alto magistrato. Un dato su tutti: nel 2004 sono stati spesi quasi seicento miliardi di vecchie lire per intercettazioni telefoniche ed ambientali ed i costi sono in continuo aumento. Se questo spiega l’uso indiscriminato del più invasivo, e spesso deviante, strumento di indagine, non giustifica la disinvolta utilizzazione che ne vien fatta nei capi di accusa. Decine e decine di conversazioni registrate, spesso suscettibili di valutazioni e interpretazioni contrastanti, vengono prese invece per oro colato e contestate come indizi di colpevolezza.
Tutto questo pone una serie di problemi alla difesa, soprattutto a quella dei meno abbienti. Il procuratore generale ha detto infatti che un processo ipergarantito è un processo ipercostoso cui possono accedere in pochi. Il che comporta il rischio che, all’interno di un processo unitario, nella prassi reale se ne creino due: quello più garantito per chi può permetterselo e quello meno garantito per chi non può. Episodi recenti e clamorosi hanno evidenziato come l’imputato che ha maggiori possibilità economiche possa affidare la sua difesa a principi del foro e affrontare la spesa di costose indagini difensive. Chi non ha queste possibilità, deve limitarsi ad usare i soli strumenti processuali delle eccezioni e delle impugnazioni procedurali, che lasciano il tempo che trovano, fanno solo guadagnar tempo e non sono certo in grado di disseppellire l’indagato sepolto sotto montagne di intercettazioni telefoniche. Che a volte dicono tutto e niente, ma che spesso diventano prove regine in mancanza di valide controprove...”
Torniamo alla situazione della Giustizia in Italia: le donne, i minori, la famiglia. Riguardano proprio queste categorie, le cifre più allarmanti che si desumono dalla relazione del procuratore generale della Cassazione. I dati sulle violenze sessuali fanno registrare un aumento del 48%. Quasi sempre, poi, l’ambiente in cui maturano è quello familiare. Molti distretti segnalano che questo tipo di reati, “in percentuale sempre maggiore, si riferisce ad adescamento e violenza nei confronti di bambini”. Il fenomeno spiega il pg, “in passato occultato per motivi di carattere socio-culturale, oggi è in fase di emersione. Verosimilmente, l’aumento delle denunce è determinato non solo e non tanto dalla maggiore commissione dei fatti illeciti, quanto dalla grande attenzione riservata a tale tipo di reato dai mass media, dalle istituzioni, dalla scuola e da una più efficace rete di osservazione e protezione offerta dalle istituzioni e dai centri di volontariato che hanno determinato una generale e maggiore sensibilizzazione sull’argomento ed effetti positivi sul piano della repressione”.
A incidere sull’aumento, secondo la relazione, è anche il “crescente fenomeno dell’immigrazione clandestina, finalizzata soprattutto allo sfruttamento sessuale delle donne (in molti casi, minori di età), difficile da contrastare in quanto gestito da una criminalità organizzata a livello internazionale”.
Ed eccoci all’altro fenomeno che preoccupa i magistrati: quello della pedofilia per via telematica che pone seri problemi per quanto riguarda l’individuazione dei responsabili. Le indagini, spesso, sono lunghe ed impegnative e consentono di individuare e punire solo il fruitore ultimo del materiale immesso nel mercato da criminali totalmente privi di scrupoli, che si muovono in ambito internazionale e con strutture associative ben organizzate. Il sistema Internet è diventato da alcuni anni la forma più avanzata e moderna di collegamento tra coloro che dispongono di materiale pedopornografico e coloro che intendono acquisirlo ed utilizzarlo. L’esperienza acquisita consente di affermare che il fenomeno della pedofilia è largamento diffuso e si manifesta ormai a livello mondiale. In proposito viene segnalata l’esigenza di una legislazione omogenea che consenta di superare i profili di competenza territoriale in relazione al luogo del commesso reato”.
Per tentare di contrastare il fenomeno, in molti distretti è stato creato un gruppo di magistrati che si avvale del supporto della Polizia delle Telecomunicazioni e della collaborazione delle associazioni di volontariato. Mentre in alcuni procedimenti è stato contestato il delitto di associazione per delinquere finalizzato alla divulgazione per via telematica di materiale pornografico.
Insomma, il male peggiore per la Giustizia - secondo le relazioni dei procuratori generali dei singoli distretti giudiziari - sarebbero i “tempi lunghi” (anzi lunghissimi). Aumenta sempre di più il periodo di attesa per chi reclama giustizia. E se per una sentenza definita nel penale bisogna aspettare, in media, cinque anni, nel civile si arriva fino ad otto-dieci anni. Troppo, indubbiamente. I vertici della magistratura ritengono di individuarne la causa anche nell’assenza di filtri nelle fasi di impugnazione, oltreché sulle estensioni oltre ogni ragionevole misura delle fattispecie criminose e delle garanzie processuali, sovente prove di effettivo contenuto costanziale.
Sarebbero diciotto milioni, secondo le statistiche, i cittadini che attendono un verdetto e ben nove milioni i procedimenti pendenti (3 milioni e 365mila le cause civili e cinque milioni 580mila quelle penali).
Dicevamo del malessere (ma forse è qualche cosa di più...) della Giustizia italiana. Non a caso è stato ricordato che sono 103 le sentenze di condanna inflitte all’Italia dalla Corte di Strasburgo per “violazione del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo”. Un altro dato, in tal senso, la dice lunga: i migliaia di provvedimenti promossi per ottenere gli indennizzi previsti dalla legge che riconosce l’equa riparazione del danno materiale e morale a carico dello Stato.
Dunque la Giustizia, per i magistrati, naviga ancora in violazione dell’art. 111. Perché il legislatore di tutto si è occupato, tranne che di far rispettare il principio della ragionevole durata dei processi. Eppure, si sostiene da più parti, i magistrati di questa violazione non hanno alcuna responsabilità. Ma è vero questo assunto? Taluni settori degli avvocati sembrano non d’accordo. Anche perché - si è detto - gli avvocati non vengono mai citati dai magistrati se non per associarli alle proteste contro il governo. “Nessun procuratore generale è sceso dalla tribuna per affiancare gli avvocati nel chiedere il rispetto della Costituzione”.
Fra le tante critiche avanzate dai giudici, si segnalano quelle assai concrete: il sistema informatico, ad esempio, in molti distretti non offre alcun ausilio al lavoro del giudice: quasi nessuno di loro ha il collegamento con il Sic (Sistema Informativo Centrale) e nessuno è in grado di utilizzare direttamente i dati del sistema. I personal computer in uso ai giudici sono, in parte, obsoleti ed utilizzano programmi vecchi di oltre cinque anni. Tuttavia, in tale panorama di inefficienza tecnologica, va riconosciuto al ministro della Giustizia Castelli il merito di aver fornito personal computer ad ogni magistrato e di aver portato in Parlamento norme per sveltire il processo civile. Perché quando un giudice, come accade nella Capitale, ha in carico oltre mille processi l’anno con sopravvenienze di altri 350, si trova davanti una missione impossibile. Che è quella di rendere giustizia al cittadino in tempi, se non brevi, almeno ragionevoli.
Ad un sistema giudiziario che, dal punto di vista organizzativo, non è certo l’optimum, si aggiungono sconcertanti discrasie fra gli stessi organi inquirenti e giudicanti: è il caso, recentissimo, del magistrato milanese che ha riconosciuto alcuni imputati come “guerriglieri” e quindi non punibili, sentenza istruttoria ribaltata dal magistrato di Brescia che ha incriminato gli stessi imputati. Anche questi episodi (sui quali non entriamo nel merito) contribuiscono a creare nell’opinione pubblica non poche perplessità. Il che - nei confronti della Giustizia (quella con la maiuscola) - non ci pare positivo.

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