Una città sotto shock per la sparatoria provocata da Andrea Arrigoni, investigatore privato. Ecco i primi tentativi di analisi e qualche retroscena su un uomo misterioso
È accaduto tutto in tre ore, ma sono tre ore che fanno impazzire gli agenti della Squadra Mobile di Verona chiamati a risolvere uno dei misteri più oscuri degli ultimi anni. E’ in quel lasso di tempo compreso tra le 23,30 di domenica 20 febbraio e le 2,30 del mattino del lunedì successivo, infatti, che Andrea Arrigoni, sconosciuto investigatore privato con buone conoscenze nella destra di governo si trasforma nello spietato killer di una giovane prostituta ucraina di 29 anni, Galyna Shafranek, e di due agenti di Polizia accorsi in aiuto della ragazza. La sparatoria, in una strada alla periferia di Verona conosciuta come luogo di prostituzione, dura appena una manciata di secondi, più che sufficienti però ad Arrigoni per uccidere a sangue freddo - prima di cadere colpito anche lui - gli agenti Davide Turazza, 36 anni, veronese, e Giuseppe Cimarrusti, 26 anni, originario della provincia di Bari. Il primo, Turazza, era il fratello di un altro agente caduto in servizio, Massimiliano, ucciso nel 1994 da un rapinatore legato alla mafia del Brenta. Il perché di quelle morti sono il segreto che Arrigoni ha portato con sé e che nessuno, almeno finora, è riuscito a capire.
La chiamano la strada del sesso la statale 11 che collega Brescia a Verona. Il perché lo capirebbe anche un bambino. Impossibile, percorrendola, non vedere le decine di ragazze ferme lungo i bordi della strada in attesa di clienti. E oltre a loro ci sono i night, locali dove è facile trovare una ragazza che ti faccia compagnia se sei disposto a pagare. Tutte, o quasi tutte, straniere, partite dai paesi dell’Est e arrivate, più o meno consenzienti, fino a qui, sulla strada del sesso. Straniere come Galyna Shafranek, 29 anni, ucraina, la prima vittima di Arrigoni. Il destino della ragazza e quello dell’investigatore si incrociano per l’ultima volta la notte di lunedì mattina 21 febbraio nel parcheggio della concessionaria "Bonometti Centro Caravan". E’ lì che Arrigoni e Galyna si trovano, tutti e due seduti nella Panda verde 4x4 dell’uomo. Ed è lì che l’investigatore, estratta improvvisamente la sua pistola, una Glako con 14 colpi più uno in canna, spara due colpi alla ragazza ferendola a morte.
Per la cronaca tutto comincia con quei due colpi di pistola. In realtà tutto comincia almeno tre ore prima, verso le 23,30 di domenica quando Arrigoni, 35 anni, esce dalla casa di Orio di Sotto, nel bergamasco, dove vive con i genitori e parte per Verona. In tasca, stranamente, ha la pistola ma non il cellulare, che lascia spento a casa.
Anche se a modo suo, Arrigoni è un personaggio. Diploma di maturità classica, prima di aprire un’agenzia di investigazioni a Bergamo entra nei paracadutisti e nel 1992 va con la Folgore in missione in Somalia. Ed è lì che impara ad usare le armi. Quando torna comincia a muoversi nel giro delle guardie del corpo. Tra i suoi primi incarichi delicati c’è la protezione del leader della Lega Umberto Bossi. Non si tratta certo di un caso. A quei tempi, è il 1994, Arrigoni ha 25 anni ed è un militante della Lega di Bergamo. Lui e altri bergamaschi vengono chiamati a fare le guardie del corpo del senatur. Al suo fianco, però, l’ex parà resta tre anni, fino a quando, nel 1997, tutto il gruppo dei bergamaschi viene allontanato da quel compito per motivi che non avrebbero niente a che fare con la politica. Un’altra tappa importante riguarda il suo lavoro di investigatore privato. Arrigoni apre un’agenzia, la Mercury investigazioni, in una mansarda situata al terzo piano di una vecchia casa nel centro di Bergamo. Tutte le attività dell’agenzia - è scritto sul sito - “sono coperte da segreto professionale”. I servizi offerti vanno dalla “ricerca di prove e documentazioni in ambienti ostili”, al “monitoraggio di persone ritenute capaci di atteggiamenti ostili”.
Il lavoro, però, non è la sua unica passione. All’ex parà infatti piace anche parlare di politica e, quando può, farla. Così i problemi legati alla sua professione diventano l’occasione per avvicinarsi agli ambienti politici a lui più vicini. Messi da parte gli ideali del carroccio, Arrigoni si avvicina ad Alleanza Nazionale e in particolare a chi, ai suoi occhi, è capace di rappresentare meglio gli interessi della sua categoria. Aderisce così al Con.Ipi, la confederazione nazionale degli investigatori privati presieduta dal deputato di An Filippo Ascierto e il cui presidente onorario è il ministro delle Comunicazioni Maurizio Gasparri. Grazie all’associazione riesce anche ad arrivare in Parlamento dove, per ben tre volte, viene ascoltato in qualità di esperto dalla Commissione Affari Costituzionali dove è in discussione un testo di riforma del lavoro degli investigatori.
Non si tratta di una legge qualsiasi, e Arrigoni lo sa bene. Presentato da Ascierto, il disegno di legge in questione si propone di trasferire alcuni poteri oggi di esclusiva competenza delle Forze di polizia agli agenti privati. I compiti assegnati a questi "supervigilantes" andrebbero, se la legge fosse approvata, dalla possibilità di effettuare un arresto in flagranza, alla sorveglianza delle carceri, alla responsabilità dell’ordine pubblico negli stadi. Inoltre, se assunti con funzioni di portierato, avrebbero il compito di riferire all’Autorità giudiziaria eventuali movimenti comportamenti sospetti osservati all’interno di un condominio. Non solo: un emendamento della maggioranza, bloccato all’ultimo, inseriva tra i soggetti previsti dalla legge, anche il personale addetto ai servizi di sorveglianza ai luoghi di intrattenimento e spettacolo. Insomma, i buttafuori delle discoteche.
La legge e la sua approvazione diventano quasi un chiodo fisso per Arrigoni, tanto che ogni rinvio scatena la rabbia dell’ex parà che si sfoga sul sito. Come accade il 18 febbraio, due giorni prima della strage, quando la Camera approva le nuove norme sui cimiteri mentre la riforma è bloccata: “l’unica cosa che mi viene da dire - è il commento - è uno scontatissimo: alì mortacci vostri”.
Ma chi è veramente Arrigoni? Fidanzato esemplare (da tempo ha una ragazza a Verona) e investigatore privato impegnato politicamente, o killer spietato? Di certo se non una vera e propria doppia vita, qualcosa di oscuro nella personalità dell’ex parà sembra esserci. Un esempio è proprio nel rapporto con Galyna Shafranek, la prostituta che ha ucciso. Gli inquirenti sono convinti che i due si conoscessero e frequentassero da tempo, anche se non riescono a trovare una sola prova del loro rapporto. L’ipotesi è che i due fossero legati da una relazione sentimentale, ma anche che Arrigoni pretendesse dalla donna una parte dei suoi guadagni. E questo anche se niente sembra legare i due. “E’ come se fossero arrivati entrambi da un altro pianeta. Non riusciamo a trovare niente, ma proprio niente su di loro”, è lo sfogo di un agente.
Fatto sta che la notte dell’omicidio Arrigoni parte da casa con la sua Panda e la pistola in tasca. Si incontra con Galyna e insieme si fermano nel parcheggio della concessionaria di caravan. A questo punto succede qualcosa. Di sicuro tra i due nasce una discussione, anche violenta, a cui Arrigoni mette fine estraendo di tasca la pistola e sparando due colpi alla ragazza. All’interno della Panda vengono ritrovati due bossoli e macchie di sangue della giovane ucraina. Ferita, la ragazza scende dalla macchina e tenta la fuga con l’ex parà che, secondo la ricostruzione, sceso anche lui dalla macchina, tenterebbe di inseguirla. E probabilmente è questa la scena che si ritrovano davanti gli occhi Cimarrusti e Turazza, giunti proprio in quel momento sulla scena. Una guardia giurata sente la Volante frenare bruscamente e subito dopo numerosi colpi di pistola. Alla vista degli agenti Arrigoni avrebbe reagito senza esitare. I primi tre colpi li spara contro il parabrezza, proprio all’altezza del viso di Cimarrusti che si trova al posto di guida. Un tentativo che si infrange però sul vetro blindato dell’auto. Subito dopo Cimarrusti e Turazza scendono, pistola in pugno. Il primo si fa scudo con lo sportello, mentre il secondo si allontana e cerca di aggirare Arrigoni. Per quanto colpito, l’ex parà non smette di sparare e riesce a centrare i due agenti con cinque colpi ciascuno prima di cadere a terra morto. Inutili tutti i tentativi di soccorrere i due poliziotti e la ragazza. Tutti e tre moriranno poco dopo all’ospedale di Verona.
Perché Arrigoni ha deciso di sparare alla giovane ucraina? Per gli investigatori di Verona che dal 21 febbraio lavorano su questo caso, trovare una risposta alla domanda è anche l’unico modo per rendere giustizia alla ragazza e dare un senso al sacrificio di due colleghi.
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I giubbotti “privati”
A spingerli è stata la morte dei loro colleghi Giuseppe Cimarrusti e Davide Turazza, assassinati la notte del 21 febbraio dall'ex parà Andrea Arrigoni. Ma soprattutto l'esito dell'autopsia, che ha rivelato come almeno uno dei due agenti si sarebbe salvato se avesse avuto indosso un giubbotto antiproiettile. E allora i poliziotti di Verona hanno deciso di muoversi da soli, e di acquistare in proprio un giubbotto che sia indossabile sotto i vestiti, leggero e sicuro come quelli che usano gli addetti alle scorte. E' un'esigenza, non una protesta e ci tengono che questo punto sia chiaro. Anche perché i giubbotti di servizio, quelli forniti dal ministero dell’Interno, vanno benissimo. hanno solo un difetto: pesano tre chili, vanno indossati sopra la divisa e sono ingombranti, talmente ingombranti che è impossibile portarli sulla volante. Di più: sei costretto a tenerli nel bagagliaio e così se devi intervenire in fretta, come accaduto a Cimarrusti e Turazza, non lo indossi neppure.
Allora a Verona hanno deciso di provvedere da soli, acquistando un giubbotto più leggero: appena un chilo e soprattutto indossabile sotto i vestiti in modo da essere sempre protetti. Il problema è il costo. Il prezzo varia tra i 700 e i 1.200 euro, una cifra che pesa sullo stipendio, per questo gli agenti stanno consultando le banche locali per vagliare la possibilità di ottenere un prestito al consumo. "Non chiediamo regali a nessuno - dice Francesco Filippi, segretario provinciale del Siulp - ma servirebbe un finanziamento per poterli pagare a rate, magari in 36 mesi con qualche decina di euro mensili detraibili dallo stipendio".
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“Senza rumore”
Davide e Giuseppe, sono andati via insieme in una notte di neve, mentre lacrime bianche scendevano dal cielo volando nel vento, posandosi a terra “senza rumore”.
Il cielo con infinita tenerezza si è unito alla terra in un bianco splendore per accogliere l’ultimo atto della vita terrena con un volto familiare, come un’amica che ti chiama e poi aspetta paziente che tu compia il tuo lavoro “senza rumore”.
Quante speranze, quanti progetti svaniti nel nulla come granelli di sabbia tra le mani.
Adesso ricomincia l’eterno dibattito dell’uomo in cerca di un senso per le cose che succedono durante il percorso terreno, in cerca di un senso per alleviare il dolore e le pene che lo avvolgono.
Non fate rumore.
Qualcuno ha in mano i nostri destini, ha voluto accrescere il numero dei Giusti in Paradiso.
“Senza rumore”
Pasquale De Sisto
Assistente capo della Polizia di Stato
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