“Abbiate dritta la vostra spina dorsale”: lo ha detto il presidente Carlo Azeglio Ciampi rivolgendosi a una platea di giornalisti, nel dicembre scorso, durante la premiazione dei vincitori del Saint-Vincent. Un’esortazione a non essere servili, a non indulgere alla tentazione di compiacere, o almeno di non scontentare, i potenti, ad assumere pienamente, costantemente, gli oneri di una professione che teoricamente pone come suo obiettivo primario la descrizione della realtà. Una professione certo molto complessa, perché la realtà, che dovrebbe essere tutt’uno con la verità, di rado si lascia trovare agevolmente, e spesso non piace.
E’ un vecchio discorso. Non solo in Italia, ma in Italia assume aspetti particolarmente spinosi. “Il giornalismo è un lavoro difficile per il quale non cerchiamo e non vogliamo licenze o impunità – ha detto Lorenzo Del Boca, presidente dell’Ordine nazionale, rivolgendosi al Presidente e ai colleghi –. Ma abbiamo il diritto di rivendicare il senso della professione e chiederne il rispetto. Chiedere non significa aspettarsi un regalo. La libertà non arriva per legge. La verità è che la libertà si conquista giorno per giorno, senza ‘assecondare’ poteri forti e meno forti, politici, esponenti del mondo dell’economia, direttori e qualche volta anche colleghi. I nostri alleati li dobbiamo cercare fra le persone di buona volontà e le persone culturalmente oneste”. Gli editori – ha aggiunto Del Boca – sono i proprietari dei media, e dovrebbero essere i primi interessati a un prodotto qualitativamente valido, ma, con una tendenza crescente, preferiscono investire trasformando i giornali in contenitori di gadget di ogni tipo, dai dvd ai cosmetici, o, nei casi migliori, libri e enciclopedie. Contemporaneamente, si punta a sfoltire i ranghi redazionali, preferendo un precariato che indebolisce la categoria e la espone a ben noti ricatti. Giornalisti vittime innocenti? No, perché, ha aggiunto Del Boca, “anche i giornalisti hanno le loro responsabilità, e lamentarsi piano o forte serve a poco se non si è in grado di proporre contemporaneamente un’autocritica che sia serena ma severa. Troppe inadempienze, troppa pigrizia, troppi errori, troppa violenza al congiuntivo e al periodo ipotetico, troppo gossip a scapito delle notizie e troppe pagine rifatte in fretta e furia per presunte notizie. I giornalisti i loro difetti li debbono correggere, richiamandosi all’impegno etico che hanno sottoscritto al momento di entrare nella professione. Non affidarsi alla casualità, diffidare del troppo facile, non accontentarsi della prima cosa che viene detta. Convincersi che questo è un mestiere così serio. A volte da morire”.
Tutto vero, anche, purtroppo, la considerazione finale. E ci chiede in quale misura sia sentita questa “serietà”, che non riguarda solo i giornalisti (comunemente considerati all’esterno “vil razza dannata”), ma lo stesso principio di un’informazione libera e eticamente corretta. Quanto e come sia sentita dagli operatori del settore, ma anche, e soprattutto, dall’opinione pubblica, da coloro che si informano leggendo la carta stampata (pochi in Italia, in confronto agli altri Paesi europei), o guardando la televisione (molti di più), o facendo entrambe le cose. Come giudicano i cittadini la nostra informazione giornalistica? Ne sono soddisfatti? E se non lo sono, come vorrebbero che fosse?
A questo proposito alcuni dati interessanti emergono dal Rapporto Censis stilato alla fine dello scorso anno. Con la premessa che la stampa italiana continua ad incontrare serie difficoltà ad aumentare il proprio bacino di lettori. Comunque, il rapporto registra l’esigenza di “capire gli eventi a cui si è interessati” nel 33% degli intervistati, che diventano il 34,1% tra gli adulti, e il 35,4% tra le persone con un diploma di scuola superiore. Il 29,2% vuole “sapere rapidamente l’essenziale dei fatti più importanti della giornata” (giovani 29%, meno istruiti 31,7%). Il 24,9% gradisce di “trovare sui giornali notizie che non c’erano nei tg”, e il 16,4% apprezza “i commenti autorevoli” proposti dal suo giornale (giovani 19,6%, donne 19%, istruiti 22,7%). Per il 15,6% la scelta del giornale dipende dal fatto che “la pensi come lui”. Tre i principali motivi di insoddisfazione: il 28,2% quando “rimane deluso dagli articoli letti” (non è chiarito se perché scritti male, o a causa degli argomenti sgraditi), il 25,2% “per non aver trovato le notizie che cercava”, il 13% perché ha avuto “l’impressione che volessero convincerlo a pensarla come loro”. Sembra andare piuttosto bene l’informazione televisiva (quantitativamente parlando, bene inteso), dato che solo il 5,1% dei frequentatori del piccolo schermo afferma di non vedere mai i tg: i giovani sono il 13,9%. Il 31,5% dichiara di avere il suo telegiornale preferito, e il 26,5% di vederne più d’uno. Tra gli anziani i fedeli a un solo tg sono il 40,8%, mentre il 30,6% dei giovani preferisce scegliere sulla base dei titoli annunciati. Il 61% è attirato dalle trasmissioni di approfondimento quando trattano argomenti di grande interesse, ma solo il 14,1% segue regolarmente un determinato programma.
Si tratta di percentuali che possono fornire delle indicazioni, valutandole per quello che sono in grado di esprimere anche attraverso quello che non viene detto. Del resto, per i giornalisti è essenziale cogliere ovunque i segnali che vengono dalla società. Con onestà professionale, senza curvare la schiena. E anche evitando di mettersi sull’attenti.
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