Tra tante storie venute alla luce dopo il disastro dello tsunami, una riguarda un piccolo grande uomo che ha vissuto la tragedia causata dalla immane onda anomala che per il maremoto si è scagliata sulla terra ferma.
Questa è la storia di un frate francescano, padre Ferdinando Severi, che da più di trenta anni è missionario in Indonesia: una vita di prove dolorose che culminano nell’ultima, quella di essere testimone del grande scempio e della morte dei fedeli che cercava di aiutare con le sue povere esigue forze.
Padre Severi per lo tsunami del 26 dicembre ha perso tutto il lavoro di tanti anni ed ora tutto è per lui, uomo dai capelli bianchi, più difficile.
Qualcuno dei suoi confratelli è riuscito a mettersi in contatto telefonico con lui e ha percepito una voce lontana, esitante e stanca che sembra non riuscire a ricordare tutto quanto ha visto e vissuto.
Dalla mattina in cui si trovava a Menlaboh, padre Ferdinando, era pronto a partire per tornare nella sua parrocchia. Per un minuto, alle 8 del mattino, sentì arrivare la furia del mare. Sentiva il fragore delle case che cadevano sotto la violenza delle onde alte come montagne. Non ne fu spaventato, non pensò a fuggire, ma ci voleva ben altro per spaventarlo e si precipitò in strada per aiutare la gente. Fu allora che lo tsunami si manifestò in tutta la sua violenza. Quando per istinto tutti cercavano di raggiungere la parte più alta della città, e ormai l’acqua arrivava da ogni lato, il frate, per non annegare anche lui, riuscì a issarsi sulla sommità di una moschea, vide impotente le strade diventare fiumi che trascinavano con violenza i corpi degli annegati che sembravano avessero le braccia rivolte al cielo. Davanti a questo scempio di vite umane, i più indifesi avanti a tutti, donne, bambini, vecchi, solo il rifugio nel pensiero di Dio – ha raccontato il frate - non gli ha fatto perdere la ragione.
Quando il missionario guardò verso la città vide una folla di sopravvissuti che cercavano parenti ed amici. Le barche di pescatori formavano una montagna di detriti insieme ad un numero di cadaveri immenso. Padre Ferdinando Severi era consapevole che molto tempo sarebbe trascorso prima di sapere quanti morti avrebbe dovuto piangere.
Tornando verso la sua parrocchia vide villaggi distrutti dallo tsunami. Inesistenti i soccorsi. Ovunque distruzione e morti. Questo è quanto ha raccontato padre Severi. Nella sua parrocchia molti sono morti. La domenica alla Messa più nessuno lo seguirà. Che resta da fare? Quando i militari chiudono i corpi nei sacchi, il frate li benedice, prima che vengano portati via.
Quando dall’Italia, e precisamente dalla provincia di Bologna, i suoi confratelli avevano iniziato le sue ricerche, contattando fra l’altro anche un sacerdote indonesiano è venuta alla luce la storia su padre Ferdinando Severi, sul lavoro da lui svolto tra gli ultimi degli ultimi, di tutte le parrocchie che ha fondato, delle sue opere sociali, orfanotrofi, scuole, ospedali sostenuto dall’aiuto di persone ed enti caritatevoli.
Padre Ferdinando era partito dall’Italia per portare utile aiuto, materiale e spirituale in un grande paese musulmano. I cristiani intorno a lui erano pochi, confrontati ad un esercito di musulmani e di altre religioni. Ha sempre cercato di aiutare tutti, secondo le sue possibilità, senza chiedere niente in cambio, rispettando la legge del missionario. Nei giorni della catastrofe il frate era il parroco a Banda Aceh a nord dell’isola di Sumatra. Il giorno di Natale aveva celebrato la Messa sulla costa orientale dell’isola, poi il 26 dicembre scomparve, come inghiottito nel nulla.
Quando padre Ferdinando operava in una povera parrocchia di Jakarta costruì piccoli alloggi provvedendo al cibo e all’istruzione dei bambini. Affrontò la guerra fra i dolori e le morti nella popolazione, fino al 2003 quando venne chiusa ogni possibile porta di comunicazione con il resto del mondo. Fu difficile per lui convincere le autorità che non era lì per convertire ma solo per rappresentare una religione non definita ma universale, aiutava e amava tutti: cattolici, atei, buddisti, musulmani. Per lui tutti gli uomini facevano parte di una grande famiglia e tutti aiutava senza chiedere niente in cambio.
Qual è il senso di questa tragedia? E’ forse una punizione divina, come dicono alcuni? Invece Severi dice: “Dio non manda punizioni, i disastri causati da un mondo imperfetto. Forse questi fatti ci danno la possibilità di riscoprire il nostro spirito spingendoci verso la perfezione, se riusciamo a scoprire l’amore e la fraternità. Questa tragedia ha sollecitato la fraternità mondiale, ci arrivano aiuti da tutto il mondo. Questa è la vittoria dello spirito”.
Così dice questo missionario, ma noi incolpiamo Dio per la sua latitanza davanti alle tante tragedie del nostro tempo, alla morte per fame di milioni di bambini, ai massacri quotidiani che ci passano vicini tra l’indifferenza totale.
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