Nel mondo di oggi, denso di nuove opportunità, dove il mito della velocità e dell’efficienza la fà da padrone, avvertiamo a volte la nostalgia della lenta dimensione della riflessione.
Certo dove si pondera, ci si confronta, si cerca di capire anche le ragioni dell’altro, si perde il passo della competizione e dell’accaparramento del meglio. Soprattutto bisogna cedere qualcosa di sé e difficilmente il nostro interlocutore ne uscirà dipinto come un demonio o un pagliaccio. Avremo meno opportunità di raccogliere ascolto mediatico, consenso a buon mercato, voti.
È questa nostalgia, la sensazione che ci coglie quando guardiamo i dibattiti televisivi, dove le due parti non pensano in alcun modo a far comprendere ai milioni che li ascoltano, gli aspetti del problema, ma solo a infangare, delegittimare, ridicolizzare l’altra parte. Sembra sia questa, la veste del maggioritario all’italiana. Oppure quella nostalgia ci coglie quando vediamo che qualsiasi intoppo, problema, contrattempo, scatena nella nostra umanità, ebbra e tossicodipendente di velocità, efficienza e consumismo, la collera incontenibile del “cittadino che paga le tasse e si vede privato di un suo sacrosanto diritto”. La collera, cattiva consigliera, non ci permette di considerare correttamente quell’intoppo, magari frutto della necessità di salvaguardare una vita, la salute di tutti, la sicurezza di tutti.
Fin qui, si dirà, nulla di drammatico. Ogni società, in ogni tempo, ha i suoi punti di caduta. Il fatto è che noi non abbiamo smarrito del tutto il vizio o virtù della riflessione e quando vediamo che la civica ribellione viene sollevata e sobillata negli spazi mediatici, e che ha molto spesso il medesimo bersaglio nel servizio pubblico, abbiamo un repentino attacco dietrologico e ci chiediamo: a chi giova? Sarà forse vero che la gestione del privato è la risposta moderna ed efficiente a tutti i diritti di cittadinanza, come le vicende Parmalat e Cirio, o la lungimirante gestione aziendale del gruppo Fiat, o la specchiata correttezza con cui i numerosi gestori di telefonia trattano la clientela, dimostrano con esemplare evidenza? Non è forse vero che l’Italia è un Paese dove tutti pagano le tasse e l’evasione fiscale e contributiva è irrimediabilmente sconfitta?
Stato, spirito pubblico, Pubblica amministrazione, pubblico impiegato, che parolacce. E allora giù botte anche alla funzione primaria dello “Stato Persona”, preferibilmente quella senza stellette. I portabagagli della stazione perdono il posto di lavoro? È colpa della Polizia che non assicura la vigilanza per i loro servizi, che quindi vengono soppressi. Una giornata festiva vede a un valico primario di confine una fila di veicoli di mezz’ora? Sempre colpa della Polizia che si attarda in faccende secondarie, invece di pensare al disagio del cittadino che, per chi non lo sapesse, è sempre “quello che paga le tasse” non una persona e, in quanto tale, titolare di diritti inalienabili. Il treno si ferma per un’ora perché ha investito e ucciso un uomo? Inaudito e falso perché quei perdigiorno di poliziotti si trastullano per più di due ore giocando a fare gli investigatori, mentre i viaggiatori “atterriti” (sic) “vengono trattenuti sul convoglio” (con la forza, è sottinteso).
Noi non siamo corporativi. Abbiamo ben presente che lo Stato democratico trova grande ragion d’essere nell’effettiva capacità di erogare servizi di livello ai suoi cittadini e, come dice la Costituzione, con un occhio d’attenzione alle fasce più deboli e svantaggiate. È nel nostro patrimonio genetico, anche per questo siamo nati, oltre vent’anni orsono. Per questo, da allora, lottiamo senza stancarci contro un sistema sicurezza obsoleto, elefantiaco, dispendioso, privo di coordinamento tra i suoi attori e non ci nascondiamo quando si tratta di condannare comportamenti non deontologici. Non ci piace però farci pecore, in questo contesto di predatori, anche perché ci sentiamo più simili ad altri, più fieri, animali. Orsù, dunque, signori questori e dirigenti della Polizia di Stato, si scopran le tombe, si levino i morti.
Di fronte a tanta disinformazione, a nostro parere non disinteressata, diciamo pubblicamente come stanno le cose, ristabiliamo la verità, facciamo comprendere alla cittadinanza che spesso la Polizia funziona e funziona bene, anche se più per merito della buona volontà dei singoli che per l’efficienza e versatilità dell’intero apparato. Del tipo: “In relazione al noto delitto, la questura di... precisa che...”.
Lasciamo pure alle gerarchie di altri Corpi l’enfasi mediatica di pavoneggiarsi per un temperino sequestato dopo un litigio di strada, o per una comitiva di pericolosissimi clandestini, mezzo morti di fame e di freddo, bloccati mentre si aggiravano sperduti. Ma la dignità della nostra funzione va difesa da questa continua opera di screditamento.
Sappiamo bene che qualche volta è più salutare fare il pesce in barile, non esporsi, non apparire. Rammentate però che quel barile è fatto ancora di tanta gente che fa con entusiasmo e abnegazione il proprio lavoro, perché sà che esso è un punto di riferimento importantissimo per chi si trova in difficoltà.
Se questo accorato invito non sarà accolto, dovremo, ancora una volta, farci carico noi di un compito che, nella sua forma istituzionale, non ci spetta. Per ristabilire la verità, la credibilità della Polizia e di chi, con impegno e senza paura di esporsi, ci lavora.
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