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Gennaio/Febbraio/2005 - Contributi
Laureati, ultime ruote del carro
di dr Simonetta Arcangeli - Assistente capo della Polizia di Stato

Due anni fa, fu costituito il Cipl (Comitato Italiano Poliziotti Laureati), destinato a mettere insieme le istanze dei dipendenti laureati e le loro richieste di riorganizzazione delle carriere professionali nel ruolo direttivo.
L’iniziativa, che al tempo aveva raggiunto una grande adesione da parte dei moltissimi colleghi dell’Amministrazione della Pubblica sicurezza in possesso del titolo accademico, si proponeva di sensibilizzare le istituzioni e di richiamare l’attenzione del legislatore sul disagio che vivono gli operatori di Polizia, i quali non vedono prospettive di riconoscimento delle proprie qualità culturali e professionali.
Per questa ragione, il 3 luglio 2002, il senatore Maurizio Eufemi (Udc) ha presentato un disegno di legge che prevedeva la ridefinizione dei criteri disciplinanti il rapporto contrattuale di lavoro degli appartenenti alle Forze dell’ordine per quanto concerne la progressione di carriera: il disegno di legge si basava sulla formazione di una classe dirigente (con esperienza sul campo) attraverso l’accesso alle qualifiche superiori mediante un corso-concorso. L’accesso doveva essere regolato da una graduatoria a tempo indeterminato, basata sui criteri quali i titoli di studio e professionali. Questo avrebbe comportato un risparmio per l’erario, sia al fine di espletare i tradizionali concorsi pubblici e interni, sia per rispondere alle attese di quel personale che, sacrificandosi, ha cercato in questi anni di migliorare le proprie capacità culturali e, conseguentemente, professionali. A quanto pare, il ministero dell’Interno e alcune organizzazioni sindacali sono sordi di fronte a queste rivendicazioni legittime e preferiscono mettere mano alla riqualificazione del personale, regalando periodicamente dei contentini al personale. Accontentando quindi alcuni e creando disagio e insoddisfazione in molti altri.
Non si è infatti tenuto conto che il criterio della progressione di carriera dalla base è previsto anche dalla legge di riforma 121/81, che deve essere applicata tenendo conto anche di criteri meritocratici e di competenza professionale, che siano funzionali all’efficienza del servizio. Va da sé che tali criteri devono fare riferimento principalmente ai titoli culturali, professionali e di merito di servizio. Ma alla luce dell’esperienza post-riforma, e della produzione normativa che ne è susseguita, i principi fondamentali sono stati completamente stravolti. È sotto gli occhi di tutti il riordino delle carriere avvenuto nel 1995, che ha prodotto un appiattimento generale, ma che soprattutto non lascia spazio a chi di questo evento... miracoloso non ha beneficiato.
Certo, quando si “regalano” gradi e qualifiche, in modo indiscriminato, che senso ha preoccuparsi di migliorare, studiando per affrontare i concorsi, la propria posizione professionale? Quindi la situazione risulta paradossale: c’è chi ha avuto tutto, senza vantarne i presupposti giuridici, e c’è chi continua a sperare che alla fine qualcuno s’impietosisca e cominci a prendere in considerazione sia le fatiche sopportate nel lavoro quotidiano sia l’impegno, non meno gravoso, del proprio personale percorso formativo.
Ci troviamo pertanto di fronte a un’organizzazione del lavoro che, forse per mancanza di sensibilità - ma sì, chiamiamola così - può contare su molti poliziotti laureati che, ovviamente, apportano il loro inscindibile contributo personale all’Amministrazione, ma che vengono considerati solo quando fa comodo. Ai laureati vengono richieste a volte prestazioni professionali adeguate al loro titolo accademico mentre in altre occasioni si viene trattati da semplici subalterni. Abbiamo così sovrintendenti che fanno i postini o gli autisti; assistenti che invece fanno i capouffici. Tra un po’ - speriamo di no - vedremo ispettori senza titolo di studio chiamati a fare i funzionari (vedi proposta di legge n. 3437, primo firmatario l’on. Filippo Ascierto di An). È per questo che, ora più che mai, è necessario rilanciare l’attività del Comitato laureati della Polizia, perché anche noi dobbiamo dire la nostra.
Nelle prossime settimane, infatti, si riaprirà un tavolo tecnico per il riordino delle carriere. In questo momento il nostro Comitato è appoggiato con convinzione dall’organizzazione sindacale di Rinnovamento sindacale e dalla Federazione sindacale di Polizia. Ma per raggiungere l’obiettivo che ci proponiamo è necessario un consenso trasversale che vada al di là delle sigle sindacali. Chi scrive, infatti, non è un’iscritta a questa organizzazione sindacale, bensì una tesserata di un altro sindacato. Ma va detto che “Rinnovamento sindacale” è attualmente l’unica organizzazione interessata ad ascoltare le nostre istanze. Le altre sigle sindacali fanno orecchie da mercante. O meglio, sembrano preferire difendere la causa di minoritarie ma molto potenti lobbies. Tutto questo - ripeto - è inaccettabile poché una buona organizzazione del lavoro deve saper guardare sia alla generalità dei dipendenti che alle specificità e alle qualità del personale.
Mi permetto di sottolineare che una buona gestione delle risorse umane deve saper scindere gli interessi personali (di pochi) dalla necessaria riqualificazione (di tutti). Noi del Comitato laureati, un’idea l’avremmo: chiediamo di predisporre dei concorsi ordinari a regime, riservati al personale appartenente all’Amministrazione della Pubblica sicurezza in possesso del titolo accademico, sia nei ruoli ordinari che in quelli tecnici. Chiediamo che venga inserito un emendamento, prima della conversione del decreto legge 10 settembre 2004, n. 238 che preveda l’indizione di uno o più concorsi straordinari riservati agli interni in possesso del titolo accademico, a copertura dei posti attualmente vacanti nel ruolo dei commissari di Polizia.
Queste sono solo alcune proposte. Invito tutti i colleghi interessati a inviare quanto prima dei suggerimenti concreti e percorribili, al fine di ridefinire questo sistema palesemente iniquo.
Chiedo a tutti i sindacati di valutare attentamente le proposte esposte in questo articolo, a constatarne la costruttività e a farle proprie. In questo modo, potrebbero essere recuperate quelle componenti della base che, non vedendosi assolutamente tutelati in passato, si sono allontanati dal sindacato, con le conseguenze che attualmente sono sotto gli occhi di tutti. È questa la triste realtà, ma è anche vero - non è solo un vecchio slogan - che l’unione fa la forza. Cari colleghi, dobbiamo essere proprio noi i primi a batterci per avere quel che ci spetta e per riconquistare un minimo di dignità.

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