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Gennaio/Febbraio/2005 - La 'nera' al microscopio
L'opinione dell'avv. Nino Marazzita
Un nuovo processo contro la Franzoni
di a cura di Paolo Andruccioli

In attesa dell’appello hanno fatto scandalo le accuse di falsificazione delle prove da parte dei consulenti della
difesa. Ecco una ricostruzione tecnica


Il delitto di Cogne è un caso che continua a far discutere tutta l’Italia. Nell’ultimo periodo sono venute alla luce altre rivelazioni e si parla anche di una possibile falsificazione di alcune prove. Avvocato, come stanno le cose?

Effettivamente c’è il sospetto che i periti della difesa e un investigatore privato, sempre collaboratore dell’avvocato difensore di Anna Maria Franzoni, abbiano messo in moto un meccanismo di alterazione dei luoghi del delitto per creare prove nuove. Se fosse confermato questo fatto, saremmo di fronte a una serie di prove falsificate. Un fatto gravissimo; io mi auguro naturalmente che le cose non stiano così. In questo contesto, alla luce di questo sospetto, che evidentemente è stato avanzato dai tecnici, dai consulenti tecnici - presumo il Ris - è stata adombrata l’ipotesi che sia stata trovata una sostanza che sarebbe stata usata per alterare la situazione dei luoghi all’interno della villetta di Cogne. Se così fosse, effettivamente sarebbe davvero molto grave: il fatto che dei consulenti e un investigatore, nominati dalla difesa, ricorrano a questi mezzi in frode processuale è di per sé un reato. In questo caso, il reato formalmente contestato sarebbe la calunnia, perché questo avrebbe contribuito, secondo la tesi accusatoria, a creare prove contro una persona che si ritiene innocente e che sarebbe, sempre da quello che si può dedurre dai giornali, il cognato della Ferrod, la vicina di casa.
Per quanto riguarda la tesi difensiva del caso Cogne, possiamo dire che non ha funzionato come avrebbe dovuto perché alla fine si è arrivati ad avere una pena piuttosto elevata per la Franzoni, anzi assolutamente elevata. Non dobbiamo dimenticare che se si hanno 30 anni nel rito abbreviato, vuol dire che la pena originaria era l’ergastolo, perché il rito abbreviato decurta la pena di un terzo.
Quindi il risultato della difesa, in questo caso è stato piuttosto tragico, una débacle perché la Franzoni ha avuto 30 anni e non ha avuto nessun riconoscimento di attenuanti. La donna è risultata sana di mente, quindi capace di intendere e di volere. Alla pena non si può applicare la riduzione. Davanti a questa situazione il risultato è che si è deciso per la pena massima. Nello stesso tempo adesso addirittura si sospetta di calunnia perché la linea difensiva sarebbe consistita - uso naturalmente il condizionale che in questo caso è 10 volte d’obbligo - nel calunniare una persona di cui si conosce l’innocenza. Quindi mi pare che siamo di fronte a una situazione di estrema gravità.
È stato messo in atto un incidente probatorio. Cerco di spiegare di che cosa si tratta. L’incidente probatorio si utilizza quando una prova non può essere riproposta, ovvero proposta nel dibattimento, cioè con tempi prevedibilmente lunghi. Mentre si fa un’attività di indagine preliminare si deve sentire una persona che è a conoscenza di fatti importanti, ma questa persona sta per morire. Dunque non si può aspettare e questa persona si sente immediatamente. Ma come? Si sente facendo un pezzo di dibattimento, un pezzo di processo. Si sente contro la garanzia del contraddittorio, come se si fosse nel dibattimento. C’è il pubblico ministero, c’è l’avvocato difensore, c’è l’avvocato di parte civile e poi c’è il gip che svolge la funzione di presidente; quella prova si cristallizza ed è poi da introdurre nel dibattimento. In questo caso l’alterazione sarebbe legata ai luoghi, cioè è stato chiesto l’incidente probatorio per fare una perizia sull’alterazione eventuale dal momento che quei luoghi nel tempo potrebbero mutare.

Quindi adesso, dal punto di vista tecnico, processuale che cosa ci si può aspettare?

Dal punto di vista processuale si è creato sostanzialmente un nuovo processo. La Franzoni, il marito, i due tecnici e l’investigatore privato hanno ora un ruolo di indagati, ma si tratta di un troncone a parte del processo che si sta sviluppando. Il problema grosso della Franzoni sarà quello di affrontare il processo in Appello. E naturalmente si discuterà se questa responsabilità che è stata riconosciuta in primo grado debba essere riconfermata o meno. Devo dire che leggendo i documenti - e qui adesso parlo da tecnico - la sentenza non ha una ferrea motivazione. La sentenza non è ben costruita; ma questa è una mia opinione.

Dal punto di vista, invece, più generale, potremmo dire sociologico e psicologico, non mi pare che ci sia una alternativa credibile per poter pensare a un altro assassino di questo povero bambino.

È difficilissimo immaginare qualcosa di diverso - certo nella vita tutto è tecnicamente possibile. Ma a lume di logica e di senso elementare, devo dire, che l’unica persona verso cui si può indirizzare l’indagine, verso cui si è indirizzata l’indagine, nei confronti della Franzoni, è proprio lei. Devo anche dire che una cosa mi ha lasciato molto perplesso - e ripeto, parlo da addetto ai lavori, che non ha intenzione di avanzare critiche all’avvocato difensore - la cosa che mi ha creato molta perplessità è questo fatto di dire sempre, da parte dell’avvocato difensore, “io ho il nome del colpevole in tasca, porterò il colpevole alla Procura, tra una settimana lo farò, poi lo farò dopo il processo in primo grado”; allora mi domando: se si è a conoscenza del vero colpevole, quale difesa più attendibile, credibile, a carattere risolutorio è quella di indicare il vero assassino. La difesa sarebbe assolutamente di ferro, inattaccabile, se veramente c’era una indicazione seria, vera, concreta. E soprattutto, come si deve fare nei processi penali, se c’era questa indicazione di un’alternativa, di un altro colpevole, la migliore difesa sarebbe stata quella di dirlo, di dirlo durante il processo, non dopo. Evidentemente o è una strategia non facilmente comprensibile, o la difesa ha bluffato.

Perché ci sarebbe stato questo bluff? Solo per prendere tempo?

Diciamo di sì, è una strategia, nei processi come quello di Cogne, dove c’è un paese che va in fibrillazione perché è scioccato. Un bambino che viene ucciso, che viene ucciso in quelle condizioni, e c’è qualche sospetto che possa essere stata addirittura la madre, c’è bisogno di una strategia difensiva all’interno del processo, ma c’è bisogno anche di una strategia esterna. Il processo è continuamente sulle prime pagine dei giornali, lo è stato per tanto tempo. È la strategia di comunicazione con l’esterno, da parte della difesa, che mi ha lasciato più perplesso.

E cosa puoi dire di più rispetto alla debolezza della sentenza? La sentenza è stata costruita non perché ci potrebbe essere un’alternativa, mi pare.

La sentenza è debole nel collegare tutti gli elementi indizianti. Facciamo una premessa: questo è comunque un processo indiziario come tutti i processi dove non c’è una confessione, quindi siamo sempre nell’ambito di un processo indiziario. Questi indizi, che per giurisprudenza, dottrina e norma, devono essere gravi, precisi e concordanti, devono essere però dimostrati. Come si dimostra? Si prendono tutti gli indizi e si devono collegare in un modo strettamente logico, convincente, consequenziale. Ecco, è proprio quello che manca in questa sentenza. Questa è la debolezza. C’è una motivazione non appagante sotto l’aspetto della coordinazione logica degli indizi. Questo, secondo me, è il vero difetto. Un difetto meramente tecnico, naturalmente.

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