Dei 40 milioni di adulti contagiati dalla malattia, quasi la metà è di sesso femminile. Nel 2004 si è toccato il livello più alto del contagio
L’Aids ha un volto nuovo, volto di donna. Non più tossicodipendenti e omosessuali, ma donne, dalla pelle scura d’Africa e per lo più giovani. Quasi 40 milioni di contagiati. Oltre 3 milioni moriranno quest’anno. Tante sono le persone colpite dal virus dell’immunodeficienza acquisita. Nel 2003 si è toccato il livello più alto di contagio dallo scoppio dell’epidemia. E saranno 40mila le nuove infezioni da Hiv nei prossimi dieci anni. E’ la previsione dell’Unaids, il programma congiunto delle Nazioni Unite sull’Aids e dell’Organizzazione mondiale della Sanità. Sempre più numerose le donne e le ragazze che contraggono il virus: quasi la metà dei 40 milioni d’adulti colpiti da Hiv è di sesso femminile.
Le donne. E’ l’Africa la regione al mondo più colpita dall’Hiv, con 25,4 milioni di persone contagiate a fine 2004. Il paese col più alto tasso di trasmissione di madre in figlio, con il 57% di sieropositivi di sesso femminile. Sono quindi le donne il cuore del dramma: per la prima volta il numero delle sieropositive al mondo si avvicina al 50% del totale. Nell’Africa sub-sahariana il dato cresce vertiginosamente. Il 76% dei malati d’età compresa tra i 15 e i 24 anni è costituito da ragazze. Il rapporto Onu precisa, inoltre, che l’aumento dei casi tra le donne non è confinato nel Continente Nero, ma è in tutte le regioni del mondo. Gran preoccupazione destano, infatti, anche l’Estremo Oriente, l’Europa centro-orientale e l’Asia centrale.
Questo rinfocolarsi della malattia non fa che confermare l’ipotesi di gravi lacune nell’assistenza, ma soprattutto nella prevenzione. I paesi dell’Est e l’Asia orientale si incamminano, quindi, sulla stessa strada dell’Africa: il numero di donne contagiate è aumentato rispettivamente del 48 e del 56% nell’arco degli ultimi due anni. E ciò che più allarma è che, secondo una statistica Unicef, il 50% delle giovani a rischio ignora completamente come evitare la trasmissione della malattia. "Quanto più questa generazione si affaccia al sesso, tanto più sale il rischio dei contagi – sottolinea Filippo Manassero, presidente nazionale della Lila (Lega italiana per la lotta all’Aids) – A questo va aggiunto che fisicamente le donne sono più esposte al contagio". "La donna – aggiunge l’esperto - ha spesso più difficoltà a negoziare col proprio partner l’utilizzo del preservativo", unica soluzione veramente efficace per tenere lontana la malattia. Per ciò, evidenzia Peter Piot, direttore esecutivo di Unaids, l’agenzia Onu per la lotta alla malattia: "Servono azioni concrete per prevenire la violenza contro le donne e garantire l’accesso al diritto di proprietà privata e di eredità, all’istruzione di base e alle opportunità di impiego per le donne e per le ragazze. C’è urgente bisogno di strategie che riescano a influire sulla diversità di genere". "Le donne - ricordano le Nazioni Unite - sono biologicamente più esposte al virus (due volte più degli uomini nel corso di un rapporto sessuale) e molte, in Africa australe in particolare, sono costrette ai rapporti sessuali come merce in cambio di beni oppure di servizi". Per non parlare poi degli stupri, ancora oggi tanto diffusi da esser diventati uno dei canali principali di diffusione della malattia. E’ quindi su questo versante che la battaglia contro la “sindrome da immunodeficienza acquisita” andrà combattuta più aspramente. La sfida è stata lanciata dalle Nazioni Unite che, alla vigilia del 1 dicembre (giornata mondiale per la lotta all’Aids), hanno fatto il punto sullo sviluppo della sindrome. Nel 2004, secondo i dati Onu, è stato registrato il numero più alto di sieropositivi mai censiti finora: 39, 4 milioni di persone affette da Hiv, 3 milioni in più di due anni fa.
Le zone. A questa malattia, soprannominata il “male del secolo”, non interessano confini, distinzioni di lingua o cultura. Colpisce violentemente senza guardare in faccia a nessuno. L’aumento dei contagi è stato registrato in ogni parte del mondo, con picchi altissimi in Africa, Asia e in Europa orientale. In Africa le epidemie sono molto diverse. Nell’area Australe il virus raggiunge livelli impressionanti, in particolare in Botswana, Lesotho e Swaziland, dove tra le donne in gravidanza tocca il 30%. È invece in calo nell’Africa orientale (a Addis Abeba è passato dal 24% degli anni ‘90 all’11% nel 2003). Ma in tutto ciò l’Africa subsahariana resta pur sempre al primo posto visto che il 64% dei sieropositivi in tutto il mondo vive lì.
In Asia orientale è allarme rosso: negli ultimi due anni il numero dei sieropositivi è raddoppiato come conseguenza della diffusione della malattia in Cina e in India; i due paesi più popolosi del mondo. Anche nell’Europa dell’Est i numeri lasciano poco a che sperare: l’aumento degli ultimi due anni è stato del 40% con una forte diffusione tra i giovani.
Dall’altro lato dell’Oceano, nel continente americano, la situazione non è del tutto omogenea. Nel Nord, infatti, la percentuale di donne infette è ferma al 25% del totale dei malati ma, nell’America latina, il 36% dei sieropositivi è donna: 610mila donne con l’Hiv vivono in questa parte del mondo. Nei Caraibi, la seconda regione più colpita al mondo, la sindrome è diventata la principale causa di morte tra gli adulti tra i 15 e i 44 anni. E’ nell’Europa occidentale che l’Hiv sembrerebbe sotto controllo, ma anche qui, come negli Usa e in Canada, il 25% dei malati è donna. Qui, però, le infezioni dovute a rapporti eterosessuali sono più che raddoppiate tra il 1997 e il 2002. In Italia, il 65% degli uomini contrae il virus tramite rapporti occasionali con amiche o prostitute, mentre oltre il 70% delle donne s’infetta attraverso il partner fisso. Particolarmente grave è la situazione della Lombardia dove nella sola provincia di Milano sono stati riscontrati più casi che in tutta la Svizzera. Dal 1982 al 2004 si sono registrati nel nostro paese quasi 56mila casi di malattia conclamata con oltre 34mila morti.
Sta di fatto che, tanto in America del Nord quanto in Europa, un numero sempre crescente di persone contrae l’infezione attraverso rapporti eterosessuali non protetti. Negli Usa, in particolare, l’infezione colpisce in modo sproporzionato le donne afroamericane e ispaniche ed è diventata una delle tre cause principali di morte tra le afroamericane tra i 35 ed i 44 anni.
I bambini. A finire nella rete dell’Hiv sono sempre più i piccoli: 2,2 milioni di minori nel mondo sono infatti sieropositivi e ben 640mila hanno contratto il virus nel 2004. Dati gravi tanto più se si pensa che non esistono ancora farmaci specifici per la cura dei bambini. E’ per questo che Unicef, Medici senza frontiere, Action Aids e le Nazioni Unite si sono mobilitate per chiedere un intervento immediato. A oggi, i medici sono ancora costretti a sperimentare nuove soluzioni prodotte dal dosaggio ridotto di medicinali per adulti. Nel nostro paese, in Lombardia, è stato registrato il primo dei casi pediatrici italiani di Aids.
Anziani. L’infezione, ormai, riguarda trasversalmente ogni fascia d’età. Il dato sorprendente è che sono in continuo aumento gli ultrasessantenni colpiti dalla sindrome. "Persone insospettabili – dicono gli esperti – vedovi e vedove benestanti e dalla vita apparentemente tranquilla. Viaggiano alla ricerca di sensazioni forti e non prendono precauzioni perché pensano che alla loro età non valga più la pena proteggersi". "E’ sbagliato pensare che dopo una certa età si smetta di vivere – ricorda Filippo Manassero della Lila – E’ anzi in là con gli anni che la sessualità si vive in modo ancor più disinibito. Si pensa che il rischio gravidanza sia scongiurato e ci si affida nelle braccia dell’altro senza protezione alcuna". Solo che l’Hiv colpisce comunque. E senza pietà. "Dei nuovi infetti – assicura Mauro Moroni, direttore del dipartimento di malattie infettive all’ospedale Sacco di Milano – uno su sette è ultrasessantenne".
Prevenzione. L’infettivologo Fernando Aiuti è intervenuto più volte sul tema della prevenzione rintracciando nel preservativo la forma più efficace di contrasto della malattia, insieme a un’adeguata informazione. Ha sollecitato pertanto il ministro della Salute Sirchia a ridurre, come per il latte artificiale, il prezzo dei condom. Poco utilizzati dai ragazzi anche perché troppo costosi. Ma, sottolinea: "Non sono farmaci, è difficile intervenire sulla riduzione dei prezzi. Ma possiamo studiare il problema concordando azioni con i produttori".
Finanziamenti. Con l’aumento imponente dei contagi è cresciuta la necessità di correre ai ripari nel minor tempo possibile. E’ così che dal 2001 gli investimenti per la lotta contro l’Aids sono aumentati. L’Italia, però, continua a fare orecchie da mercante. Per la ricerca sono stati stanziati pochi fondi e quasi tutti privati. Dopo venti milioni di morti in venti anni dallo scoppio della malattia, il nostro paese nega i finanziamenti al Fondo globale per la lotta all’Aids. Fondi che ha promesso in occasione del G8 di Genova. Dei 100milioni di euro stanziati non c’è più traccia: fagocitati dalla Finanziaria. A renderlo noto è stato Giuseppe Deodato, direttore generale per la cooperazione italiana allo sviluppo del ministero degli Affari esteri, che ha spiegato che la decisione è frutto dei tagli voluti dalla Finanziaria: "Per il futuro – ha rilevato – ci auguriamo che si inverta la tendenza di tagliare i fondi. Anzi, ci auguriamo che i nostri fondi possano aumentare". Fortunatamente, nel resto del mondo i fondi sono passati dai 2,1 miliardi del 2001 ai 6,1 del 2004. Grazie a ciò sono sempre più le persone raggiunte da programmi di prevenzione e cura. Nonostante tutto, solo 440mila malati ricevono trattamenti idonei. Il che vuol dire che 9 malati su 10, nei paesi più piagati dall’Aids, non ricevono cure e quindi sono condannati a morte.
L’accesso ai farmaci. "A più di 20 anni dallo scoppio dell’epidemia e dopo 20 milioni di morti – ricorda Medici senza frontiere – meno del 5% dei malati riceve un trattamento. Nei 49 paesi individuati dall’Oms come i più colpiti dal virus, tra i 5 e i 6 milioni di persone sono in uno stadio della malattia che richiede urgentemente una terapia. Su questo totale appena 187mila pazienti (pari al 4%) riceve effettivamente i farmaci antiretrovirali".
Numeri drammatici che chiariscono quanto il mancato accesso ai farmaci sia una definitiva condanna a morte per i malati. E il rischio è che, come ricorda Vittorio Agnoletto, eurodeputato eletto nelle liste di Rifondazione Comunista e fondatore di Lila-Cedius, "anche quei paesi che sono riusciti a produrre in proprio farmaci siano costretti a chiudere le fabbriche perché non in regola con le leggi sul diritto d’autore stabilite dall’Organizzazione mondiale per il commercio (Wto)".
I giovani possono cambiare le cose. I ragazzi, sottolinea il dossier redatto dalle Nazioni Unite, hanno la chiave per poter sconfiggere la malattia: attraverso la prevenzione e la conoscenza. L’esempio lampante è quello tailandese. Il governo locale ha condotto una campagna per l’uso dei condom nei luoghi in cui è più frequente la prostituzione, avviando inoltre un progetto mirato a modificare l’atteggiamento degli uomini nei confronti delle donne. Il risultato è stato che dal 1991 al 1995 l’uso dei profilattici è salito dal 60% a quasi il 95%. Così che il numero dei giovani maschi sieropositivi è calato dall’8% del ’92 a meno del 3% nel ’97. Analoga situazione in Uganda. A Kampala, la diffusione dell’Hiv tra le giovani gestanti tra i 15 e 19 anni è scesa dal 22% (1990) al 7% (2000) grazie alla riduzione del numero di partners e all’utilizzo del preservativo. Per incrementare tale atteggiamento il governo del posto ha messo in atto grandi campagne pubbliche di informazione. Lo stesso è avvenuto in Brasile dove iniziative analoghe hanno dato ottimi risultati. Tant’è che il rapporto col profilattico è balzato dai 702 milioni di pezzi acquistati nel ’93 ai 320 milioni del 1999.
La lotta all’Aids e la Chiesa. In un paese di stampo cattolico come il nostro, il rapporto tra la lotta all’Hiv e la Chiesa è stato contraddistinto da non pochi scontri e malumori. La Chiesa è contraria all’uso del preservativo e a qualsiasi mezzo di controllo artificiale delle nascite. Peccato che il preservativo sia il mezzo migliore per contrastare il diffondersi dell’Hiv. La soluzione che propone il Vaticano è l’astensione totale dai rapporti sessuali, prima del matrimonio e fuori della coppia. Questa posizione, naturalmente, ha provocato forti reazioni nel mondo laico da parte di chi ritiene che vietando ai fedeli l’uso del preservativo si contribuisce indirettamente alla diffusione dell’Aids, soprattutto in Africa, dove l’influenza della Chiesa è notevole.
Qualche tempo fa, le autorità Protestanti e Cattoliche si sono addirittura opposte alla costruzione di una fabbrica di preservativi in Kenya, per paura che ciò avrebbe incoraggiato "immoralità e promiscuità". Per smussare gli angoli di una posizione troppo drastica e controproducente, sono scesi in campo numerosi esponenti del mondo politico. Uno fra tutti, il sindaco di Roma Walter Veltroni che ha rivolto un appello al Papa mettendo in evidenza le conseguenze nefaste della posizione intransigente della Chiesa. Secondo la Santa Sede, il preservativo rappresenta solo un mezzo per "contenere" la trasmissione della malattia, la Chiesa punta invece a modificare l’atteggiamento sessuale dei fedeli. A base d’astinenza e castità coniugale nel matrimonio. "L’Aids – ha ricordato il papa nella Giornata mondiale del malato – si presenta anche come una patologia dello spirito. Per combatterla in modo responsabile occorre accrescere la formazione alla pratica corretta della sessualità. Osservando la virtù della castità".
Artisti contro l’Aids. Per battere l’Hiv e raccogliere fondi per la ricerca sono scesi in campo decine di artisti. Dal mondo della musica a quello della carta stampata. L’iniziativa più recente è quella promossa da Nadine Gordimer, la scrittrice sudafricana che ha interpellato 20 dei suoi scrittori preferiti. Intorno all’artista si sono riuniti personaggi del calibro di Salman Rushdie, Gabriel Garcia Marquez, Susan Sontag, Gunther Grass, Saramago nonché Woody Allen. Tutti, gratuitamente, hanno dato vita a un volume dal titolo “Telling Tales”, presentato all’Onu dal segretario generale Kofi Annan. "Ho chiesto racconti che celebrassero la vita – ha detto Nadine Gordimer – quella che i sieropositivi e i malati di Aids sentono venir meno". I proventi della campagna andranno all’organizzazione sudafricana che aiuta i malati di Aids, Treatment Action. Intanto, il libro è in vendita online sul sito amazon.com.
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La sindrome da immuno deficienza acquisita
Il virus Hiv, Virus dell'Immunodeficienza Umana, è un retrovirus, cioè un virus a Rna, che attacca alcune cellule del sistema immunitario, principalmente i linfociti Cd4, che sono importantissimi per la risposta immunitaria, indebolendo il sistema immunitario fino ad annullare la risposta contro virus, batteri, protozoi e funghi. La distruzione del sistema immunitario causa una sindrome che si chiama Aids (o, in italiano, Sida: Sindrome da Immuno Deficienza Acquisita). Una persona affetta da Sida è maggiormente esposta alle infezioni.
Che differenza c'è tra sieropositività e Aaids?
Quali sono gli esami importanti per diagnosticare la malattia?
Quando una persona entra in contatto con l’Hiv può diventare sieropositiva. Questo può verificarsi dopo un certo periodo, detto periodo finestra, che può durare fino a sei mesi. Sieropositiva è una persona che presenta la positività alla ricerca di anticorpi dell’Hiv nel siero.
Il test quindi non indica la presenza del virus, ma solo degli anticorpi specifici che il nostro sistema immunitario ha sviluppato dopo il contatto col virus. Se il test risulta negativo va comunque ripetuto allo scadere dei 6 mesi, calcolati a partire dall’ultimo episodio ritenuto a rischio. Una persona che risulta positiva al primo test, viene sottoposta ad altri test di conferma.
È disponibile infine un esame molto significativo che misura la quantità di virus (copie di Rna virale) nel siero. Questo esame è fondamentale perché permette tra l’altro una verifica indiretta dell’efficacia dei farmaci antiretrovirali. Se in una persona si ritrovano gravi danni al sistema immunitario e la presenza di infezioni opportunistiche, si diagnostica l’Aids.
In realtà la distinzione tra sieropositività e Aids conclamato si basa su criteri schematici. È nata negli Stati Uniti da esigenze assicurative. In alcuni casi si può stare meglio nella condizione di Aids conclamato che in quella di sieropositività.
Come si trasmette l'infezione da Hiv?
Il virus può essere presente oltre che nel sangue anche in altri liquidi biologici. In particolare nello sperma e nelle secrezioni vaginali l’Hiv può essere presente in grande quantità.
L’infezione da Hiv si trasmette in tre modi:
• Per via ematica: le trasfusioni di sangue infetto possono trasmettere il virus Hiv. Iniettarsi droghe con siringhe nuove non trasmette alcun virus, ma può portare a comportamenti a rischio come appunto lo scambio di siringhe.
• Per via sessuale.
• Per via verticale: la madre può trasmettere il virus Hiv al figlio durante la gravidanza, al momento del parto o durante l'allattamento. La possibilità che questo avvenga si riduce fortemente se la madre è in terapia con antiretrovirali, fino ad essere meno del 10%. Il bambino non avendo anticorpi propri eredita gli anticorpi della madre, quindi può nascere sieropositivo, ma non avere il virus. In questo caso il bambino ritornerà sieronegativo durante i primi mesi di vita. Studi recenti dimostrano una notevole riduzione di casi di trasmissione dell'Hiv nel caso in cui la madre sia sottoposta ad idonea terapia durante la gravidanza e partorisca con parto cesareo.
L’Hiv non si trasmette:
• Abbracciandosi: l’atto di abbracciarsi e stringersi non trasmette l’infezione.
• Accarezzandosi: l’Hiv non si trasmette scambiandosi carezze.
• Baciandosi: non è mai stato segnalato un caso di contagio attraverso il bacio.
(dal sito della Lila)
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