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Gennaio/Febbraio/2005 - Articoli e Inchieste
Forze armate
E la naja se ne va
di Maurizio Lintozzi

Dopo circa un secolo e mezzo, con la legge approvata dal Parlamento a larghissima maggioranza, è stato
abolito il servizio di leva obbligatorio. Si chiude anche un periodo della nostra storia che ha avuto, nel corso di centocinquant’anni, eroici protagonisti proprio fra i coscritti


È fatta! la famosa leva militare obbligatoria è cessata e le Forze armate si avviano verso un nuovo orizzonte: il volontario. Proprio in questi giorni è uscito il bando per l’arruolamento di 23.500 volontari in ferma prefissata di un anno nell’Esercito Italiano, 680 volontari in Aeronautica Militare e 4.930 volontari in Marina Militare.
Un grande passo ed una grande scommessa con gli obiettivi, i desideri, le speranze e la ricerca di occupazione di tanti giovani che, dal Nord al Sud, affollano spauriti e senza impiego, le piazze delle nostre città, le discoteche, i pub e le scuole. Giovani pieni di speranze per il loro futuro e frequentemente con idee chiare ed un livello di scolarizzazione quanto meno medio. Non solo, i nostri giovani sono stati abituati da sempre alla critica, intesa in modo costruttivo, sia nelle scuole sia nell’ambito familiare, dove il ruolo del “padre-padrone” è ormai rinchiuso da tempo nel vecchio baule in soffitta. Oggi i giovani sono più abituati di ieri a confrontarsi su temi di vita sociale, culturale, comportamentale ed a rendersi partecipi di quanto riesca a coinvolgere i loro ideali, i loro progetti.
La prima domanda che è doveroso porsi è: di fronte ad un tale ringiovanimento dello spirito di partecipazione di quanti vorranno proporsi quale volontari e che risulteranno idonei all’arruolamento, le Forze armate hanno emancipato un loro comportamento adeguandolo ai tempi ed alla attuale realtà sociale?
È importante che la struttura militare riesca a coinvolgere il pensiero dei prossimi nuovi arruolati e riesca a far sì che la partecipazione sia attiva e propositiva, fondata sulla condivisione degli scopi istituzionali e non fondata, come nel passato, sul principio del timore che per decenni ha offuscato menti ed iniziative.
Il timore! Era, una volta, la prima sensazione che si percepiva già all’ingresso di ogni singola caserma, dove aleggiava su tutto un principio semplice: o fai ciò che ti dico o “ti punisco”, “ti strasferisco”. In sintesi il principio del dovere, tipico di ogni organizzazione totalitaria, sovrastava enormemente il principio del diritto, sinonimo di ogni democrazia. Ne consegue che a quei tempi ogni cosa veniva fatta non per intimo convincimento, per ideale, per servizio, ma molto semplicemente per non essere “puniti”.
Erano i tempi in cui molti dirigenti di rango restituivano intere cartelle di lavoro, pratiche su pratiche, semplicemente perché i fermagli che tenevano i fogli non erano, magari, tutti dello stesso numero. Erano i tempi in cui ogni lettera veniva fatta riscrivere più volte solo per correggere in modo maniacale l’allineamento dei vari paragrafi, distinguendoli in una variopinta fantasia di numeri e lettere e poi ancora numeri e punti. Erano i tempi in cui ad ogni cambio, frequentissimo, di Dirigente, Comandante, Capo Ufficio, ci si doveva subito chiedere quale interpretazione lui avrebbe dato a norme e regolamenti, facendo sì che il Regolamento di disciplina non era un punto fondamentale di riferimento per tutti, superiori ed inferiori, ma era solo il terreno di gioco del “capo” di turno. Erano i tempi in cui veniva negato fortemente il diritto di critica, il diritto di comunicare con l’esterno anche su banali argomenti di servizio, in barba allo stesso regolamento di disciplina ed alle varie interpretazioni e sentenze giudiziarie; tempi, in sintesi, in cui di fatto c’era una rigida censura.
Erano i tempi in cui valeva di più l’interpretazione di chi comandava di quanto, pur chiaramente, era scritto su leggi, decreti, sentenze e tanto altro. Guai a sgarrare. La mannaia punitiva scendeva sul trasgressore con impietosa precisione. Erano altri tempi. Tempi pre-repubblicani, precostituzionali, tempi in cui si poteva definire molto veritiera la considerazione di Francesco Alberoni “Più un sistema è rigidamente normato, imbalsamato in uno scheletro burocratico, più si presta agli abusi dei potenti. Il labirinto normativo costituisce una prigione per i deboli, per gli ingenui, per coloro che, mossi da un ideale, operano per il bene dell’Istituzione e non per propri scopi personali o per la conquista e la conservazione del potere”.
È noto a tutti che le Forze armate di prima erano molto lontane dal contesto sociale e dal cuore dei cittadini, chiuse nelle loro caserme, circondate da un filo spinato anche ideale e da un alone di insofferenza verso chi tentava di capire, organizzate in modo tale che la struttura, logicamente e giustamente gerarchica, consentiva che la gerarchia stessa venisse interpretata non in modo funzionale, ma pseudo-intellettuale; cosicché il superiore non era solo superiore come struttura organizzativa, ma era anche intellettualmente superiore e l’inferiore era solo e sempre inferiore.
Quante volte, a quei tempi, si sentiva dire: “Lei non deve pensare”!
Ma abbandoniamo il passato, queste erano, come ampiamente detto, le Forze armate di una volta. Oggi tutto sta cambiando, finalmente il senso e la filosofia del diritto, anche se con un’ovvia e prevedibile fatica, sta penetrando nel cuore di tutti. Gli uomini in uniforme sono più vicini alla gente e la gente è più vicina ai propri militari, poco a poco si comprende che l’esempio di altri è pagante, sia in termini di efficienza, sia in termini di visibilità ed immagine. Come non notare, ad esempio, l’organizzazione dei Carabinieri, da sempre in servizio per la gente e tra la gente. Questo la cittadinanza lo comprende, lo condivide, lo apprezza.
Come fare a far comprendere che anche le altre Forze armate sono al servizio della gente, sono a difesa del cittadino, se si resta ermeticamente chiusi in se stessi? E così sono iniziate le grandi trasformazioni, prima fra tutte l’abolizione della leva e del servizio militare obbligatorio e l’avvio di un servizio volontario adeguatamente retribuito, proprio come già da tanto tempo avveniva per Carabinieri, Polizia, Vigili del Fuoco.
Come detto è di questi giorni l’inizio del nuovo progetto di reclutamento di volontari in ferma prefissata di un anno che, tra l’altro, coinvolge anche le donne nella misura del dieci per cento. Un reclutamento molto interessante per i giovani, che finalmente intravedono una reale possibilità di lavoro, una realtà di guadagno e la possibilità di svolgere un servizio di alto livello sociale.
Certamente è l’inizio di un grande cambiamento culturale, sociale e, si auspica, anche intellettuale.
La dirigenza militare ha ora, più che in ogni altro momento storico-sociale, l’opportunità di trasformare le nostre Forze armate in un organismo integrato nella vita democratica della Nazione, consapevole e cosciente dei propri compiti a tutti i livelli, dove ognuno, nel suo ambito di competenza, sa fare il proprio lavoro e sa parlarne anche all’esterno (come da decenni avviene proprio nell’Arma dei Carabinieri, nella quale si vede spesso l’importante figura del maresciallo colloquiare serenamente anche con giornalisti su argomenti riferiti alla propria area di competenza).
È l’inizio di un’era dove si dovrà pensare a cose concrete piuttosto che esprimere la propria capacità di comando decidendo sul tipo di fermagli da usare, o documentare la propria intensità lavorativa avocando a sé, in modo totalizzante, la firma di atti e documenti, realizzati dai tanti dipendenti e di cui, frequentemente, non si sa un bel nulla, o effettuare l’attività di controllo attraverso estenuanti, ripetitive ed altrettanto inutili periodiche.
Finalmente sono arrivati i tempi in cui snellezza, spirito di collaborazione, senso del gruppo, consapevolezza di partecipare tutti, con qualsiasi grado o qualifica, ad un unico obiettivo, non saranno più parole da elargire con inutile e non veritiera prodigalità in ogni discorso, riunione, incontro, ma saranno le nuove realtà delle nuove Forze armate.
La popolazione ne sarà grata e riconoscente, i risultati saranno entusiasmanti, gli avversari ne saranno stupiti e confusi.

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“Lutto per le Forze armate”

La leva ha costituito l’anima sociale delle nostre Forze armate, l’anello di collegamento tra la società e la caserma, tra l’ideologia militare e il sentire del Paese. In Italia, come ebbe a dire uno che se ne intende e cioè il generale Maletti (in una intervista a Paolo Mieli) ci furono 5 tentativi di golpe. Anche se furono più o meno seri il segnale è abbastanza chiaro. E se questi tentativi andarono a vuoto lo si deve anche alla leva, ai soldati semplici e agli ufficiali di complemento. La leva con il suo apporto di tanti laureati (lauree serie e no le fasulle attuali) ha portato alle Forze armate un tasso di cultura che con l’abolizione della leva viene gravemente a mancare. Non è infatti solo il rapporto di democrazia che viene a mancare, pensiamo anche alla grande capacità di specializzazione nei più svariati campi di cui i soldati di leva e gli ufficiali di complemento erano in possesso.
La Germania che ha subito un regime simile al nostro si è ben guardata dall’abolire la leva. Da noi la sinistra socialista e comunista ha ribaltato le sue posizioni e così ha fatto la sinistra radicale che un tempo con Pannella aveva proposto la cartolina di “immobilitazione” per rendere l’esercito il più “stanziale” possibile, il “più di leva” possibile. Ora invece queste forze politiche sono per l’esercito di spedizione all’estero (e volontario).
Un aspetto paradossale ma non troppo è che con la fine della leva viene a mancare anche una sua componente speculare che pure è stata di grande utilità per la società e cioè la componente degli obiettori di coscienza. Ora qualcuno sta furbescamente cercando di reintrodurre una componente di leva obbligando chi vuole entrare in Corpi di Polizia e similari a fare “volontariamente” un anno di leva “coscritto”.
Falco Accame
Presidente Ana-Vafaf




Controllo democratico

La definitiva eliminazione dell’Esercito di leva in Italia, e la sua totale sostituzione con l’Esercito di mestiere, a base volontaria, ha fatto riproporre, da parte di alcuni, il problema della necessità di un controllo democratico dentro le Forze armate. Riteniamo che questo obiettivo possa essere egregiamente raggiunto con la sindacalizzazione delle Forze armate italiane. Non va dimenticato, infatti, che tutti i paesi europei hanno già da tempo il sindacato militare: Gran Bretagna, Francia, Germania, ecc. Con pieni diritti e facoltà di contrattazione con la controparte ministeriale, ed ovviamente con esclusione del diritto di sciopero, che né i militari né i poliziotti hanno mai richiesto.
La Costituzione Europea in corso di approvazione prevede tale diritto.
Con l’introduzione, in Italia, dell’Esercito a base volontaria, la necessità di un sindacato militare diventa, a nostro parere, utile. Su di esso si potrebbe, forse, ottenere un consenso trasversale tra le forze politiche, atteso il dettato della approvando Costituzione Europea.
Vincenzo Cerceo
Col. in congedo della GdF

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