Ancora non esiste una definizione universale accettata. Ed è raro anche che il terrorista descriva la sua identità. È chiaro però che lo “scontro di civiltà” non c’entra nulla
Il terrorismo non è un fenomeno nuovo, é conosciuto, attraverso la storia, dai tempi degli “Zeloti”nel 50 d.C., il termine entrò in uso alla fine del XVIII secolo in riferimento per lo più agli atti compiuti dai governi al fine di sottomettere la popolazione; è solo col nascere dell’era contemporanea che finisce con l’indicare le rappresaglie di singoli o gruppi contro i governi. Percorrendo varie fasi, causa colpi di Stato e guerre ed arriva come fenomeno proprio, mediatico, globalizzante, sul finire degli anni ’60, dividendosi in due categorie principali: nazionalista e separatista ed insurrezionale, nazi-fascista o anarchico o comunista. Non esiste una definizione universalmente accettata di terrorismo, le agenzie di Difesa statunitense ne hanno almeno 3 differenti quella del Dipartimento di Stato, del Dipartimento alla Difesa e dell’Fbi che lo definisce come: l’uso illegale di forza o violenza contro persone o proprietà allo scopo di intimidire o coercizzare un governo, la popolazione, o i loro singoli rappresentanti, per il raggiungimento di fini politici o sociali(1). Le Nazioni Unite definiscono più ampiamente il terrorismo, come: quella serie di atti volontari, identificabili come: omicidi, ferimenti, sequestri, pulizia etnica, furti, distruzioni e danneggiamenti, commessi in una qualsiasi parte del mondo, da persone che generano, pubblica ansietà e cambiando lo stato di pace, in guerra o insurrezione. Questa tattica ha lo scopo di influenzare o coercizzare, governi, organizzazioni, gruppi o individui con l’obiettivo di manipolare i cambiamenti sociali, etnici e politici, commettere crimini di guerra e contro l’umanità, estorcere denaro o servizi dispendiosi, dissuadere le Forze di polizia ed il sistema giudiziario, decretare vendette, perseguire scopi esoterici, ricevere benefici di propaganda e pubblicità(2).
I terroristi sono impossibilitati a raggiungere i loro obiettivi con altri metodi, così fanno conoscere il loro credo politico o religioso, terrorizzando la popolazione. Scelgono con cura i loro obiettivi, spesso simbolici o rappresentativi della nazione da colpire, in modo da creare il massimo impatto psicologico sul pubblico. Ponendo in essere atti violenti, a volte micidiali, senza l’uso di armi e strategie convenzionalmente considerate (cosiddetta guerra asimmetrica). I terroristi non solo veicolano il loro messaggio ma danno l’idea che lo Stato e ciò che esso rappresenta, non può difendere una popolazione, che invece, all’interno di un diverso modo di governo sarebbe difesa.
E’ importante sottolineare che nessun terrorista si autodefinisce tale, preferendo sottolineare che, quello che oggi, gli altri, definiscono terroristico, un domani potrebbe essere definito patriottico. Ciò che per una cultura o una ideologia è terroristico, per l’altra è la ricerca della libertà, per questo motivo, Le Brigate dei martiri di Al-Aqsa o Hezbollah, ad esempio, sono considerati dei gruppi terroristici dagli israeliani ma non dai palestinesi. La percezione del terrorista varia anche a seconda dello status sociale della popolazione, in Nicaragua, l’èlite al potere e le classi privilegiate consideravano il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale come un gruppo terroristico, mentre il resto della nazione li definiva come combattenti per la libertà.
Pur cooperando a livello internazionale, scambiando informazioni, addestramento e logistica, i terroristi non sono tutti uguali, cambiano le ideologie, le strategie, le tattiche, cambiano, soprattutto, gli scopi da raggiungere: per i terroristi insurrezionalisti lo scopo principale è l’ampia visibilità, il cambiamento dello Stato, la sostituzione della classe economica, per il nazionalista é la lotta contro uno Stato oppressore ed invasore, mentre per i terroristi radicale religiosi, la lotta è rivolta all’annientamento del male. Il male, neanche a dirlo, siamo noi: il ricco occidente.
Nei proclami o nelle rivendicazioni di quest’ ultimi, é proprio l’occidente (ed Israele) ad essere percepito come “terrorista”, perché opprime e tiene soggiocati i popoli della “Sunna”(3) ed inoltre disconoscendo e offendendo il profeta Maometto disconosce ed offende Dio stesso(4). E’ perciò giusto colpirlo sempre ed ovunque e con ogni mezzo. E’ tutta qui la spinta motivazionale-propagandistica, che porta il terrorismo conosciuto fino ad oggi, all’iperterrorismo ed allo shaidismo stragista, un terrorismo che travalica i confini nazionali, le dispute territoriali, sociali od economiche, per approdare al confronto millenaristico del bene contro il male. Coloro i quali hanno ideato, organizzato e perpetrato l’attacco al World Trade Center, sono eroi e martiri perché hanno combattuto e offerto le loro vite a Dio, contro gli oppressori americani, colpiti da una fatwa(5) permanente, una condanna inappellabile senza prescrizione che raggiunge coloro i quali, esterni alla fede musulmana, la combattono o non si sottopongono ad essa. Nei ricchi paesi islamici o nei poveri villaggi palestinesi, anche chi non è direttamente complice di quelli che per noi sono terroristi, è uno che, li vede con simpatia, come se fossero idoli calcistici o del mondo dello spettacolo perché in fondo essi rappresentano l’icona del risveglio islamico, la rivincita dei deboli, quello che si vorrebbe essere ma che non si ha la possibilitá o il coraggio di diventare. Un sondaggio effettuato, presso i propri ascoltatori, da Al Jazeera subito dopo gli attentati alle Torri ha evidenziato che solo l’8,7% dei 4.600 intervistati ha affermato che Bin Laden fosse un terrorista, tutti gli altri lo consideravano un combattente per la libertá(6). Quando i paesi colpiti da atti terroristici, dichiarano guerra alla paura, diventano terroristi. Non è dialettica sterile, è il pensiero dominante nei luoghi che fanno da culla al fondamentalismo prima e al terrorismo islamico poi. Le politiche dell’uso del terrorismo e dello shaidismo stragista da una parte e della guerra preventiva dall’altra, non possono essere presentate all’opinione pubblica cosi come sono, ma attuate solo, se la popolazione è terrorizzata dai “mostri” contro i quali è costretta a difendersi(7). Il primo processo sociale che porta ad una contrapposizione, ancora una volta, non solo dialettica, tra i “terroristi” islamici ed i “terroristi” occidentali è allora l’elaborazione del linguaggio, la reciproca accusa di quello che viene da tutti gli attori definito terroristico e perciò, sinonimo di cattivo. Ognuno accusa l’altro di essere il cattivo e nella cultura che fa da culla alla violenza estrema l’“altro” è sempre visto come il terrorista. La parola “terrorismo” perciò, viene sempre rifiutata dai terroristi islamici, per far posto a quella che nella scala di valori musulmana è la seconda più forte: il Jihad la “guerra santa”(8). La stessa che molti rampolli del medio Oriente “bene” sono andati a combattere in Afghanistan contro l’Armata Rossa, Osama Bin Laden era tra quelli.
Nei sobborghi di Betlemme così come nelle scuole di Islamabad non esiste il diventare terroristi, anche se per una giusta causa, si diventa combattenti per la libertà, difensori della fede, i combattenti del Jihad con le armi, contro i nemici, terroristi e invasori, occidentali. Si impara molto presto che ogni atto, non è un atto di offesa, un colpire per primi, ma un atto di difesa contro l’occupazione culturale, economica e militare del proprio paese da parte di Israele, Usa e dei loro alleati. In pratica una “guerra difensiva”, l’unica che giustifica il Jihad.
Odio e disperazione
nel terrorismo palestinese
Per decenni il terrorismo palestinese ha tenuto “sulle spine” tutti i servizi di sicurezza mondiali, fin dalla fine degli anni ’50 è stato un terrorismo fortemente politicizzato, di impronta nazionalista, caratterizzato da una matrice prevalentemente socialista e marxista, il primo nella storia contemporanea a massacrare civili nei check-in degli aeroporti, il primo a fare irruzione negli alberghi e nei luoghi di riunione per catturare ostaggi. Il primo ad avvelenare il cibo israeliano destinato al consumo europeo(9). Dopo la famigerata caduta del muro di Berlino il terrorismo di matrice politica palestinese, artefice di aver portato la causa palestinese all’attenzione del mondo, cede il passo a quello di matrice islamica. Nulla di laico infatti, piú si contrappone criticamente, dialetticamente e soprattutto ideologicamente al capitalismo, rappresentato in massima parte dagli Stati Uniti, alleato principale di Israele. Cambiano le ideologie ma non cambia la sostanza, le motivazioni della lotta: una terra, delle ricchezze e due popoli, uno ricco e l’altro povero, che si accapigliano per averne il possesso. Reclutati nelle aree depresse dell’Islam, in zone dove la speranza è un lusso, i futuri combattenti, iniziano un percorso mistico-addestrativo che li porterà a far parte dei vari gruppi terroristici. Lì dove il reddito medio è, non raramente, dieci volte inferiore a quello dei paesi occidentali “i reclutatori” siano essi di Hamas o di Tanzim iniziano in terreno fertile il loro proselitismo. Dove la disperazione, in termini di privazioni personali e sociali, è tangibile, i giovani palestinesi, ascoltano la voce di questi “predicatori” che danno le risposte ai loro bisogni fondamentali. Troppo differente la vita dei giovani palestinesi, i quali, ogni giorno, vedono i loro vicini degli insediamenti israeliani, vivere una vita diversa, troppo diversa dalla loro. Non hanno i potenti fuoristrada appannaggio dei ricchi coetanei ebrei e se li avessero, non ci potrebbero girare liberamente, a causa dei vari check point israeliani, non hanno discoteche alla moda da frequentare né amici o parenti da andare a trovare, poiché sono tutti dall’altra parte del muro; hanno invece, la visione chiara, di una vita senza speranza. La speranza che, invece, arriva dalle parole ardenti pronunciate dai leader religiosi che infiammano i cuori dei giovani, facendo ricorso ad un simbolismo comune che parla di libertà, fine della diseguaglianza, giustizia, tradizione guerriera, Jihad. I giovani palestinesi che diverranno terroristi, percepiscono che la vita che stanno vivendo manca di senso, di possibilità future, di relazioni con l’esterno, della sacrosanta libertà di movimento. La religione è uno strumento, una giustificazione aggiuntiva, una consolazione: serve a rendere l’azione terroristica moralmente sostenibile e garantisce soprattutto che la morte, se dovesse sopraggiungere, non costituisca la fine ma il momento culminante della vita(10). La perdita di ogni visione futura, la voglia di rivincita é cosi permeante che ormai i futuri terroristi si presentano da soli presso le basi del terrorismo, senza bisogno di essere reclutati. C’è chi addirittura può far meno della religione, è il caso di Amer Far, diciottenne, ha ucciso in un attentato suicida 3 persone, ferendone 40. Amer era un esponente del laicissimo Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp)(11), è morto senza la speranza di una vita ultraterrena ma con la sicurezza di aver finito di soffrire in questa.
Entrare in un gruppo terroristico, a volte, è anche un passaggio in verticale della scala sociale, essere un combattente per la libertà fa guadagnare automaticamente il rispetto degli altri, la propria famiglia viene immediatamente risarcita per l’uscita di un suo componente e riceverebbe un buon risarcimento in caso di morte. Il terrorismo inoltre, appiana le differenze basate sul sesso della tradizione musulmana, le donne che entrano nel “gruppo” fanno un salto in avanti nello status e nella fede, il rispetto per loro diventa tangibile immediatamente, nessuno più le additerà per un rossetto mostrato o per il volto un po’ scoperto, saranno solo buone credenti, martiri, ragazze che rispecchiano la figura di Fatima, figlia del Profeta, l’alter ego di Maria per i cristiani: il loro reclutamento è un fenomeno crescente.
Le motivazioni per entrare in un gruppo sono incredibilmente forti: sicurezza economica per la famiglia, (in realtà si tratta di pochi dollari abilmente girati da finanziatori sauditi, eau, iraniani etc. o provenienti dalla gestione della Zakat(12)), il rispetto dei propri vicini, soprattutto, la visione della “giusta” lotta contro il “male” in una prospettiva che si immerge non solo nella religiosità ma nelle rivendicazioni tutte terrene di territorio, libertá di movimento, fine dell’occupazione militare, benessere economico, in una parola: futuro. La Palestina é ancorata intorno ad un circolo vizioso che si nutre di vendetta, come il serpente di un celebre videogame degli anni ’80 che diventa piú grande dopo ogni mela virtuale mangiata, così l’odio diventa più forte quando: un qualsiasi palestinese è costretto a subire controlli ed angherie, da un soldato israeliano, con il volto ancora segnato dalle lacrime, per la morte di qualche suo amico o parente, durante l’ultimo attentato suicida palestinese. E’ odio. Quello che porta i bambini palestinesi a tirare pietre contro i soldati israeliani anche se sono fuori portata, anche se possono essere colpiti dai proiettili di gomma che quest’ultimi non lesinano. I palestinesi fanno un attentato, Israele risponde, blocca i territori occupati azzerando la libertà di movimento, fa degli arresti e distrugge la casa dell’attentatore: questo causa una vendetta palestinese che ne causa un’altra israeliana. Probabilmente se finisse la spirale dell’odio finirebbero anche i problemi in Palestina, solo che, nessuno dei due popoli è disposto fare il primo passo e quando qualcuno lo fa viene ucciso dagli estremisti, proprio perché l’odio continui.
La fine della disperazione:
Il terrorismo suicida
Chiamati giornalisticamente kamikaze, i martiri-suicidi (shaid), traggono il loro nome mediatico dai piloti suicidi giapponesi del 44/45. Kamikaze significa: vento divino, deriva dal nome del tifone che nel 1281 distrusse la flotta mongola, mentre tentava l’invasione del Giappone. Nel Giappone della Seconda Guerra Mondiale per diventare “vento divino” non bastava essere devoti all’imperatore a dispregio della propria vita, bisognava essere ammessi in un Corpo speciale, per pochi eletti, che ponevano il Codice del Bushido e l’onore avanti a tutto. Cambiando cultura ed universo simbolico, ci rendiamo conto di come shaid e kamikaze non siano la stessa cosa. I kamikaze giapponesi attaccavano solo ed esclusivamente obiettivi militari armati, erano un’espressione culturale autoctona giapponese, in fondo, come dimostrato dalla storia, avrebbero avuto ampie prospettive di vita a guerra finita, anche se persa, tutti lussi quest’ultimi, che sono negati agli shaid. Tuttavia furono dei terroristi giapponesi ad esportare la tecnica kamikaze in Medio Oriente. Il 30 maggio 1972 un commando di tre persone assaltarono l’aeroporto di Tel Aviv. Sparando all’impazzata contro la folla, avevano indosso bombe a mano, in modo da esplodere se colpiti dagli agenti della sicurezza. Era la prima volta che un attentato veniva pianificato senza prevedere una via di fuga per i terroristi. I tre uccisero 24 persone e ne ferirono 76. Due attentatori morirono dilaniati dalle bombe esplose sotto il fuoco delle Forze di sicurezza israeliane, il terzo, ferito, venne arrestato. Era giapponese. Si chiamava Okamoto Kozo e si dichiaró membro dell’Esercito Rosso (Sekigun), formazione dell’estrema sinistra giapponese nata l’anno prima in Libano. Negli anni Settanta i militanti di Sekigun si addestrarono in Libano con un’intera generazione di guerriglieri islamici, trasmettendo loro l’idea dell’attacco suicida. Proprio in Libano, i militanti di Hezbollah capiscono che l’attentato suicida puó essere di grande aiuto contro l’“occupazione” delle Forze della missione multinazionale di pace. Questo tipo di attacco era troppo lontano dalla cultura di difesa delle truppe straniere, in pochi pensavano che un attentatore potesse sacrificare la sua vita coscientemente, non era cosi: Hezbollah, per la prima volta, unisce la mistica religiosa sciita del martirio, già ampiamente sperimentata dagli iraniani nella guerra contro l’Iraq, alla tattica giapponese, provocando centinaia di morti in due attacchi suicidi alle basi dei peacekeepers statunitensi e francesi. La novità sta nell’attentatore, egli trasforma se stesso in un’arma, molto piú intelligente, di un’arma “intelligente”(13), sa dove e quando colpire ma soprattutto, per la prima volta nella sua vita, decide se farlo o meno. E’ convinto che, se morirá, se avrà successo o meno, dipenderà da Dio, ad ogni modo, in una vita di repressioni, di soprusi e di speranze negate, l’attentato rappresenta la rivincita su tutto. Poco importa se in paradiso si troveranno 72 tra le più belle donne del paradiso o se ci sia la possibilità per intercedere presso Dio a favore dei parenti(14), l’attacco terroristico suicida libera, con la morte, da una vita peggiore della morte stessa. Per questo non solo i musulmani utilizzano attacchi suicidi, lo fanno anche tanti gruppi non islamici, che con la mistica del paradiso non hanno nulla a che fare e che a volte non hanno a che fare neanche con la fede religiosa.
Si inizia presto con la mistica del martirio, in alcune scuole, si insegna ai ragazzi che non solo è bene uccidere, ma anche che è bene morire se Dio lo vuole. I docenti di queste scuole fanno riferimento ai grandi “eroi” del terrorismo internazionale, sviluppando cosi non solo la voglia di rivincita contro l’oppressione militare israeliana ma “il fuoco guerriero” di ragazzi poco più che adolescenti, i quali crescono con il desiderio di diventare grandi, famosi, mitici: shaid!(15)
Ragazzi, più vittime che carnefici, si immoleranno, per disperazione e per i loro ideali ma anche per le mire espansionistiche di altri, in un gioco politico-economico che troppo spesso non ha nulla di religioso. Essi sono infatti l’ultimo anello di una catena terroristica che riunisce ideologi, fiancheggiatori, finanziatori, leaders, tutti con il progetto comune: islamizzare il Medioriente (e poi forse, il mondo intero), per usare una frase propagandistica, “invasa dagli occidentali e dai loro amici ebrei” ma anche, conquistare le ricchezze che, questi nemici, possiedono.
Definizioni
L’Iperterrorismo(16). Potremmo definire il nuovo terrorismo: che valica i confini nazionali(17), che non combatte più per la propria terra o per la propria libertà ma che riduce la lotta al bene contro il male, quello moralmente asimmetrico, nel senso che non rispettando i diritti umani altrui vuole rispettati i propri(18), che fa dello shaidismo stragista la propria icona, che sgozza civili, anche pacifisti, solo perché occidentali, che colpisce preferibilmente “soft targets”, che distorce l’Islam e la religione musulmana a suo uso e consumo, che sogna il ripristino del proprio Califfato in tutte le nazioni islamiche, che usa tattiche assassine sempre più crudeli e letali: iperterrorismo(19). Legato al radicalismo islamico ed al wahhabismo, setta fanatica dell’Islam militante che ha la sua fonte in Arabia Saudita, è l’icona dell’imperialismo islamico, con mire espansionistiche nel mondo, dai Balcani alla Spagna ed in tutto il Sud-Est asiatico. Finanziato dal petrolio, estende i suoi tentacoli nelle città d’Europa attraverso i centri islamici: da Roma a Parigi, da Berlino a Londra, fino alla Bosnia(20).
L’iperterrorismo, spiccatamente maschilista, relega le donne in un angolo lontano della sua galassia, quest’ultime, sono poche e infarcite di propaganda, il più delle volte non sono loro a decidere di immolarsi o di partecipare ad azioni terroristiche. Pare infatti che, alcune terroriste cecene, siano state vendute dalla famiglia al gruppo capeggiato da Shamil Basayev, per cifre che si aggirano intorno ai 3.000 dollari, addirittura, il più delle volte, il sussidio alle famiglie delle donne-bomba è, la metà di quello elargito alle famiglie degli uomini(21).
Analizzando i capi carismatici dei nuovi gruppi terroristici si nota immediatamente il fatto che la provenienza non è la stessa delle risorse umane terroristiche precedenti, essi sono i rampolli dell’èlite civile e militare musulmana, provenienti dalle Università non solo religiose, formatisi durante la guerra contro l’Urss in Afghanistan spesso rifiutati dai propri paesi perché possibili “oppositori politici”(22-23), vivono una dissonanza nelle aspettative di vita ed un disorientamento sociale rispetto al mondo che non è più, per struttura e valori, quello di prima(24). Sono figli di un fenomeno ormai noto: nonostante le referenze possedute non riescono a trovare un lavoro o una carriera confacente alle aspettative, nei propri paesi sono meno ambiti rispetto ai colleghi occidentali e rifutati dal sistema iperproduttivo e tecnologicamente avanzato occidentale, in un mondo che cambia e si sviluppa senza di loro. Provengono da paesi senza la minima possibilità di un qualsiasi contraddittorio civile, con l’assenza endemica di regole democratiche quali: libere elezioni, alternanza politica, cultura parlamentare, Stato di diritto, vivono in: Egitto, Arabia Saudita, Siria, Algeria, la loro unica forma di lotta è diventata il terrorismo.
Tuttavia per capire perché l’iperterrorismo colpisca, in primis, i paesi occidentali e non i paesi mediorientali bisogna ritornare alla fine della guerra di liberazione afgana e alla prima guerra del Golfo. Si racconta che, dopo l’invasione da parte dell’esercito di Saddam del Kuwait, Osama Bin Laden, avesse proposto al governo saudita di organizzare una milizia internazionale di guerrieri islamici, i quali avrebbero liberato la regione dagli iracheni, sullo scorta di quanto fatto nella guerra di liberazione afgana dall’Urss. Come risposta alla proposta, i sauditi, hanno tolto la cittadinanza saudita a Bin Laden, costringendolo all’esilio e accettato l’aiuto Usa(25); tutti sappiamo come é andata a finire poi quella guerra. Odiati dai propri governanti, e non accettati dal sistema occidentale, gli iperterroristi si comportano - perdonate il paragone effettivamente ardito - come quel marito geloso che, scopertosi tradito, picchia l’amante della ammaliante moglie ben prima di accusare la fedifraga. Ovviamente il ruolo della moglie è impersonato dai paesi mediorientali che da una parte finanziano e forniscono protezioni (in maniera più o meno aperta) ai terroristi e dall’altra, concedono spazi ampissimi (basi militari, commesse economiche, uso delle riserve energetiche) all’interessato Occidente, nella parte invece dell’amante.
Questa forma di iperterrorismo sembra essere più micidiale delle precedenti, è difficile da contrastare fisicamente, sia perché, il maggiore background culturale aumenta la possibilità di usare strumenti più complessi (es. pilotare un aereo o costruire una bomba atomica), sia perché le conoscenze linguistiche, delle regole di comportamento e di mascheramento, rendono i terroristi effettivamente invisibili. Dal punto di vista motivazionale i terroristi di nuova generazione possiedono una marcia in piú: hanno la consapevolezza di poter vincere, come accaduto in Afghanistan e di poter cambiare la storia, come è effettivamente successo nell’ormai famoso attentato del nine-eleven.
Il futuro del terrorismo
Aumenta la preparazione in funzione terroristica, aumenta la micidialità degli attentati, aumenta la risposta violenta dei paesi colpiti dal terrorismo internazionale, aumenta il reclutamento dei futuri terroristi, come un cane che si morde la coda questa situazione peggiora ogni giorno di più ed ormai, nessuno può sentirsi al sicuro dal terrorismo(26). E’ verosimile affermare che: se continueranno le difficoltà economiche, dovute a ragioni interne ed internazionali e l’inurbamento devastante, se aumenteranno i tassi già elevatissimi di crescita demografica, finchè ci saranno gruppi di potere economici e politici interni (ed esterni) ai paesi mediorientali che cercheranno di sostituire la classe al potere, finché la colpa di tutti i mali sarà data all’“altro”, continuerà il fenomeno di rigetto del mal’applicato sistema capitalistico e di conseguenza, il terrorismo in funzione anti occidentale. In un clima illiberale ed antidemocratico, come quello dei paesi mediorientali, la religione è la più forte forza che può veicolare il malcontento e dare le motivazioni alla lotta. Come l’Islam ha unito le tribù afgane contro il nemico sovietico, cosi l’“Islam unirá tutta la Umma contro il nemico occidentale”. A nulla valgono gli appelli di religiosi moderati contro il terrorismo, perché l’unica autoritá riconosciuta é quella (di Dio) che parla attraverso il radicalismo piú estremo(27). Sebbene se ne parli sempre piú spesso, questo non pare un terrorismo provocato dallo scontro di civiltà o dalle differenze religiose, non lo vuole Dio, non lo pretende il problema palestinese, non lo vuole la “causa”, semplicemente perché: è la causa a servire ai terroristi non i terroristi a servire la “causa”(28).
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(1) Cfr. www.fbi.gov
(2) Paul Medhurst, Global terrorism, UN Institute for training and reserarch, New York, 2004 pg. 90.
(3) La Sunna è l’insieme degli insegnamenti del Profeta (Corano, Hadith etc.), la comunitá dei credenti invece é definita Umma.
(4) “Musulmani in Afghanistan vengono massacrati e il governo del Pakistan si muove sotto la bandiera dei cristiani. I musulmani in Pakistan si ergano contro quella che è la crociata all’Islam. Il mondo è stato diviso in due campi: uno sotto l’insegna della croce, come ha detto il capo degli infedeli, l’altro sotto le insegne dell’Islam”, O.bin Laden, Find on: http://news.bbc.co.uk.
(5) Pronunciamento religioso (con valore legale).
(6) Christoph Reuter, La mia vita é un arma, Longanesi & C. , Milano, 2004, p.25.
(7) Noam Chomsky, Pirati e Imperatori, M. Tropea Ed., Milano 2004, pg.14.
(8) In realtá il Jihad non ha nulla a che vedere con la guerra ma é piuttosto lo “sforzo sulla via di Dio” tutto quell’insieme di comportamenti che fanno del credente un buon credente, come rispettare i precetti coranici, fare proselitismo, etc., l’unico Jihad con le armi ammissibile (per cui possibile), è quello che deve difendere i musulmani da un’aggressione armata esterna.
(9) Benny Morris, Vittime, Rizzoli, milano, 2002, pg. 476.
(10) Christoph Reuter, La mia vita è un’arma, Longanesi & C. , Milano, 2004 p.20.
(11) http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2004/11_-Novembre/01/telaviv.shtml.
(12) L’elemosina legale, uno dei pilastri della religione Islamica.
(13) Le cosidette “Smart bombs” a guida laser o gps.
(14) Hadith 824-892-riferito da Ahmad e Al Tirmidhi., find on: www.Islamitalia.it.
(15) Cf. Mamma….sono cresciuto terrorista, Polizia e Democrazia, Ottobre, 2003.
(16) Il neologismo non è mio ma di Romano Bettini, cf. Delenda America, Iperterrorismo Islamista ed Anomia Internazionale.
(17) Nel senso che non ha una nazione od una regione specifica dove combattere ma è piuttosto “worldwide”.
(18) “Conseguentemente egli (Bush padre) trasferi’ [le idee di] dittatura e repressione della liberta’ a suo figlio che le ha introdotte con il Patriot Act sotto il pretesto di combattere il terrorismo” – Cosi O. Bin Laden, find on: http://news.bbc.co.uk.
(19) Cf. Romano Bettini, Delenda America, Iperterrorismo Islamista ed Anomia Internazionale, Ed. Franco Angeli, Milano.
(20) Pino Buongiorno, Terrore globale, Panorama, 10.9.2004.
(21) Matteo Durante, Non solo vedove (nere): quando le donne diventano kamikaze, Panorama, 2.9.2004.
(22) Paul Medhurst, Global terrorism, UN Institute for training and reseriarch, New York, 2004 pg. 343.
(23) Come Osama bin Laden, diciassettesimo dei 53 figli di uno degli uomini piú ricchi del Medioriente che ha costruito la sua fortuna all’edilizia finanziata dal commercio del petrolio. Osama bin Laden è un esempio tipico dei leader terroristici ben educati, ricchi che riescono in breve tempo a farsi strada nel “gruppo” grazie proprio al loro background culturale piú evoluto.
(24) Romano Bettini, Sociologia del Diritto Islamico, FrancoAngeli, Milano 2004, pg.56.
(25) Cfr. Peter L. Bergen, Holy War Inc. Inside the secret word of Osama bin Laden, Weidenfeld&Nicolson, Londra, 2001.
(26) Questo assioma è ormai confermato da tutti gli esperti del settore.
(27) “La fatwa di qualsiasi capo religioso ufficiale non ha valore per me. La storia è piena di questi Ulema che giustificano l’occupazione ebraica della Palestina e la presenza di truppe americane attorno alla Mecca. Queste persone aiutano gli infedeli per loro personale interesse. Il vero Ulema approva la Jihad contro l’America.” O. Bin Laden, find on: http://news.bbc.co.uk.
(28) Paul Medhurst, Global terrorism, UN Institute for training and reseriarch, New York, 2004 pg. 40.
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