Il procuratore generale della Dia Pier Luigi Vigna fa un quadro sintetico e preciso della strategia attuata dalla
criminalità organizzata
Da qualche tempo è sempre più difficile trovare sui mezzi di comunicazione notizie riguardanti la criminalità organizzata. Si tratta di un segnale positivo perché va scemando la pericolosità della presenza mafiosa nel Paese o, viceversa si tratta di negligenza giornalistica?
È vero: le notizie sulla mafia (salvo a polemizzare sul permesso premio, previsto dall’ordinamento penitenziario, a Giovanni Brusca) sono sempre più scarse.
Penso che ciò sia dovuto, da un lato alla difficoltà di trovare giornalisti che vogliono impegnarsi in un’analisi approfondita sui versanti più nascosti (es. infiltrazioni nell’economia) delle organizzazioni mafiose, sia, per fortuna, nella mancaza di cosiddetti “omicidi eccellenti”, i soli capaci, a suo tempo, di tener desta l’attenzione dei media (come se il bene della vita non fosse fondamentale per ogni persona). La strategia dell’“inabissamento” della mafia, diretta allo sfruttamento del territorio economico, ha avuto anche l’effetto di assopire le coscienze. E questo è grave.
Ogni volta che si affronta la questione dello sviluppo del Meridione d’Italia, riemerge il problema della mancanza di infrastrutture, ma anche della pericolosità, per gli industriali, di avviare attività produttive in quelle zone. Qual è il suo pensiero?
Singolarmente, con riferimento in particolare alla Sicilia, da analisi svolte risulta che il problema criminalità viene al terzo posto, nelle apprensioni degli operatori economici, dopo quelli delle infrastrutture e delle opacità e lunghezze della burocrazia. Questi, dicono alcuni, perché la presenza della mafia è tale da costituire una “normalità”. Non ci si meraviglia di vedere l’Etna, così come non ci si meraviglia che vi sia la criminalità organizzata. Questa è anche la mia opinione, ed è un’opinione triste.
Da anni si è avviato il processo di confisca dei beni mafiosi e della loro vendita, ovvero del loro reimpiego in usi socialmente utili. Può dirci qualche cosa in proposito e a che punto è questo processo?
Vi sono esperienze positive: case “mafiose”, sedi di scuola o di caserme o di comunità per il recupero di tossicodipendenti; terreni “mafiosi” coltivati da cooperative di giovani ed i cui prodotti sono venduti anche dalla grossa distribuzione (l’olio “Libero” ne è testimonianza come i pranzi della legalità ove si consumano quei prodotti).
Il sistema, tuttavia, va “oleato”: prendendo, ad esempio, un supporto economico dello Stato per le imprese confiscate alla mafia. Si spera che il disegno di legge delega sulla materia, approvato qualche settimana fa dal
Consiglio dei Ministri, possa provvedere in merito.
Una delle novità negative degli ultimi tempi è rappresentata dalla commistione tra criminalità organizzata italiana e quella internazionale. Quali sono, allo stato, le emergenze più consistenti derivate da questa “alleanza”? La droga è ancora predominante?
Tutte le maggiori espressioni della criminalità organizzata sono ormai transnazionali: dal traffico di tabacchi, armi e droga a quello dei rifiuti e degli stessi esseri umani. Da qui l’importanza di una forte cooperazione fra i paesi di provenienza, quelli di transito e quelli di destinazione dei traffici.
Il mercato degli stupefacenti è quello che offre maggiori introiti alle organizzazioni criminali per l’alto tasso di “ritorno” che l’investimento consente.
Primeggia, in questi settori, la ’ndrangheta.
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