Enrico Letta, parlamentare europeo della Margherita, analizza il peso degli ideali che hanno portato alla ielezione del Presidente e formula un augurio per il futuro. Armi e guerra non sono valori cristiani
Il presidente Bush ha vinto le elezioni americane con una campagna basata sui “valori”. Molti hanno commentato questo fatto con interpretazioni opposte. Si tratta di valori religiosi, che però comprendono anche la circolazione delle armi e il loro uso “domestico”. Questi valori sono davvero quelli che un cristiano deve condividere?
Su questa questione c’è una grande confusione. Le elezioni americane si spiegano abbastanza facilmente nella logica dell’11 settembre. Nel senso che l’11 settembre è stato un evento incredibile, che ha sconvolto l’America, ha sconvolto il mondo: era la prima volta che accadeva, sul territorio americano, un atto di guerra. È la storia, non è mai successo. E tutto questo ha capovolto i termini dell’agenda. Questa questione dell’agenda completamente sconvolta, è stata una delle questioni che ha poi portato dritti al risultato che ha riconfermato Bush che ha scelto di mettere l’elmetto. Bush ha deciso di essere il comandante in capo contro il nemico. Ha sbagliato, avrà fatto mille errori, ma gli americani così l’hanno visto, come il comandante in capo: gli americani hanno avuto paura del loro futuro e hanno pensato che la sua risposta fosse la più efficace. Senza queste considerazioni non sarebbe altrimenti spiegabile l’abnorme partecipazione al voto, una partecipazione assolutamente abnorme per gli americani. Tutto questo ragionamento fa sì che in modo forzato si vorrebbe traslare sulla politica italiana il risultato delle elezioni negli Usa. Si tenta una traduzione per motivi che non hanno niente a che vedere. Uno degli esempi di questo atteggiamento è stato il caso Buttiglione-Ferrara.
Rocco Buttiglione ha infatti cercato di trasformare la sua débâcle in Europa in qualcosa di diverso. La sua è però stata una vera débâcle frutto di inadeguatezze, furbizie e provincialismi. Buttiglione ha cercato di dare una qualche dignità culturale a quella sua sconfitta e l’americano per eccellenza Giuliano Ferrara ha cercato di aiutarlo all’interno di un tentativo di americanizzazione, si potrebbe dire “bushizzazione” della politica italiana. Sono stati utilizzati in modo distorto valori religiosi in una campagna che non ha nulla a che vedere con la cultura italiana.
Rimanendo sul piano culturale e religioso c’è anche da riflettere su un altro fatto: il 52 per cento dei cattolici americani, anche su invito delle gerarchie ecclesiastiche americane, ha preferito il fondamentalista evangelico Bush al cattolico Kerry. Come si spiega questa scelta?
Penso che questo si spieghi con la logica dell’affidarsi al comandante in capo che dicevo prima. Il cattolicesimo americano è diverso da quello italiano. La media delle posizioni politiche dei cattolici americani è spostata più a destra rispetto a quella degli italiani. Questo si spiega abbastanza facilmente ricordando che negli Usa i cattolici sono solo una parte del mondo cristiano, mentre in Italia i cattolici sono il tutto del mondo cristiano. Credo che questo conti molto e per questo tutti i paragoni sono estremamente difficili. Ed è l’ulteriore conferma dell’inadeguatezza dei paragoni usati nella vicenda Buttiglione. A Bruxelles è stato un grave errore da parte di Buttiglione aver confuso cattolicesimo e cristianesimo, senza rendersi conto che lì, a Bruxelles, ci si trovava di fronte a tanta gente portatrice di culture religiose diverse, con legami profondi con il protestantesimo (che è cristianesimo) e con confessioni che si rifanno a quel filone. Per questo non si possono fare sovrapposizioni che sarebbero comunque sbagliate.
Proprio per quanto riguarda l’Europa, con la rielezione di Bush alla Casa Bianca, come cambieranno i rapporti tra Usa ed Europa e come si svilupperanno gli schieramenti politici interni all’Unione europea?
Ora tutta l’attenzione e tutti gli auspici sono rivolti alla speranza che il Bush secondo non sia come il Bush primo. E’ la parte iniziale di tutto il ragionamento. Se il secondo mandato sarà come il primo, io vedo pochi cambiamenti possibili nella politica europea e nei rapporti complicati tra Usa ed Europa. Oltretutto bisogna anche tenere conto del fatto che il Bush secondo si trova di fronte a uno schieramento in cui all’asse franco-tedesco si è ora aggiunta la Spagna che invece prima era schierata nell’altro campo.Questo a mio avviso conterà molto. Se invece ci sarà un Bush secondo che sia differente, allora il discorso cambierà e son convinto che ci potranno essere dei ragionamenti legati al passaggio di testimone tra l’attuale presenza internazionale in Iraq e una nuova presenza internazionale che sia gestita in modo differente.
Che effetti avrà la rielezione di Bush sugli sviluppi della guerra in Iraq e sulle questioni aperte, a partire da quella Palestinese? Ci sono state dichiarazioni e ora cambierà il quadro con il dopo Arafat. Un’altra apparente anomalia delle elezioni americane riguarda il fatto che il 76 per cento degli ebrei americani, malgrado la sintonia tra Bush e Sharon, ha votato per Kerry?
C’è la comprensione del fatto da parte di buona parte della intellighenzia che la linea di Sharon è stata uno dei peggiori disastri che si potevano avere nella politica internazionale così complicata come quella attuale. Uno degli errori di Bush è stato proprio quello di adeguarsi alla linea di Sharon, si è sharonizzato per così dire. Non si può pensare a una sovrapposizione completa delle ragioni di Israele con quelle degli Usa. Gli Stati Uniti sono la superpotenza mondiale, non possono permettersi cose del genere.
Il terrorismo è concepito come uno dei problemi centrali, se non quello centrale. Ma come si può affrontare in modo diverso dal ricorso alla guerra? Anche tra i partiti del centrosinistra italiano mi pare ci sia un dibattito serrato sulla guerra e sull’alternativa alla guerra nella lotta contro il terrorismo. Quale strade ci possono essere?
E’ un tema molto dibattuto. Spero che si tirino anche le conseguenze di tutto ciò. Il fatto è che portando la guerra a tutti gli Stati che si immaginino nemici non si farà che peggiorare la situazione. Basta guardare quello che è avvenuto con l’Iraq; io questo lo dico anche perché se il Bush secondo sarà in continuità con il Bush primo e ci si metterà nella logica di “finire il lavoro” come hanno detto in molti, allora sarebbe un vero disastro. Potrebbe succedere quello che è già accaduto in Iraq, in Iran e poi magari in altri paesi. L’Europa dovrà tenere su questo una posizione ferma, io direi addirittura rigidissima per far sì che il Bush due non sia come il primo.
Sempre per quanto riguarda l’Europa, c’è anche da dire che ci sono in ballo altre questioni molto importanti oltre la guerra. Ci sono per esempio tutti i problemi relativi al welfare e ai diritti in generale. Che prospettive si vedono per l’Europa? Anche in questo campo si scontreranno due modelli, quello liberista e quello basato sullo Stato sociale?
Io credo che ci debba essere una evoluzione del nostro modello di welfare, non in termini di tagli e ridimensionamento, quanto di rimodulazione. Abbiamo infatti una serie di categorie nuove di cittadini che sono frutto di trasformazioni sociali e demografiche. Queste nuove figure sono prive di tutele. Non possiamo quindi dire che vogliamo mantenere il welfare esistente, ma neppure adeguarsi alla ricetta berlusconiana. Ci sono italiani che vengono licenziati individualmente e sono sempre di più. Per quelli licenziati collettivamente c’è sempre stata la protezione del welfare, mentre per i licenziati a livello individuale, che sono sempre di più, non ci sono protezioni. Ma ci sono anche problemi seri per gli anziani non autosufficienti. Con l’aumento della speranza di vita, aumentano anche tutti i problemi relativi alla popolazione più anziana. C’è anche il tema degli asili nido che ora si complica con le ristrettezze economiche.
Oggi bisogna lavorare in due, in una coppia; se non c’è l’asilo nido e non ci sono i nonni a disposizione, non si possono fare figli o si perde uno dei due lavori. Su tutti questi problemi c’è bisogno di una rimodulazione del welfare ed ecco perché l’attuale impostazione del taglio fiscale che Berlusconi immagina, è un’impostazione che noi combattiamo, anche perché l’idea che tutto si risolva con l’abbattimento delle tasse ai ricchi nel nostro Paese è assolutamente sbagliata.
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