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Dicembre/2004 - Interviste
Civiltà
I violenti in nome dell'Islam non sono lo standard medio
di a cura di Alessandro Floris

Le immagini televisive dei sequestrati sgozzati danzano quotidianamente sui nostri schermi, censurate e tagliate per nascondere l’orrore più cruento. Ci siamo abituati a tutto. Agli attentati quotidiani, allo stillicidio di vite umane, ora anche gli annunci dei sequestri in Iraq si susseguono incessanti, e con essi giungono i video della disperazione, poi quelli della morte, del sangue innocente e della violenza.
Oltre il pianto delle famiglie degli uccisi, c’è un’altra vittima in questo gioco al massacro: l’Islam come religione di milioni e milioni di fedeli, la sua cultura, il suo messaggio, violentato e stravolto da uomini senza scrupoli.


Riuscirà l’Islam a non rimanere schiacciato dalle azioni mostruose compiute in suo nome?
Lo chiediamo al Prof. Francesco Castro, ordinario di Diritto musulmano e dei Paesi islamici presso l’università di Roma II – Tor Vergata.

Si, il rischio che l'immagine dell'Islam venga rovinata da questi episodi di sangue è concreto, perché potrebbero confondersi religione e terrorismo. Va però osservato come in tutte le religioni, per il raggiungimento di cause pie, siano state adottate certe forme di sacrifici umani.

Spesso ci si è domandati se l’omicidio-suicidio dei terroristi che si autoproclamano “terroristi islamici” abbia un qualche fondamento nei testi sacri dell’Islam.

Il suicidio come esempio estremo di sacrificio può essere ritenuto una forma di martirio, non solo nell’Islam ma anche in altre religioni monoteiste. Tuttavia, il martirio non va confuso con qualsiasi forma di violenza statale o collettiva da parte di gruppi che sono minoranze in Paesi non musulmani, o anche minoranze in Paesi musulmani.

Da cosa nasce, allora, questa incredibile e dirompente violenza, e questa volontà di autodistruzione, se non proviene dalla fede? Possiamo ritenere che i terroristi suicidi obbediscano agli ordini di capi che li indottrinano sino a coartarne la volonta?

Obbediscono ai capi, o a forme di autosuggestione, che portano a credere nel martirio come punto più alto della propria esperienza religiosa.

Esiste un Islam moderato anche tra il popolo, o se ne parla solo nei simposi o nei convegni?

Certo che esiste un islam moderato. In un’area culturale così estesa, dal Nord Africa all’Indonesia, ci possono essere gruppi di violenti che giustificano i loro atti con ragioni religiose o sociali, ma non rappresentano lo standard medio. E’ come se un gruppo di cattolici irlandesi compisse violenza verso individui protestanti. Un tale gruppo non sarebbe certo rappresentativo di una mentalità dominante tra i cattolici.

La maggior parte dei musulmani odia o disprezza l’Occidente ed i suoi costumi, o si tratta di una immagine non veritiera del sentimento della gran parte della popolazione?

Non è così, perché il processo di acculturazione alle idee occidentali è ormai radicato in questi Paesi. In molti momenti storici certe forme di modernizzazione sono venute comunque spontanee, rappresentando un consapevole adeguamento dell’Islam al mondo moderno e contemporaneo, di cui i musulmani contribuiscono ad essere artefici.

Da cosa deriva il disprezzo verso la nostra cultura, e l’odio verso l’America?

Anche in Europa è radicato l’antiamericanismo, sono solo delle correnti di pensiero minoritarie.

Il profeta Muhammad ha dato come compito ai suoi seguaci e successori la diffusione della fede e della verità a lui rivelata. Il compimento di azioni efferate e mostruose in nome della religione rischia di allontanare possibili nuovi fedeli dalla religione musulmana?

Certo, questo è normale. E’ purtroppo un cattivo servizio reso all’Islam da alcuni gruppi di estremisti.

La religione musulmana, si dice, è una religione che può provocare odio e violenza a causa di alcuni brani del Corano che inciterebbero tali azioni e sentimenti. C’è qualcosa di vero in queste affermazioni, e, se no, per quale motivo parte dell’opinione pubblica, anche colta, giunge a siffatte conclusioni?
Non è così, non c’è un incitamento alla violenza, ma una forma di autocompiacimento per la propria religione, esaltata al cospetto delle altre. Ma ciò è comune a tutte le religioni rivelate.
Per quale motivo le autorità religiose islamiche non sempre hanno delegittimato le azioni criminose dei terroristi, cercando giustificazioni e spostando l’attenzione verso i torti subiti dai musulmani? C’è, nell’Islam attuale, una forte componente di vittimismo?

Non c’è nell’Islam una Chiesa gerarchicamente organizzata, pertanto c’è, in effetti, più democrazia nel poter esprimere ognuno le proprie opinioni senza doversi attenere ad una linea unitaria. Allo stesso tempo, manca però una autorità che possa far valere la propria voce e diffondere in maniera forte un messaggio di pace. E’ un fatto culturale, ma i musulmani più colti si sono pronunciati apertamente contro questi atti.

Solo un osservatore molto attento può sapere che alcuni esponenti di rilievo di un Islam colto, pronto al dialogo, pacifista e tollerante si sono riuniti per tentare, in questi anni difficili, di dare una immagine migliore della propria religione e cultura. Che impatto ha questa élite nei confronti della popolazione musulmana?

Ha sicuramente il suo impatto, ma mancando una gerarchia ecclesiastica la circolazione di certe concezioni è molto più complessa che nel mondo cristiano.
Come sarà ricordato, nei libri di storia, questo periodo drammatico? Lo scontro di due civiltà?

Mi auguro di no, ma è nostro compito mettere in evidenza la realtà dei fatti. Non esiste uno scontro di civiltà, ma delle diversità culturali, che solo in casi marginali possono produrre degli episodi violenti.

Quali scenari possono essere previsti nell’evolversi di questa crisi internazionale?
E’ davvero difficile fare delle previsioni, anche se non sembra che la situazione attuale sia di facile soluzione, con focolai di rivolta in tutto il mondo. L’augurio e la speranza è rivolta all’azione quotidiana di ogni individuo, affinchè si favorisca un riavvicinamento tra le persone di diverse culture e si apra un dialogo ed un confronto improntati a criteri di civiltà.

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