Continua nel nostro Paese il flusso migratorio che, solo per quanto riguarda i “regolari”, supera i due milioni. I clandestini (secondo stime della Caritas) sarebbero circa ottocentomila l’anno
Lasciano i loro paesi carichi di speranze, ma il sogno dura poche miglia. Poi, le lacrime. Il limbo del viaggio si trasforma in un inferno fatto di miseria, emarginazione se non addirittura di rimpatri forzati.
E’ la storia di migliaia di migranti che ogni anno tentano la via della sopravvivenza cercando “fortuna” sulle nostre coste pur di sfuggire a guerre, povertà e persecuzioni che subiscono nelle loro terre d’origine.
In Italia, continua a crescere il numero dei loro arrivi. Secondo il dossier Caritas-Fondazione Migrantes, presentato a fine ottobre, il numero degli immigrati regolari ha toccato, all’inizio del 2004, quota 2 milioni e 600 mila, il 4,5% della popolazione residente. Ovvero un migrante ogni 22 cittadini: il doppio di quanti erano presenti nel 2000 e più di quanto stimato dal ministero dell'Interno (circa 2.3 milioni). Ma si supera quota 3 milioni se agli arrivi regolari si aggiungono quelli irregolari che variano da 200 a 800 mila l’anno. Come dire, il futuro della nazione è multilingue, multicolore.
Lo slogan scelto per il dossier, “Società aperta, società dinamica e sicura”, spiega la Caritas, “sottolinea che l'immigrazione può essere governata solo nel contesto di una società che sia in grado di valorizzarne le opportunità nel reciproco interesse, salvaguardando un senso di sicurezza sia negli italiani che nei nuovi cittadini”.
A giudicare dai dati Caritas, il numero dei migranti sarebbe raddoppiato nell’arco degli ultimi quattro anni. Per l’organizzazione, se continuerà questa tendenza, fra dieci anni la popolazione immigrata sarà nuovamente duplicata.
Le regioni in cui la loro presenza è più corposa sono sicuramente quelle del Nord. Al settentrione, infatti, cerca sistemazione il 60 per cento degli immigrati. (1 milione 500mila). Al sud e nelle isole la loro presenza è notevolmente inferiore, vista anche la gran penuria di lavoro che flagella quelle zone. Al di sopra della media, con il 7 per cento, sono regioni come Lazio, Lombardia ed Emilia Romagna. Ma quella di Prato è la provincia con maggiore incidenza (11 per cento), forte della storica e ben radicata comunità cinese. A seguire Roma e Brescia (9 per cento). Nel meridione la presenza più alta si ha in Abruzzo (3 per cento) e nelle province di L'Aquila, Crotone, Teramo e Ragusa (4 per cento).
Ma chi sono questi esuli, questi uomini e donne alla ricerca di un futuro? La Caritas segnala un autentico boom di arrivi dalla Romania e dall’Ucraina. Ad essi si aggiungono quelli dal Marocco e dall’Albania, anch’esse in crescita. Sta di fatto che, negli ultimi anni, il balzo in avanti più notevole, in termini di arrivi, è sicuramente quello riguardante la Romania. L’Ucraina poi, che ora conta nel Bel Paese più di 113mila cittadini, nel 2002 n’aveva solo 14.035.
E nonostante le nostre città vadano sempre più riempiendosi di profumi d’oriente, la Cina si colloca solo al quinto posto della graduatoria. E’evidente però la profonda interattività della comunità cinese con le economie dei nostri centri abitati segnalata dalla gran quantità di prodotti locali all’interno dei nostri mercati. Ma anche in molti negozi. Oltre ai 100mila cinesi, a infittire le schiere dei nuovi arrivati sono proprio cittadini di origine europea (47,9 per cento del numero complessivo).
Un immigrato su due, in sostanza. Nella fascia fra le 60-70 mila presenze si trovano le Filippine, la Polonia, la Tunisia ma nutrito è anche il gruppo dei cittadini provenienti da Usa, Senegal, India, Perù, Ecuador, Serbia, Egitto, Sri Lanka.
Se lasciano le loro terre d’origine non è per diletto. Arrivano in Italia innanzitutto alla ricerca di lavoro. A differenza di molti di noi europei non possono permettersi il lusso di girare il mondo sugli aerei da turismo e quindi sbarcano sulle nostre coste a bordo di pericolanti carrette del mare. I due terzi degli immigrati (66,1 per cento) arrivano in Italia alla ricerca di un impiego e circa un quarto (24,3 per cento) per motivi di famiglia. I due motivi, segnala il dossier, assommano così il 90 per cento delle presenze e "mostrano la fortissima tendenza all'inserimento stabile". Un dato invece indubbiamente positivo è che, nell'ultimo anno, sono aumentati del 25 per cento gli immigrati imprenditori. Persone che hanno messo a frutto le capacità acquisite nel loro Paese (o magari in Italia) e che oggi oltre a produrre discreti fatturati, possono permettersi di assumere dipendenti. Molti dei quali, addirittura italiani. A giugno 2004, 71.843 risultavano i titolari d'impresa, il 25 per cento in più rispetto all'anno precedente. In media un'impresa ogni 50 (1 ogni 25 a Roma e 1 ogni 8 a Prato) appartiene a un imprenditore straniero.
Ad affrontare gli interminabili “viaggi della speranza” anche un numero congruo di donne. Tant’è che se nel ‘91 gli uomini erano il 58 per cento, oggi sono il 51,6. In calo, invece, il numero dei minori, ora al 15,6 per cento. Naturalmente a migrare non possono che essere i giovani che oltre mare cercano nuove opportunità di vita: il 58,5 per cento ha, infatti, un'età compresa fra 19 e 40 anni. Le opportunità che però spesso si presentano loro sono solo per lavori stagionali. Il dossier 2004, giunto alla sua quattordicesima edizione, rileva che nel 2003, “un anno di relativa chiusura”, ci sono stati 107.500 ingressi per inserimento. Sugli ingressi irregolari, la Caritas non fornisce stime ma sottolinea che “non si può concludere che le sacche di irregolarità siano andate diminuendo”. A supportare associazioni e cittadini che da anni si battono per una completa compartecipazione dei migranti alla vita economica del Paese, contribuiscono ancora i risultati del dossier. La Caritas afferma infatti che gli immigrati “sostengono il nostro sistema produttivo nazionale”. Oltre ai titolari di permessi per lavoro (1.450.000), svolgono un'attività anche circa 300 mila familiari, così da incidere per circa il 7 per cento sulle forze lavoro (24.150.000) e fornire un importante contributo all'economia del paese. Il nodo dolente continuano però ad essere le condizioni di lavoro che vengono loro imposte e l’assenza, spesso, di contratti che ne regolino retribuzioni e orari. Nonostante le grandi nicchie (crateri) di lavoro sommerso, secondo l’osservatorio Caritas un'assunzione su 6 è di un migrante (era 1 ogni 10 nel 2000) e il 70 per cento delle assunzioni è concentrato nel nord. I settori dove è registrato il maggior numero di posti di lavoro assegnati a cittadini stranieri è nel settore domestico, nelle costruzioni, negli alberghi, ristoranti e nell'agricoltura. A tal proposito però, i casi di infortunio relativi ai migranti segnalano numeri ancora allarmanti. Nel 2003 sono stati denunciati ben 106.930 casi, di cui 129 talmente gravi da causare la morte di questi lavoratori. Tra gli immigrati, rende noto il dossier, l’incidenza di infortuni sul lavoro è ancor più alta che per gli italiani. Per gli immigrati si verifica un incidente ogni 15 occupati, mentre per gli italiani 1 ogni 25. Il lavoro dei migranti, oltre a mettere in moto la nostra economia, stimola quella delle loro terre. E’ infatti grazie alle loro rimesse (il denaro che inviano in patria ai familiari) se, nel 2003, sono transitati ben 2,6 miliardi di dollari tra l’Italia e i vari paesi d’origine. Cosa che fa del nostro paese la nona nazione nella graduatoria mondiale per consistenza dei flussi di rimesse.
Sul caleidoscopico panorama della migrazione pende come una spada di Damocle la legge Bossi-Fini-Mantovano su cui la stessa Caritas resta assai critica: “Non mutiamo giudizio - ha detto il direttore della Caritas italiana don Vittorio Nozza - ricordando che, d’altronde, il nostro è stato un giudizio sempre critico, sin dall’inizio, sulla normativa”. Secondo la Caritas, infatti, la Bossi-Fini-Mantovano “non tiene in debita considerazione la persona umana”. Don Nozza pur riconoscendo le numerose regolarizzazioni critica le “difficoltà continue poste nell’azione dei flussi” dove - dice - “oggi sono previste 30 mila presenze quando tutti constatano che ne occorrerebbero, invece, almeno 50mila”.
E certo che se il grado di civiltà di un Paese si misura anche attraverso l'accoglienza, l'Italia è sicuramente tra gli ultimi posti. La politica della chiusura totale delle frontiere, voluta dalla Bossi-Fini, non fa che aumentare la clandestinità mettendo a repentaglio la vita di coloro che tentano di raggiungere l’Europa sulle carrette del mare, o dentro camion o treni merci. Ancor più aspra è la contestazione giunta quest’estate dalla Corte di cassazione che ha sonoramente bocciato la legge sull’immigrazione voluta e difesa dal governo. Secondo i giudici la norma è incostituzionale due volte: la prima perché viola il diritto alla difesa quando prevede che l'immigrato possa essere espulso senza un preventivo contraddittorio. La seconda quando stabilisce l'arresto obbligatorio in flagranza per i migranti che non abbiano rispettato l'ordine di lasciare il territorio nazionale entro i cinque giorni previsti. Una norma quest'ultima che, secondo la Corte, “non trova alcuna copertura costituzionale”.
Si tratta di una provvedimento “irragionevole”, spiega la Corte, perché prevede l’applicazione di misure coercitive che “possono essere applicate solo quando si procede per un delitto”, e per di più particolarmente grave. In questo modo si contraddice quanto previsto da due articoli della Carta, il 3 che sancisce l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e il 13 che legittima l'adozione da parte dell'autorità amministrativa di provvedimenti che incidono sulla libertà personale solo in casi eccezionali di necessità e urgenza. Oltretutto, aggiunge la Corte, l'arresto “è privo di qualsiasi sbocco sul terreno processuale” giacché la legge impedisce che si possa disporre la custodia cautelare in carcere per un reato contravvenzionale, come quello previsto dalla legge sull'immigrazione.
Questa sentenza ha provocato tanto clamore ancor più alla luce dei rimpatri forzati dei primi di settembre che hanno visto centinaia di migranti ripescati dal mare, stipati in aerei militari e “rispediti” indietro. Ma indietro dove? In patria? E chi lo sa… Non è stato dato loro neppure il tempo di dichiarare le loro generalità che erano imbarcati su un volo di ritorno. I rinvii di massa, oltre a sconcertare l’opinione pubblica, hanno creato forti dubbi sulla legalità dell’operato della maggioranza che forte del suo accordo con la Libia non ha esitato a spedire in Nord Africa cittadini provenienti dal Senegal, dall’Etiopia o dal medio Oriente.
In barba ai principi stabiliti dalla Costituzione italiana e dalla Convenzione di Ginevra che riconoscono ai migranti la possibilità di richiedere asilo, nei modi e nei tempi stabiliti per legge. E’ così che invece tali principi sono stati negati e centinaia di migranti sono stati privati del diritto di istruire le pratiche per la richiesta d’asilo, scoraggiati dalla velocità dei rimpatri e dall’impossibilità di avere un interlocutore (nella loro lingua) che potesse ascoltare le loro storie e le ragioni delle singole fughe dai propri paesi. Nonostante le polemiche, uno dei punti su cui il governo proprio non vuole cedere è la rapidità delle espulsioni. Qualche mese fa, ad aprile, sempre la Corte costituzionale aveva anticipato la bocciatura di un altro aspetto cardine della Bossi-Fini, relativo alla possibilità di espellere subito l'immigrato accompagnandolo forzatamente alla frontiera. Le reazioni della maggioranza all’affondo della Corte sono state le più disparate ma tutte stizzite. A usare i toni più duri sono stati, come di consueto i figli del dio Po.
Per Roberto Calderoli, vicepresidente del Senato, quella delle Cassazione è “una sentenza ideologica che va contro la gente”, mentre per il vicepresidente della Lega Nord a Montecitorio, Federico Bricolo, “i giudici si sono bruciati in un solo colpo quel poco di credibilità che ancora avevano”. Pesanti come macigni anche le parole usate dal presidente del Senato Marcello Pera, per il quale “se si insiste molto sulle garanzie, una misura di sicurezza come ad esempio un’espulsione amministrativa diventa praticamente impossibile da eseguire”. An dal canto suo, all’indomani della bocciatura degli articoli, ha tentato di minimizzare la questione tentando con un certo aplomb di descrivere “il bicchiere mezzo pieno”.
Secondo Giuseppe Consolo infatti “la decisione della Corte, con l’unica eccezione della norma relativa all’arresto obbligatorio, conferma in buona sostanza la fondatezza generale della Bossi-Fini”.
Di tutt’altro avviso sono stati, naturalmente, gli esponenti dell’opposizione che col dente avvelenato contro la Bossi-Fini, hanno avuto l’opportunità di rilanciare l’idea dell’illegittimità di questa norma. Per Fausto Bertinotti (Prc), la decisione della Corte non ha fatto che ribadire il concetto che è “ora di riaprire il capitolo dei diritti degli immigrati”. Obiettivo condiviso anche dai Verdi che attraverso Alfonso Pecoraro Scanio e Paolo Cento hanno commentato: “Dalla Corte è arrivato un richiamo di civiltà. La Bossi-Fini è incostituzionale e razzista e va cancellata”.
Nel mirino delle opposizioni anche i centri di permanenza temporanea (Cpt) e l’istituzione del giudice di pace quale figura che ha il compito di confermare o respingere la richiesta di espulsione firmata dal questore. Giurisdizione sottratta al giudice ordinario che finora decideva in materia.
Come dire, permettere che della libertà personale di un individuo possa decidere un magistrato non professionista. E’ così che questa scelta politica del governo ha scatenato l’ira funesta di addetti ai lavori e non. “Si tratta di uno sconvolgimento radicale del riparto di competenze tra magistratura ordinaria e onoraria, in una materia così delicata come quella della libertà personale, che esige massimo di professionalità, la piena indipendenza del magistrato nominato senza limiti di tempo”, ha detto Edmondo Bruti Liberati, presidente dell’associazione nazionale magistrati. Parole alle quali si sono unite anche quelle di Claudio Castelli, il segretario di Magistratura democratica: “Il significato ideologico sottostante è agghiacciante. I cittadini italiani hanno diritto a un giudice ordinario, gli immigrati a un giudice onorario”.
Polemica anche intorno ai tempi per il rinnovo dei permessi di soggiorno, oggi una vera e propria corsa ad ostacoli, tra lungaggini burocratiche durante le quali i migranti residenti rischiano di restare senza casa, cure mediche, ferie e opportunità di ricongiungersi con i propri familiari. Sarcastico e riassuntivo il commento dei responsabili Welfare e Immigrazione dei Ds, Livia Turco e Giulio Calvisi: “Siamo al nulla assoluto. La verità è che questo governo non ha adesso e continua a non avere una politica sull’immigrazione: l’unica via d’ingresso in Italia è diventata quella illegale, le politiche di integrazione sono state abbandonate e le questure scoppiano perché non riescono a rinnovare i permessi di soggiorno”.
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