Tra ristagno economico e “riforma Moratti” il governo è alle prese con la crisi dell’innovazione in campo cientifico
All'inizio di ogni anno accademico si tenta di fare il punto sull'università italiana, su cosa funziona e non funziona. Da sempre fucina di idee e di movimenti di protesta, poche volte come quest'anno i corsi sono cominciati in un clima di caos ed incertezza.
A tener banco, ancora una volta, la riforma-Moratti, che ha scatenato il malcontento dei ricercatori, con tanto di lezioni bloccate in numerosi atenei. Questa categoria, che si calcola svolga circa il 45 per cento della didattica universitaria, si è mobilitata dopo che, il 31 luglio, la Commissione cultura della Camera aveva approvato un disegno di legge ritenuto gravemente lesivo degli interessi dei ricercatori.
Ad essere minacciata, è l'esistenza stessa della figura di ricercatore. La ricerca verrà affidata a lavoratori con contratto a progetto. Non ci saranno più assunzioni a tempo indeterminato. Oltre alla condanna ad anni di precariato, i ricercatori si vedono estromessi dall'insegnamento. Solo i professori aggiunti potranno prender parte all'attività didattica.
Accanto a questa stangata per i ricercatori, come una beffa successiva al danno subito, lo stesso progetto legislativo prevede l'assunzione a tempo pieno di quei docenti che, svolgendo attività professionali al di fuori dell'università, sono attualmente lavoratori a tempo definito.
Le università si potranno permettere dunque di sostenere un aggravio economico molto ingente e non corrispondente ad una miglioria del servizio offerto agli studenti: i professori in questione continuerebbero, difatti, a svolgere anche l'attività lavorativa extrauniversitaria. Dunque, si tutela una categoria già superprotetta e si aggrava la situazione di chi cerca, faticosamente, una propria collocazione nel mondo dell'insegnamento e della ricerca. Alla protesta dei ricercatori si sono uniti gli studenti, e negli atenei è scoppiato il caos: manifestazioni, assemblee generali e didattica sospesa. Tutto questo subbuglio va a colpiere un nervo già scoperto nell'universo dell'univerità italiana.
Lo slogan che lamenta la “fuga di cervelli” dall'Italia verso altre nazioni, non fa che nascondere una realtà: la ricerca nel nostro Paese affronta un periodo di grave crisi. Dal punto di vista economico, il ministro Moratti ha adottato delle contromisure volte ad agevolare gli investimenti nel settore, attraverso detassazione, sconti fiscali e crediti agevolati. I fondi per la ricerca arriveranno anche con l'8 per mille.
In realtà, il problema della ricerca scientifica è ben più ampio, e riguarda un autentico crollo di interesse per le materie del gruppo scientifico, che ha portato, di conseguenza, ad una diminuzione molto drastica degli iscritti ai vari corsi universitari. Il presidente dei rettori, Tosi, ha puntato l'indice contro i mass media, accusati di rivolgere accuse impietose ed eccessive al mondo scientifico, incentrando l'attenzione sugli aspetti più deleteri del progresso. D'altro canto, le notizie positive non fanno mai scalpore, molto meglio spargere informazioni allarmanti sulla clonazione e gli alimenti transgenici, spesso parlando con scarsa cognizione di causa. Tutto sommato, ad opinione di chi scrive, sembra che il mondo accademico manchi di una sana capacità di autocritica.
Non occorre essere degli arguti osservatori, per capire che il mondo accademico italiano è reso immobile dal dogmatismo che impedisce di assumere posizioni contrastanti con le teorie tradizionali. Ciò non significa che si debba dare la patente di scienziato a qualsiasi ciarlatano, né che debba ritenersi valida una tesi o, peggio ancora, una terapia medica, suggestiva quanto non basata su prove e risultati obiettivi.
Tuttavia, l'impressione è che la comunità scientifica tenda ad essere conservatrice e poco elastica di fronte a soluzioni alternative. Questo atteggiamento è palese nel campo medico, dove all'immobilismo della medicina ufficiale si contrappone un proliferare della medicina alternativa, con gran confusione di metodi, specializzazioni, titoli di studio, il tutto a discapito del malato che non sa più a che santo votarsi.
Anche il discorso dell'insegnamento universitario è analogo: il progetto di riforma ammazza-ricercatori è certamente illogico, ma chi vuole approfondire il problema non può evitare di porsi degli interrogativi anche sul sistema attuale, assolutamente privo di trasparenza.
In tutto questo marasma di discorsi sui massimi sistemi, le vittime sono sempre loro: gli studenti.
Per accedere all'universistà bisogna superare l'infernale sistema del numero chiuso, con dei test che pretendono di decretare preventivamente la capacità di uno studente di affrontare un certo corso di laurea. L'esperienza ha dimostrato come molti respinti ai test di ammissione, siano riusciti ad entrare con vari stratagemmi (ricorsi amministrativi, cambi di facoltà negli anni successivi), risultando poi tra i migliori del proprio corso.
Di questo passo, quando un bambino di cinque anni risponderà alla domanda: “cosa vuoi fare da grande?”, bisognerà aggiungere: “se superi il test di ammissione!”. Così, nel frattempo, si abitua all'idea. Superato il primo scoglio, si vanno ad affrontare i classici problemi dell'università, che le varie riforme non sono riusciti a risolvere, in quanto attinenti, sopra tutto, ai rapporti tra professori e studenti, sempre lasciati in balia della coscienza dei primi.
Una volta laureati, via nel calderone dei tirocini professionali. Altrimenti, alla ricerca del lavoro, ma, come si vede, un lavoro sempre più precario.
Il 30% lascia
La crisi delle facoltà scientifiche si legge chiara nelle seguenti cifre: 28.907 iscritti ai corsi di laurea del gruppo scientifico nell'86-87, mentre nel 99-2000 sono stati solo 7106 i nuovi studenti ad intraprendere lo studio di queste materie.
La crisi nera, per la facoltà di matematica, risale al 99-2000: meno 20,7 per cento di iscrizioni rispetto all'anno accademico precedente. Ma la crisi riguarda anche chimica, fisica, astronomia e geologia, con picchi di diminuzione di iscritti prossimi al 30 per cento!
Clonazione sotto accusa
Tra gli argomenti ritenuti alla base della disaffezione dei giovani alle materie scientifiche, gran parte fanno la clonazione, le manipolazioni genetiche, anche volte alla modifica dei prodotti agricoli o, comunque, alimentari. Spesso i mezzi d’informazione evidenziano gli aspetti negativi, dipingendo inquietanti scenari futuri, senza far comprendere l'importanza della ricerca in questi campi, se svolta con finalità positive, rispettose della dignità e della vita umana.
C'è un'altra possibilità, però: la carriera universitaria. Perchè no... conoscete qualcuno?
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