Una serie impressionante di omicidi, tutti in strada, ha scosso l’opinione pubblica e le autorità che sono corse ai ripari, ma con scarsi successi. L’impotenza delle Forze di polizia nei confronti della criminalità giovanile
Dall’autunno rovente e insanguinato di Napoli l’avvio a una nuova revisione del Codice? Certo è che all’unanimità (anche di quelli che non si pronunciano) è stato finalmente riconosciuto che delinquere è facile, comodo e redditizio; che dopo condanne anche immediate e severe, in carcere ci si sta poco e niente. Certo che le leggi definite “troppo garantiste” sono uguali in tutta Italia, ma è apparso chiaro che a Napoli l’antica tradizione leguleia della delinquenza induca ad approfittarne meglio che altrove. Almeno a prima vista. Perché poi se si va ad approfondire l’accaduto e si esaminano eventi dei mesi e degli anni precedenti, quel novembre che ha visto il ministro precipitarsi nella città flagellata da una serie di assassinii, di motivazioni se ne trovano parecchie altre.
E si riesce anche a comprendere il motivo per cui mentre è in corso un “vertice” sul caso Napoli negli uffici ministeriali del Viminale, proprio nel quartiere che si assicurava “blindato”, sorvegliato in ogni suo centimetro, assediato e pattugliato dopo l’attentato a quattro carabinieri, sono stati portati tranquillamente tre cadaveri freschi di esecuzione con colpo alla nuca, impacchettati nel cellophane. Tre cugini trentenni, spacciatori più volte arrestati; uno (proprietario dell’auto) nel bagagliaio, gli altri due distesi sui sedili posteriori, vengono fatti trovare mediante telefonata anonima. E nemmeno di notte: erano le 15 del 9 novembre, giornata di sole anche in quel vasto quartiere Scampìa, nato con la legge 167 sull’edilizia popolare negli anni ’70, grandiosi viali, grattacieli coricati, maestosi edifici piramidali, immensi spazi liberi sommersi da rifiuti e carcasse, un gran parco pubblico disseminato di siringhe e “arato” dalle corse clandestine di moto e di cavalli, dove si spaccia di tutto e si paga il pizzo sul fitto e sulla proprietà se la casa è riscattata.
E poi, non c’è solo Scampìa: sta fra il carcere di Poggioreale e la cittadella giudiziaria del nuovo Tribunale, la pizzeria dove s’è vista la scena più orrenda che un napoletano (e non solo) possa immaginare: due tranquillissimi killer sono entrati ed hanno sparato sulla testa di un maturo pregiudicato trapiantatosi a Foligno, venuto da poche ore in città per salutare la figlia, la pizza “margherita” appena servita e nella quale è finita la faccia dilaniata dai proiettili. Una mamma con ragazzino che erano seduti al tavolo accanto, hanno avuto tutto il tempo di fuggire bianchi di paura e senza un filo di voce; gli assassini con calma sono usciti dopo, per risalire sulla loro moto e sparire.
E’ accaduto mentre il ministro Pisanu stavolta era proprio a Napoli, in Comune, seduto fra il presidente della Regione Antonio Bassolino e il sindaco Rosa Iervolino che aveva alla sua sinistra il capo della Polizia Gianni Di Gennaro e il vice Luigi De Sena, capo della Criminalpol, al quale Pisanu annunciava di aver affidato il “caso Napoli”.
E la mattanza non s’è fermata neanche mentre il Presidente della Repubblica era a Napoli, e ripeteva la sua fiducia in “napoletani né inerti né rassegnati” capaci di reagire e recuperare l’orgoglio dei tempi del G7, quell’occasione che lui stesso volle dare alla città; poche ore dopo quelle parole, altri due venivano ammazzati nella non lontana Torre Annunziata, con le stesse ritualità della guerra per la droga (killer in moto, auto inseguita e mitagliata).
Sfida allo Stato…? Beffa della delinquenza alle Forze dell’ordine…? Affermazione del potere malavitoso nella città…? Macché: la delinquenza non ne ha bisogno, e infatti nelle sanguinose settimane precedenti sia il Questore Franco Malvano che il Prefetto Renato Profili si erano ben guardati da affermazioni del genere. Ponendo piuttosto l’accento, nelle loro fugaci dichiarazioni, sull’impotenza nei confronti della criminalità giovanile (e spesso addirittura infantile), e sulle defatiganti delusioni professionali di chi riesce ad arrestare in flagrante tre rapinatori i quali – è accaduto a fine ottobre - sono stati processati condannati e scarcerati nel giro di tre giorni.
Del resto Pisanu e Di Gennaro in Comune c’erano venuti non per portare novità sostanziali, ma per un gesto dimostrativo: sottoscrivere l’accordo per la “Cittadella della Polizia”, ovvero il progetto varato alcuni anni fa dal questore Manganelli, bloccato dai tagli alla spesa pubblica che hanno impedito al Ministero di acquistare (ora lo prende in fitto da un ente pubblico) un complesso di immobili e suoli della ex Manifattura Tabacchi nella zona periferica che guarda più da vicino il Vesuvio, dove fra tre anni saranno trasferiti uffici, tecnologie in grado di monitorare la città (e addirittura di prevedere, in base alla statistica, dove avverranno furti scippi rapine e omicidi…), alloggi, impianti addestrativi, ricreativi e sportivi per il personale. Ci vorranno tre anni, se tutto va bene.
Ma oggi? “Non serve militarizzare la città”, parola di ministro, perfino condivisibile, ma da reinterpretare sulla base di un dato enunciato più volte (quasi si volessero confermare talune motivazioni decisamente razziste). Ovvero che a Napoli e provincia c’è un operatore di sicurezza ogni 238 abitanti, ossia 12.960 fra uomini fra Polizia (6.205), Carabinieri (4.068), Guardia di Finanza (2.687). Più i corpi comunali di Vigili Urbani; più la Polizia penitenziaria; più, aggiungiamo noi, le parecchie centinaia di guardie giurate, forse migliaia: un’attività, quella della vigilanza privata, che si incrementa quando paura e disperazione attanagliano le attività commerciali e imprenditoriali.
“Ma dove stanno tutti questi uomini…?” hanno chiesto, e con ironia, più voci, a cominciare da sindaci di Comuni dove alla gente non resta che sperare nella “pax camorristica”, visto che di uomini in divisa ce ne sono così pochi che è meglio stiano al riparo. E poi, quelli addetti al controllo del territorio, unica misura davvero efficace, sono neanche la metà della metà, soprattutto quando questure e commissariati sono stati investiti dalla marea di pratiche per i rinnovi dei permessi di soggiorno agli extracomunitari, raddoppiati dalla legge Bossi-Fini: ma questo il ministro ha fatto finta di non saperlo.
A smentire le cifre bugiarde nella pratica, c’è una realtà desolante: su tutto il territorio le auto della Polizia devono limitare i percorsi di pattugliamento per non finire la benzina e dover spingere a mano il mezzo; una decina di commissariati sono sotto sfratto esecutivo oppure se ne cadono a pezzi; un turno di “Volante” deve aspettare che rientri il precedente, niente cambi d’auto, e ben poche auto “civetta”; rischio continuo per le moto dei “Falchi” e dei “Nibbi” di fermarsi per vecchiaia, e di rimanere incastrate fra auto nei vicoli perché il bauletto posteriore è troppo largo. L’unico che ha parlato di queste cose, dichiarando che il piano di Pisanu “è solo propaganda” è stato Claudio Giardullo, segretario nazionale del Silp-Cgil, citando il taglio del 30% alle spese – già esigue – del ministero imposte dal decreto Tremonti, del tetto del 2% che a queste spese dimezzate apporta un altro taglio. Da tempo a Napoli i quotidiani non solo locali hanno denunciato che negli uffici ormai mancano cose essenziali come la carta, i moduli, le cartucce per fax fotocopie e stampanti; che la benzina arriva con il contagocce ed è questo il motivo per cui tante volte, quando rispondono “mandiamo subito una volante” al cittadino appena scippato o rapinato che ha chiesto aiuto al 113, l’operatore arrossisce, ma al telefono non si vede. Le Forze dell’ordine, dopo l’operazione “Alto impatto” che vide un presidio di 1500 uomini, hanno dovuto lasciare il campo e la malavita non ha perso tempo. La conferma?
Quattordici rapine e 80 furti al giorno, in media, solo nella città. Il conto aumenta se si calcola anche quel che succede nei centri della provincia, dove – per ora – l’assassinio è meno spettacolare che in città, e prevale la “lupara bianca”. Nella zona vesuviana, per esempio, non si trovano ancora quei quattro che, uno dopo l’altro, ricevuta una telefonata a casa, hanno detto “sì, arrivo subito” e non hanno fatto più ritorno né si riesce a capire dove siano sepolti o dove li hanno disciolti nell’acido, punizione che spetta di solito per il mancato pagamento di una partita di droga, di quelle che valgono milioni di euro. Nella periferia cittadina si ammazza teatralmente come è accaduto per zio e nipote quarantenne e trentenne in moto senza casco (e chi mai li ferma…?) per una strada densa di traffico nel quartiere Secondigliano (contiguo a Scampìa), raggiunti da due che in moto hanno il casco (serve, eccome, in certe occasioni…!), quindici i colpi di pistola per abbatterli, in piena mattinata, lungo il muro perimetrale di una caserma dell’Esercito. Un altro del loro clan era stato già assassinato con analogo rituale un mese prima, entrambi erano imputati nel procedimento giudiziario ancora nella fase dell’udienza preliminare; subito si registrano le ritrattazioni dei due che stavano collaborando.
Hanno rischiato la vita quattro giovani carabinieri in borghese, che sbagliando strada dopo una cena in pizzeria finirono in quel di Scampìa, creduti dagli spavaldi “soldati” del clan killer della fazione avversa: auto affiancata da una moto, mitraglietta che sputa fuoco, tre feriti per fortuna non gravi. Una settimana dopo (quando così decide il clan? Quando è assicurato lo stipendio carcerario?) si costituisce un ragazzo di 19 anni, unico sostegno di famiglia con lo spaccio di droga: “sono stato io, li ho creduti killer, abbiamo l’ordine di sparare”. Poco dopo toccherà a un ragazzo del tutto innocente, zoppo e incapace quindi di scappare, di crollare sotto i colpi di killer pasticcioni che lo scambiano per quello che dovevano far fuori e che fino a pochi minuti prima stava giocando al calcio da tavolo con lui. E forse i tre impacchettati nel cellophane durante il summit al Viminale, sono la punizione per l’errore: la faida che sembra inarrestabile e incontrollabile va avanti agli ordini di un capoclan latitante, Paolo di Lauro detto Ciruzzo o’ milionario, al quale qualcuno aveva osato ribellarsi mettendosi in proprio a spacciare droga.
“Tornare all’arresto obbligatorio per estorsione e rapina” ha auspicato un Pm del pool anticamorra, Giovanni Corona, deprecando “un insieme di leggi che ha trasformato il processo in una corsa a ostacoli, con molte garanzie che appaiono superflue”.
Ma ci sono anche altre tormentose illegalità, ormai generalizzate, che impongono di sprecare energie, distolgono le forze, fanno cadere le braccia agli uomini in divisa e gettano nello sconforto e nella rabbia la cittadinanza.
La città viene percorsa anche due o tre volte al giorno da urlanti cortei di sedicenti “disoccupati” diretti al Municipio o alla Prefettura, con rivendicazioni che non hanno alcun senso né possibilità di accoglimento. Si tratta dei cosiddetti “movimenti di lotta” o “disoccupati organizzati” o “liste storiche” che pur sapendo bene di non poterle ottenere, si ostinano a pretendere precedenze illegali e impossibili nei corsi di formazione professionale o nelle altre provvidenze stabilite per contrastare la disoccupazione (quella vera e reale). A guidare cortei e a pianificare selvaggi blocchi stradali a scacchiera in vari punti, irruzioni nei Musei, imbrattamento con letame, occupazioni perfino del Duomo e di chiese, sono addirittura personaggi regolarmente occupati e stipendiati, nonché alcuni eletti in liste della destra.
Come non pensare che tre o quattro cortei al giorno con relativi blocchi della circolazione non facciano parte di un piano preoordinato, e anche ben pagato, al solo scopo di mettere in difficoltà l’amministrazione di centro-sinistra?
Tutti notano – e molti lo segnalano ai giornali – che i cortei sono scortati da squadre motorizzate i cui componenti cavalcano scooter di quelli costosissimi ultimo modello; che molti fra coloro che fecero irruzione in un grande albergo (con fuga dei turisti) calzavano scarpe da 250 euro al paio, idem quelli che ripetutamente invadono sedi di partiti.
Il dilagare impunito delle manifestazioni violente e illegali è stato pessimo esempio perfino per categorie “garantite”: un breve ritardo, preavvertito e giustificato, nel pagamento degli stipendi ha indotto gli autisti di un Bacino portuale a portare fuori camion e a lasciarli di traverso, senza chiavi, su strade urbane di grande scorrimento come la via Marina, mentre i dipendenti di una azienda per la raccolta di rifiuti, per analogo motivo bloccavano altre strade, mentre i soliti cosiddetti disoccupati facevano altrettanto in altri punti della città.
“Ripristinare l’arresto per il blocco stradale” ha chiesto il sostituto procuratore Federico Cafiero de Raho. Nella Procura finalmente liberata dalla ostinata presenza di Agostino Cordova, c’è di nuovo libertà di parola, sotto la guida del Procuratore capo Giandomenico Lepore, che ha sentito il bisogno di invitare la cittadinanza a ribellarsi al crimine.
Ma come, in queste condizioni ambientali? Inutile gli innumerevoli annunci di “linea dura contro i sit-in selvaggi”: in quindici mesi ben mille manifestanti sono stati denunciati per danneggiamenti, adunate, resistenze varie, ma senza che la cosa abbia comportato ravvedimenti o scoraggiamenti. E neanche condanne.
La notizia del rinvio a giudizio nei confronti di 31 poliziotti per i fatti di tre anni fa, quando un corteo di pacifisti, no-global e contestatori vari era stato bloccato e disperso con pestaggi duri in piazza Municipio, quando alcune decine di ragazzi erano stati trattenuti illegamente in una caserma, ha indotto a paragoni inquietanti sulla differenza di trattamento “stradale” nei confronti di quella e di queste manifestazioni.
Mentre le Forze dell’ordine sono costrette a subire impotenti le offese alla città e vengono distolte assurdamente dalla lotta alla criminalità, quest’ultima – sia “micro” che “macro” – non può che approfittarne.
È semplicemente dilagata la consapevolezza che l’impunità è assicurata. Nel marzo ci aveva rimesso la pelle una bella ragazza di 14 anni, Annalisa Durante, uccisa in quel di Forcella da killer che, per assassinare uno dell’ormai tramontato clan malavitoso dei Giuliano, hanno sparato a raffica, senza curarsi dei presenti. Quella morte scatenò la rivolta, la gente di Forcella saccheggiò la casa del malavitoso scampato (che della ragazza s’era fatto scudo, salvandosi), in tanti con il giovane parroco alla testa chiesero e ottennero presidio di polizia, scuola, illuminazione, restauro ambientale. Poi il parroco è stato minacciato, il padre di Annalisa licenziato, ma pare che i buoni propositi resistano.
Nell’ottobre un’altra ragazzina di 14 anni, in un'altra zona della città, è corsa piangendo dal padre “guappo” a dirgli che uno le aveva rubato il motorino nuovo; sono usciti a caccia insieme, lei dal sellino posteriore ha gridato: “eccolo là”, e il padre ha sparato, poi è sceso dallo scooter e ha esploso il colpo di grazia alla testa per essere sicuro; i due se ne sono andati lasciando a terra il cadavere del piccolo malavitoso diciassettenne. In pieno giorno.
Nei seicenteschi Quartieri Spagnoli, due coppie di giovanissimi motociclisti con tanto di passamontagna calato sul viso hanno scorazzato per chissà quanto nella squadrata rete dei vicoli prima di incontrare due della squadra dei “falchi”. Senza esitare hanno sparato e poi sono fuggiti sparando ancora, una ventina di colpi, fra la gente, inseguiti dagli agenti che non potevano a loro volta sparare. E s’è venuto così a sapere che sono tante le squadrette di minorenni che “prendono servizio” mattina e sera, incappucciati o col casco, pistola in tasca, e fanno la ronda per sorvegliare il territorio di un clan che si sta riorganizzando con il ritorno del capo, redivivo dopo una ventina di anni di carcere.
Si addestrano anche al tiro: in vico San Mattia il gigantesco dipinto murale che raffigurava Maradona giovane e bello, è adesso crivellato di colpi di pistola. Sui muri è riapparsa la sigla di una tifoseria che nell’insegna ha la faccia di Mussolini.
Adesso, per le vie della città, fanno paura i ragazzetti, poco più che bambini: si radunano in piccoli branchi, alcuni di loro guidano spavaldi gli scooter ricevuti in regalo da genitori nient’affatto esemplari, e si dedicano allegramente a terrorizzare soprattutto anziani e stranieri, oltre che a devastare arredi urbani, vetrine, panchine. Lo scippo è il loro sport preferito; ma trovano divertente anche lanciare pietre sull’autobus a due piani che fa il giro turistico della città, “fare il cavallo” con lo scooter zigzagando fra la gente sui marciapiedi, rapinare Rolex agli automobilisti (si urta lo specchietto retrovisivo esterno, appena il guidatore sporge il braccio per rimetterlo a posto, si afferra l’orologio e via a tutto gas).
Mestiere facilissimo e redditizio a Napoli, quello di rapinare automobilisti: avendo l’amministrazione comunale rinunciato a qualsiasi misura per ridurre l’afflusso di veicoli in città, la paralisi – con l’aiuto delle manifestazioni di cui dicevamo prima - è cosa di ogni giorno e di ogni ora. Nonostante i giornali siano zeppi di lettere di protesta, nonostante i sondaggi dicano che la gente non vuole più usare l’auto privata e invoca l’estendersi di zone pedonali. Nella paralisi circolatoria diventa impossibile qualsiasi intervento delle Forze dell’ordine, e si fa strada la percezione dell’impunità nei delinquenti giovani e adulti. Non può essere casuale che alcune bande di ragazzini siano riuscite a devastare un intero settore dello stadio San Paolo, a invadere il campo, fracassare tabelloni, lanciare bottiglie e altro, interrompendo la “partita del cuore”, (iniziativa benefica di un’organizzazione che fa capo alla consorte di Mario Cuomo, ex governatore dello Stato di New York) fra calciatori e cantanti: con circa quarantamila bambini delle scuole elementari sugli spalti, s’è rischiata la tragedia. I titoli dei giornali parlavano di guerriglia, di maestre allibite, di scolaresche terrorizzate, di cantanti e calciatori in fuga, e poi di traffico paralizzato, treni metropolitani bloccati dai freni d’emergenza.
In quello stesso giorno di fine ottobre, sul maggior quotidiano cittadino c’era anche l’annuncio di un “manifesto” sottoscritto da docenti, magistrati, attori, artisti dei più diversi settori, contenente un “appello per la città”, proposto dal filosofo Aldo Masullo, con al primo posto la richiesta di proporre rimedi e misure per il ripristino della legalità e della vivibilità, contro l’inquinamento camorristico. Nel giro di poche settimane le adesioni sono diventate decine di migliaia.
Il prefetto
Microcriminalità senza eguali
“C’è una microcriminalità che non ha eguali in Italia, qui a Napoli. Un problema serio, una questione assai insidiosa. Il fenomeno è fra i più rischiosi e costituisce il maggior pericolo per turisti e napoletani: il centro storico che potrebbe essere un museo a cielo aperto, non decolla perché è una delle zone più minacciate e colpite.
Alla camorra e alla grande delinquenza le Forze dell’ordine riescono ad assestare colpi significativi, ad arrestare criminali e a sequestrare ricchezze provenienti dal crimine; ma con la delinquenza micro e minorile… purtroppo il problema è paradossalmente più difficile. Eppure da parecchi mesi è stato potenziato il controllo sulle strade, ogni giorno e notte sono in giro ben 140 pattuglie divise in cinque turni. Ma continuano le aggressioni e gli episodi che allarmano i cittadini.
Per quanto riguarda il racket che soffoca le attività commerciali e imprenditoriali, stiamo da tempo mantenendo un rapporto e un confronto continuo con tutte le realtà sul territorio; con il Comune di Napoli, per esempio, abbiamo stabilito un protocollo per istituire Comitati per la sicurezza in tutte le circoscrizioni. I rapporti con gli enti locali, in special modo con il capoluogo, sono positivi e collaborativi.
Altro problema scottante è quello dei rifiuti: l’ostilità all’insediamento di strutture come i termovalorizzatori che si registra nelle zone interne, va superata nel pieno rispetto delle esigenze delle comunità locali. Allo stesso tempo però si deve andare avanti, e trovare un punto di mediazione. La provincia di Napoli con tre milioni di abitanti non ha un impianto di smaltimento, bisogna fare presto, procedere con il cantiere: ci vogliono due anni per costruire e mettere in funzione un termovalorizzatore, sono certo che un’intesa con quanti protestano si troverà, il fatto è che stiamo pagando oggi quel che non è stato fatto negli anni scorsi fino al Duemila.
Non credo che contro la criminalità giovanile siano praticabili divieti come quello ipotizzato dal sindaco di Sant’Antonio Abate (Comune della provincia, confinante con Castellammare di Stabia ndr) che vorrebbe proibire ai minorenni di uscire dopo le 22 se non accompagnati dai genitori: meglio incidere di più con i controlli sul possesso di armi improprie, quelle che purtroppo molti ragazzi portano in tasca. L’altro problema di Napoli, davvero grave, sono le manifestazioni continue di senza lavoro o altrimenti motivate che si traducono costantemente in blocchi della circolazione e pesantissimi disagi e danni per i cittadini. Ho affermato che di fronte a palesi violazioni della legalità occorre una presenza meno statica della Polizia in piazza. Insomma, se partono più informative per l’Autorità giudiziaria e si perseguono i tanti reati che vengono commessi in queste occasioni, si mette in atto un’azione deterrente”.
Il questore
Liberi dopo 24 ore!
“Il 70% dei fermati, soprattutto i protagonisti della cosiddetta microdelinquenza, vengono scarcerati nel giro di 24 ore. Inammissibile. Ritengo che il quadro legislativo vada profondamente cambiato, si deve tenere conto che chi ha subìto un furto o una rapina poi riceve ancora un nuovo fortissimo trauma se il giorno dopo vede circolare tranquillamente, in libertà, colui o coloro che lo hanno colpito.
È così che si crea un clima di sfiducia nel nostro lavoro. Invece purtroppo continua ad accadere, come nel caso ampiamente riportato dalla stampa, di quei rapinatori che i nostri “falchi” hanno arrestato in flagranza recuperando pure il bottino: processati, condannati a tre anni e quattro mesi, scarcerati con la concessione degli arresti domiciliari. Proprio quando cominciano a vedersi i frutti della collaborazione di cittadini e commercianti, arrivano queste delusioni: capisco la possibilità che la legge concede per il recupero dei delinquenti, ma Napoli è una città con tanta violenza…!
È vero, la cosiddetta microcriminalità qui da noi è qualcosa di pauroso, i criminali adulti si servono dei ragazzini per compiere reati, gli episodi di violenza non si contano, ma non penso che si possa riportare tutto a una mera questione di prevenzione e repressione, altrimenti si sconfina nella richiesta di uno Stato di Polizia. Non mi sembra affatto risolutivo blindare un abitato e controllare per fasce orarie i ragazzi… quando sono andato nelle scuole, come all’Istituto Commerciale Diaz dove è stata aggredita un’insegnante, mi è sembrato proprio che il mio parlare di coraggio nel ribellarsi alla violenza e al branco, sia stato capito e condiviso. Ho parlato da padre di una ragazza della loro età.
A quanti lamentano la paralisi della città a causa delle continue manifestazioni di protesta, con non poca amarezza noi dalla Questura rispondiamo con le cifre: dopo ogni episodio di violenza urbana partono per l’Autorità giudiziaria decine e decine di denuncie, corredate da foto, riprese cinematografiche e altre prove inequivocabili. Sono oltre Mille le persone denunciate negli ultimi 15 mesi.
Nel servizio di ordine pubblico noi applichiamo le precise direttive impartite dal ministro Pisanu e dal capo della Polizia De Gennaro: dialogare con i manifestanti ed evitare scontri che potrebbero danneggiare estranei. Ed è il caso di ricordare che il blocco stradale, reato classico di chi getta nel caos la città, è stato depenalizzato, viene sanzionato solo con una multa. Il Prefetto su nostra segnalazione a carico dei responsabili, di multe anche salatissime ne ha mandate molte, ma non serve a nulla, come si vede”.
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