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ottobre/novenbre/2004 - SOLO ON LINE SU POLIZIA E DEMOCRAZIA
Roma
Le acque della Capitale
di Carlo Rodorigo

Il Tevere è il grande e storico fiume del Lazio che ha le sue origini nella catena degli Appennini, in Toscana, dal monte Fumaiolo. Per giungere a Roma attraversa la vallata cui dà il nome, entra in Umbria, percorre il territorio di Perugia, bagna parte di quello di Spoleto, ha funzione di confine tra il territorio di Viterbo e Rieti fino a raggiungere la provincia di Roma; attraversa la città e percorrendo 24 km a sud-ovest si getta nel Tirreno in due rami: Fiumicino, con 14 km navigabili e Fiumara con 6 km. Ha numerosi affluenti, il Topino, il Nera, l’Aniene, il Chiana tra i più noti.
Questo famoso fiume viene rappresentato con sembianze di un vecchio coronato di fiori e frutti, semisdraiato, con cornucopia in mano ed appoggiato ad una lupa che allatta Romolo e Remo. E’ armato di un remo, simbolo della navigazione e in alcuni gruppi marmorei, cinto d’alloro a dimostrazione dei trionfi di Roma.
Nella zona alta scorre tra zone montagnose per poi arrivare ad una caduta considerevole arricchendosi di acque affluenti fino a raggiungere Roma.
Quasi ogni anno in autunno o d’inverno si registrano piene che ne fanno straripare le acque allagando le parti basse della città. Una piena ancora ricordata nella storia di Roma si verificò nel 1870 quando il Tevere si elevò fino a 11,42 metri sul livello ordinario.
La foce del Tevere in 2.500 anni è avanzata di 4.100 metri, come viene testimoniato dalle rovine dell’antica Ostia, fondata da Anco Marzio nell’anno 633 a. C.
Il fiume in Roma è scavalcato da numerosi ponti, i più antichi sono Fabricio e Cestio in corrispondenza dell’isola Tiberina, dove il fiume si divide in due bracci; ponte S. Angelo di fronte a Castel Sant’Angelo. Altri ponti più recenti sono stati costruiti, tra i quali i ponti Garibaldi, Palatino, Duca d’Aosta, Umberto, Cavour.
Questo nostro “biondo Tevere” è un simbolo di Roma antica e moderna. Una città circondata dagli antichi acquedotti, che ancora ammiriamo nella campagna romana, che si susseguono in romantici archi a testimonianza della nostra secolare civiltà.
Ma parlando di Roma come città di acque, dobbiamo dire anche città di fontane. Fontane monumentali e fontane ad uso comune. Queste ultime umili nella loro architettura, ma ricche di storia.
Esistono ancora gli abbeveratoi dove i pastori del tempo passato portavano a bere le loro mandrie. Se ne può ammirare uno, ben conservato, che ha resistito al passare del tempo, sul Lungotevere nelle vicinanze del “Tempio di Vesta” sotto all’Aventino.
Altri possiamo vederli nei pressi della via Aurelia, o nel parco di Villa Pamphili.
Sparse per la città ci sono ancora delle sopravvissute fontanelle in ghisa chiamate amorevolmente dia romani “nasoni” per la forma caratteristica del cannello da cui sgorga l’acqua.
Tante sono le fontane di Roma che sfuggono ad un conteggio preciso. Ce n’è una nota ma mai costruita che da Monte Mario avrebbe dovuto raggiungere piazzale Clodio con la sua cascata di acqua.
Un interesse a parte, invece, è suscitato dalle fontane nascoste, difficili da vedere, e che possiamo scorgere di lontano perché sorgono nei cortili degli antichi palazzi.
Le tante fontane monumentali si impongono da sole per la loro mole, la loro bellezza, la loro visibilità che ci vengono incontro nelle nostre passeggiate sempre più difficili per il caos cittadino. Prima fra tutte la fontana di Trevi dell’architetto italiano Nicolò Salvi, quella del Tritone, la Barcaccia di piazza di Spagna, la fontana dei Fiumi a piazza Navona, quella della Navicella e quella dei Dioscuri davanti al palazzo del Quirinale.
C’è in piazza San Bernardo una strana fontana ma ricca di storia. Venne costruita in occasione del ritorno a Roma dell’acqua Alessandrina, battezzata poi acque felice in onore del papa Sisto V (al secolo Felice Peretti). A guardarla non si nota niente di trascendentale: un Mosè alquanto tozzo, imitazione di leoni egiziani e statue non eccellenti. Tuttavia l’avvenimento che rappresenta fa passare in secondo piano l’avvenenza dell’opera.
Un musicista, Ottorino Respighi docente di composizione al Conservatorio di Santa Cecilia di Roma, nel 1916 scrisse anche un poema sinfonico dedicato a “Le fontane di Roma” che la critica annoverò tra le cose migliori composte in Italia nel secolo appena trascorso.

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