Vi è, a Trieste, un autiere ancora moralmente in servizio, Renato Cocchi, classe 1918, che ha servito il Paese in ben quattro campagne di guerra, dal 1939 in poi: fronte francese, fronte jugoslavo, fronte russo ed infine, fronte partigiano nelle formazioni garibaldine di Toscana.
Ha meritato alcune decorazioni, due promozioni, una coscienza tranquilla e, dal fronte russo, una malattia ai bronchi che tuttora, durante la stagione fredda, rovina le sue giornate.
In Russia, al freddo eccezionale, i camion si bloccavano, ed allora, per riattivarli, era necessario togliersi la pelliccia di dosso e, con la sola camicia, infilarsi tra le ruote, nella neve, per ripararli. Fu così che si ammalò e fu ricoverato per parecchie settimane all’ospedale da campo di Stalino, sputando sangue mentre tossiva.
Rimessosi, riuscì a sfuggire alla sacca sovietica ed a rientrare, ma, quando fece domanda di pensione, per quella malattia, si sentì chiedere: “dov’è la documentazione di quel ricovero?” “Ma c’è stata la rotta del fronte russo - rispose - l’ospedale fu travolto ma molti possono testimoniare dei colleghi sopravvissuti!”
Non ci fu nulla da fare: se non si trova il certificato di ricovero a Stalino, quella malattia, per la burocrazia militare italiana, non esisteva.
Nel 1992, dopo 24 anni di istruttoria, la Corte dei Conti, per questi motivi, respingeva la domanda di pensione e a vuoto andavano anche gli altri tentativi esperiti.
Si potrebbe dire: ma è colpa degli ammalati se le Forze armate italiane non furono in grado di salvare nemmeno le carte di quell’ospedale?
Non servirebbe però a niente, manca il documento e perciò la realtà, per la burocrazia, non è mai esistita. Che la malattia ci sia, non ha alcuna importanza.
Ad occuparsi di queste cose viene, in effetti, una gran malinconia, per non dire di peggio.
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