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ottobre/novenbre/2004 - Articoli e Inchieste
Carceri
Norme nuove per le lettere dei detenuti
di Pier Paolo Zaccaria - Avvocato di Brindisi

Recenti provvedimenti di legge stabiliscono regole rigidissime sulla possibilità di sottoporre a “visto di controllo” la corrispondenza dei ristretti. Il controllo, comunque sia, non può essere effettuato per acluni tipi di comunicazione epistolare


È indubbio che la detenzione rappresenta un evento fortemente traumatico per i soggetti che ne vengono coinvolti. Al detenuto non è dato decidere con chi coltivare rapporti e gli affetti rimangono drammaticamente fuori da ogni possibilità di scelta. La solitudine, la lontananza e l’impossibilità di avere continui e regolari contatti con i propri cari sono elementi che possono minare l’integrità psico-fisica del detenuto e che possono vanificare il suo progetto di vita. La perdita di identità può, poi, diventare definitiva se condizionata dall’influenza della subcultura carceraria.
Alla luce di queste considerazioni, l’Ordinamento penitenziario è particolarmente attento nel tentare di conciliare l’esigenza punitiva dello Stato per i reati compiuti, con le garanzie dei diritti fondamentali costituzionali, prima fra tutte quella relativa alla tutela dei rapporti familiari, considerati finanche dalle regole penitenziarie europee come essenziali per “mantenere e rafforzare i legami dei detenuti con i membri della loro famiglia e con la comunità esterna, al fine di proteggere gli interessi dei detenuti e delle loro famiglie” (art. 65, lett. c).
Accanto ai colloqui, anche la corrispondenza riveste grande importanza nel mantenimento dei rapporti familiari, in quanto entrambe rappresentano strumenti tramite i quali il detenuto mantiene, in qualche modo, i contatti con il mondo esterno.
Come i colloqui, anche la corrispondenza epistolare, ammessa senza limiti quantitativi e qualitativi (sia per la posta in arrivo che per quella in partenza), “con i congiunti e con altre persone”, risulta disciplinata dall’art. 18 dell’Ordinamento penitenziario. Si tratta di una forma di comunicazione vista con favore dall’Amministrazione penitenziaria che “pone a disposizione dei detenuti e degli internati, che ne sono sprovvisti, gli oggetti di cancelleria necessari per la corrispondenza” (art. 18, comma 4).
A tal fine è previsto che, settimanalmente, l’Amministrazione penitenziaria fornisca gratuitamente ai detenuti ed internati, che non possono provvedervi a loro spese, l’occorrente per scrivere una lettera e l’affrancatura ordinaria (art. 38, comma 2, Regolamento ordinamento penitenziario). A tutti gli altri, inoltre, deve essere assicurata la possibilità di acquistare gli oggetti di cancelleria presso lo spaccio dell’istituto (art. 38, comma 3, Reg.).
La disciplina della corrispondenza dei detenuti è stata profondamente modificata dalla legge n. 95 dell’8/4/2004. Questa legge ha, infatti, aggiunto il comma 18-ter alla legge 354/75 Ordinamento penitenziario, ha sostituito il comma 2 dell’articolo 14-quater della stessa legge ed ha abrogato i comma 7 e 9 dell’art. 18 della citata legge.
L’articolo 1 della legge 95/2004, introducendo l’articolo 18-ter nell’Ordinamento penitenziario, offre notevoli spunti di riflessione.
In primo luogo la legge è intervenuta per colmare una sorta di vuoto legislativo, prevedendo i casi che giustificano una restrizione della libertà di corrispondenza dei detenuti e internati e fissando dei precisi limiti temporali in mancanza di una regolamentazione specifica nella precedente disciplina dell’Ordinamento penitenziario.
In particolare, il primo comma dell’art. 18-ter dispone ora che “per esigenze attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine dell’istituto, possono essere disposti, nei confronti dei singoli detenuti o internati, per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile per periodi non superiori a tre mesi:
a) limitazioni nella corrispondenza epistolare e telegrafica e nella ricezione della stampa;
b) la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo;
c) il controllo del contenuto delle buste che racchiudono la corrispondenza, senza lettura della medesima”.
Il legislatore, nella nuova disciplina ha, quindi, inteso dare piena attuazione al principio costituzionale sancito (art. 15) dalla Costituzione, secondo il quale “la libertà e la segretezza della corrispondenza sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’Autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”.
Infatti, il terzo comma dell’articolo introdotto dispone chiaramente che i provvedimenti adottati in base al primo comma, assumano la forma del decreto motivato e siano adottati “su richiesta del pubblico ministero o su proposta del direttore dell’istituto:
a) nei confronti dei condannati e degli internati, nonché nei confronti degli imputati dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, dal magistrato di sorveglianza;
b) nei contronti degli imputati, fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dal giudice indicato nell’articolo 279 del Codice di procedura penale; se procede un giudice collegiale, il provvedimento è adottato dal presidente del Tribunale o della Corte d’Assise”.
Inoltre, l’Autorità amministrativa deve operare un controllo ispettivo della corrispondenza, analogo a quello previsto sulle persone che accedono all’istituto per i colloqui o sui pacchi provenienti dall’esterno in busta chiusa, sia all’arrivo che in partenza, dovendo il controllo avere come unico fine quello di rilevare l’eventuale presenza di valori o altri oggetti non consentiti.
A tal fine, il quarto comma dell’art. 18-ter, che riproduce sostanzialmente la disposizione dell’art. 18, comma 9, abrogato espressamente dal secondo comma dell’art. 2 della legge 95/2004, prevede che la competente Autorità giudiziaria, (indicata nel terzo comma dell’art. 18-ter) “nel disporre la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo, se non ritiene di provvedere direttamente, può delegare il controllo della corrispondenza al direttore o ad un appartenente all’Amministrazione penitenziaria designato dallo stesso”.
Solo quando la competente Autorità giudiziaria “ritenga che la corrispondenza o la stampa non debba essere consegnata o inoltrata al destinatario, dispone che la stessia sia trattenuta”, ma che il detenuto e l’internato “vengano immediatamente informati”, come pure che l’apertura delle buste, per il controllo del suo contenuto, avvenga alla presenza del detenuto o dell’internato.
La novità più importante introdotta dalla legge 95/2004 è la previsione della possibilità di esperire l’impugnazione contro i provvedimenti di cui al primo comma.
Nella disciplina precedente non era assolutamente ammesso alcun mezzo di impugnazione nei confronti dei provvedimenti con i quali il magistrato di sorveglianza disponeva la sottoposizione al visto di controllo della corrispondenza dei singoli detenuti o internati, avendo la giurisprudenza di legittimità chiarito la natura amministrativa del provvedimento (Cass. I, sent. 796 del 11/3/94).
Tale impostazione era estesa anche ai provvedimenti riguardanti i colloqui, anch’essi inoppugnabili.
La Corte di Cassazione specificava, inoltre, che il provvedimento che disponeva il visto di controllo della corrispondenza non era annoverabile fra quelli sulla libertà personale e, pertanto, non poteva essere considerato impugnabile, in ossequio al principio di tassatività enunciato nell’art. 568 comma primo del C.p.p. (Cass. I; sent. 6102 del 24/3/95) né con ricorso per la Cassazione né dinanzi al Tribunale di sorveglianza, secondo la normativa introdotta dalla cosiddetta legge Gozzini (Cass. I, sent. 2182 del 3/7/87).
Questa soluzione, che era stata accolta unanimemente dalla dottrina e confermata dalla giurisprudenza, presentava chiare discrepanze con i principi sanciti nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed in primo luogo con l’art. 8 della stessa, secondo il quale “ogni persona i cui diritti e libertà riconosciuti nella presente Convenzione risultino violati, ha diritto di presentare ricorso avanti ad una magistratura nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio di funzioni ufficiali”.
La Corte europea di Giustizia aveva già condannato, in passato, il nostro Paese proprio in ragione della mancata previsione (nella legge 354/75 sull’Ordinamento penitenziario) di un ricorso effettivo avverso le decisioni dell’Autorità competente in materia di controllo della corrispondenza (v. sent. 21/10/1996).
La legge n. 95 del 2004 ha, quindi, definitivamente eliminato il difetto di impugnabilità in materia di visto di controllo sulla corrispondenza dei detenuti, stabilendo nel “nuovo” art. 18-ter, comma 6, che “contro i provvedimenti previsti dal comma 1 e dal comma 5 può essere proposto reclamo, secondo la procedura prevista dall’articolo 14-ter (in tema di sorveglianza particolare), al Tribunale di sorveglianza, se il provvedimento è emesso dal magistrato di sorveglianza, ovvero, negli altri casi, al Tribunale nel cui circondario ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento. Del Collegio non può far parte il giudice che ha emesso il provvedimento”.
Inotre, la stessa norma stabilisce che per quanto non diversamente disposto si rinvia alle disposizioni sul procedimento di esecuzione ex art. 666 C.p.p.
Resta da aggiungere che, con le decisioni del 15/9/1996 e del 29/10/1998, la Corte europea ha considerato violazione dell’art. 25 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo qualsiasi controllo o censura sulla corrispondenza dei detenuti “indirizzata al Segretario generale, alla Commissione e alla Corte dei diritti umani”.
Dal canto suo la Direzione generale Affari penali e il Dipartimento Amministrazione penitenziaria, rispettivamente con circolare 26/4/1999 n. 131-68-404/99 e con “Lettera circolare” del 31/3/1999, n. 549447, hanno cercato di adeguarsi a tali indicazioni, sottolineando come i provvedimenti che autorizzano il visto di controllo, oltre a dover essere adeguatamente motivati, devono escludere espressamente la “corrispondenza inviata o indirizzata al Consiglio d’Europa, al Segretario generale, alla Commissione dei diritti umani, alla Corte dei diritti umani sedenti in Strasburgo”.
Il “Regolamento recante norme sull”ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà” approvato con D.p.r. 30 giugno 2000, n. 230 ha recepito tale indicazione nell’art. 38, comma 11, in base al quale “non può essere sottoposta a visto di controllo la corrispondenza epistolare dei detenuti e degli internati indirizzata ad organismi amministrativi o giudiziari, preposti alla tutela dei diritti dell’uomo, di cui l’Italia fa parte”.
La legge n. 95 non solo ha espressamente inserito nell’art. 18-ter, comma 2, tale principio, ma ne ha ampliato notevolmente la portata poiché le limitazioni previste dal comma 1 dell’articolo 18-ter, compresa la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo, non si applicano qualora la corrispondenza epistolare o telegrafica sia indirizzata a:
a) soggetti indicati nel comma 5 dell’articolo 103 del Codice di procedura penale (ossia ai difensori, agli investigatori privati autorizzati, ai consulenti tecnici e ai loro ausiliari);
b) all’Autorità giudiziaria;
c) alle autorità indicate nell’articolo 35 della legge 354/75 (al direttore dell’istituto, agli ispettori, al direttore generale per gli istituti di prevenzione e di pena e al ministro della Giustizia, al magistrato di sorveglianza, alle Autorità giudiziarie e sanitarie in visita all’istituto, al presidente della Giunta regionale, al Capo dello Stato);
d) ai membri del Parlamento, alle rappresentanze diplomatiche o consolari dello Stato di cui gli interessati sono cittadini;
e) agli organismi internazionali amministrativi o giudiziari preposti alla tutela dei diritti dell’uomo di cui l’Italia fa parte.

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