La storia delle acciaierie e dei primi insediamenti industriali del ’700. Passando per il film di Roberto Benigni
Quando circa sedici anni fa mi sono trasferita a Bologna, avevo una autovettura targata ovviamente Tr, Terni, la città in cui sono nata e in cui all’epoca avevo la residenza anagrafica. I colleghi mi chiedevano se Tr fosse la targa di Trento o Trapani, quando poi scherzosamente stizzita rispondevo che Tr era la targa di Terni, sentendo l’accento tipicamente “centrale” mi chiedevano se Terni fosse in provincia di Roma (!)... nulla di scandaloso, Terni è in effetti vissuta per molti anni nell’ovattata e silenziosa realtà provinciale, lenta e monotona come una vecchia cantilena, tanto rassicurante al suo interno, quanto sconosciuta all’esterno.
Eppure a guardare anche in maniera neanche troppo approfondita la sua storia, tutto si potrebbe dire di questa piccola città, ma non che il suo percorso non abbia una valenza e uno spessore di interesse nazionale.
Nel tratto di strada che dal centro di Terni conduce lungo la valle del Nera e nelle immediate vicinanze infatti, hanno visto la luce alcune delle esperienze produttive più importanti realizzate nel settore siderurgico, chimico ed elettrico. La Ferriera, una delle prime esperienze industriali della città, fu costruita dal cardinale Carandini nel 1794 per lavorare il ferro estratto dalle miniere di Monteleone di Spoleto e successivamente trasformata in un impianto semindustriale per la produzione dell’ammoniaca sintetica; nel 1890 nasceva la Bosco: fondata per fornire attrezzature all’agricoltura, si orientò successivamente verso le costruzioni meccaniche ed i lavori di caldareria per l’industria saccarifera, elettrochimica ed idroelettrica; nei primi anni Venti il poligrafico Alterocca produceva il 30% di tutte le cartoline prodotte in Italia, nel 1886 nasceva lo jutificio Centurini: 500 dipendenti e con un destino, in passato, tristemente legato agli eventi bellici che ne hanno fatto, purtroppo, uno degli insediamenti più bombardati , modulandone al contempo la capacità occupazionale: nel 1918 contava circa 7.000 dipendenti, nel 1941 circa 6.800. Bombardata e successivamente smantellata dai tedeschi, ha ripreso la sua attività nel dopoguerra.
Ma la numero “uno”, quella cui più di ogni altra industria la città ha legato il suo destino è naturalmente l’Acciaieria: operativa dal 1886 dopo due anni di costruzione, è in qualche modo il vero simbolo della realtà lavorativa della città anche per essere sempre stata una “spugna” destinata ad assorbire ma anche a pagare in termini di occupazione e di produttività i grandi mutamenti politici ed economici del Paese. Lunga e complessa è naturalmente la sua storia ma è doveroso ricordare la recente e durissima lotta contro la multinazionale Thyssen Krupp Electrical Steel, capace di produrre, al momento della sua costituzione, (1/4/2002) 600.000 tonnellate l’anno di acciaio magnetico a “grano non orientato” e 250.000 a “grano orientato” e cui venne conferito anche il reparto Pma delle acciaierie ternane, che produce appunto, acciaio magnetico.
Quando il comitato esecutivo della Thyssen Krupp E. S. nel gennaio scorso annunciava la chiusura dello stabilimento, a fronte del rischio per circa 900 lavoratori di perdere il lavoro, è stata unanime la risposta del sindaco Paolo Raffaelli, del presidente della Provincia Andrea Cavicchioli e del presidente della Regione Rita Lorenzetti: l’oggettiva situazione degli stabilimenti ternani e del mercato dell’acciaio, consentivano di respingere con ogni mezzo soluzioni penalizzanti per la città.
Chi come me ha partecipato all’imponente manifestazione del 6 febbraio (30.000 partecipanti) contro la progettata chiusura dello stabilimento ternano, ha oggi la netta sensazione, dopo i positivi risultati conseguiti anche grazie all’intervento dell’Ue, che la straordinaria ed eccezionale capacità di mobilitazione di Terni ha mostrato al Paese il dignitoso orgoglio e la ferma determinazione di una città che vuole essere anche europea e che sa lottare in difesa del posto di lavoro senza mai un cedimento (30 giorni di sciopero e blocchi davanti ai cancelli dell’Acciaieria) e ha saputo allargare di giorno in giorno la cerchia di solidarietà intorno ai lavoratori, ha saputo coinvolgere nella lotta tutte le Istituzioni locali e nazionali e l’intera classe politica. La logica finanziaria del mercato globalizzato non è riuscita a “lobotomizzare” la mia città.
Ma decisamente Terni non è più la città industriale capace di offrire ai giovani solo la fabbrica e il desiderio di fuggire, alla ricerca di una diversa qualità della vita e di formazione professionale.
Ho percepito, in questi anni di pur brevi ma frequeni visite nella mia città, l’evoluzione di una comunità che pur vivendo in una realtà prevalentemente industriale, sta cercando di integrare la sua identità attraverso percorsi di cittadinanza che offrano opportunità formative, spazi di aggregazione ed una straordinaria capacità di recupero della memoria storica della città, non solo attraverso la valorizzazione del patrimonio archeologico e del centro storico: le macerie lasciate dai bombardamenti americani e dalle distruzioni dei tedeschi in ritirata, che i bambini della mia generazione guardavano senza capire cosa poteva essere stato l’orrore di 108 incursioni e 3.000 vittime civili. Ma il recupero del patrimonio storico è passato anche dalla riutilizzazione di quello che oltre che un patrimonio è anche la testimonianza del lavoro e della storia di questa città: dove una volta sorgeva lo stabilimento di Papigno, a pochi chilometri dalla Cascata delle Marmore, e dove sino al 1973 si produceva carburo e calciocianamide e il grigio delle case affumicate a ridosso dell’enorme complesso industriale rendeva spettrale il paesaggio, oggi sorge una piccola “cine-città” gestita dalla Cmm S.p.a. a partecipazione pubblica per il 51% (Comune e Regione), lì sono state girate le scene più commoventi del film di Roberto Benigni che ha meritato l’oscar: “La vita è bella”, mentre negli ex edifici Bosco è sorto un Centro Multimediale munito di aule ed attrezzature per la formazione e che funge anche da “incubatore” di imprese video-informatiche, che usufruiscono al suo interno di servizi centralizzati e dove Rambaldi, il creatore dell’indimenticabile E. T., ha tenuto un corso triennale di formazione in materia di effetti cinematografici speciali.
Sei facoltà universitarie ed una città universitaria suddivisa in sette sotto-poli, danno senz’altro il senso di un cambiamento ancora in corso, impossibile definire oggi l’identità di questa piccola provincia se non come una comunità in evoluzione, ma la pressa di 4.500 tonn. che troneggia davanti alla stazione ferroviaria, sta lì a ricordare il lavoro di tante generazioni, a ricordare la storia di una città cresciuta nell’ultimo secolo tra fabbriche e lotte operaie, che a fine ’800 raddoppiò in otto anni la sua popolazione grazie all’immigrazione dal Veneto, dalla Ligura e dalle Marche: uomini e donne che venivano in questa città che allora offriva lavoro ma anche sottoscala che venivano affittati a chi non trovava o non poteva permettersi di meglio, erano in fondo gli “extracomunitari” di allora
A leggere oggi le testimonianze dell’epoca, viene la sensazione che la storia contenga una tragica ripetitività destinata a colpire solo i più deboli.
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