L’apparenza di unanimità ritrovata nella riunione del Consiglio europeo del giugno scorso non riesce a nascondere un disaccordo di fondo sia sulle strutture interne della Comunità, sia sulle scelte di politica estera
Per alcuni è un documento quasi perfetto, una Magna Charta che apre nuovi orizzonti all’Europa unita. Per altri, un mediocre compromesso, varato in extremis per non rendere troppo evidenti dei profondi disaccordi. Se la verità stesse nel mezzo, sarebbe lecito dire che la Costituzione dell’Unione Europea, elaborata dal febbraio 2002 al luglio 2003 dalla Convenzione presieduta dall’ex presidente francese Giscard d’Estaing, e approvata nel giugno scorso a Bruxelles, rappresenta una solida base a condizione che alle buone intenzioni codificate nel documento corrispondano, da parte di tutti, degli atti concreti. Il che non è assolutamente scontato. E non si tratta di essere euroscettici, al contrario. Proprio chi è maggiormente legato a una visione autenticamente federativa dell’Unione, ha motivo di sospettare che qualcuno operi per versare acqua nel vino europeo. Acqua dell’Atlantico del nord, si potrebbe aggiungere con scoperta malizia.
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“Consapevoli che l’Europa è un continente portatore di civiltà, che i suoi abitanti, giunti in ondate successive, e fin dagli albori dell’umanità, vi hanno progressivamente sviluppato i valori che sono alla base dell’umanesimo. Uguaglianza degli esseri umani, libertà, rispetto della ragione, ispirandosi alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa, i cui valori, sempre presenti nel suo patrimonio , hanno ancorato nella vita della società il ruolo centrale della persona, dei suoi diritti inviolabili e inalienabili e il rispetto del diritto; convinti che l’Europa, ormai riunificata, intende proseguire questo percorso di civiltà, di progresso e di prosperità per il bene di tutti i suoi abitanti, compresi i più deboli e bisognosi; persuasi che i popoli dell’Europa, pur restando fieri della loro identità e della loro storia nazionale, sono decisi a superare le antiche divisioni e, uniti in modo sempre più stretto, a forgiare il loro comune destino; certi che, ‘unita nella diversità’, l’Europa offre loro le migliori possibilità di proseguire, nel rispetto dei diritti di ciascuno e nella consapevolezza delle loro responsabilità nei confronti delle generazioni future della Terra, la grande avventura che fa di essa uno spazio privilegiato della speranza umana”: così recita il preambolo della Costituzione europea, unendo insieme un riassunto (sommariamente edulcorato) delle vicende del vecchio continente nel corso dei secoli, e quei principi che dovrebbero essere oggi comuni a tutti i cittadini dell’Unione. Manca – ed è una mancanza che ha fatto discutere a lungo – il riferimento alle “radici cristiane” auspicato dalla Chiesa cattolica, e difeso da alcune nazioni, tra le quali l’Italia. È giusto? Non è giusto? Difficile dare una risposta univoca e sicura, anche da un punto di vista puramente storico. Forse, in tempi che vedono agitare impropriamente gli spettri inquietanti dei conflitti di religione, è stato saggio attenersi al detto evangelico di “dare a Cesare…”, con quel che segue, e tenere questa o quella specifica fede religiosa al di fuori del contesto politico.
Comunque la Costituzione è nata, e con il primo articolo essa “istituisce l’Unione Europea, alla quale gli Stati membri conferiscono competenze per conseguire obiettivi comuni”. Proseguendo, “l’Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori, e il benessere dei suoi popoli… offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, senza frontiere interne… e un mercato unico nel quale la concorrenza è libera e non distorta… si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata, un’economia sociale di mercato fortemente competitiva che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente”.
Sul piano interno, “l’Unione rispetta l’identità nazionale degli Stati membri legata alla loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie regionali e locali”. Pur stabilendo un principio unico di cittadinanza: “È cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro … I cittadini dell’Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti dalla Costituzione. Tali diritti comprendono: il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri; il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo e alle elezioni comunali dello Stato membro in cui risiedono, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato; il diritto di presentare petizioni al Parlamento europeo, di ricorrere al mediatore europeo, di rivolgersi alle istituzioni e agli organi consultivi dell’Unione in una delle lingue della Costituzione, e di ricevere una risposta nella stessa lingua”.
Passando ai poteri effettivi dell’Unione, la Costituzione le attribuisce delle competenze esclusive che hanno prevalenza sul diritto degli Stati membri. Queste competenze sono: la politica monetaria per gli Stati membri che hanno adottato l’euro; la politica commerciale comune; l’unione doganale; la conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca. Un punto importante, e per vari motivi particolarmente delicato, riguarda la politica estera, per la quale l’Unione Europea si è dotata di una sorta di superministro: “La competenza dell’Unione in materia di politica estera e di sicurezza comune comprende tutti i settori della politica estera, nonché tutte le questioni relative alla sicurezza dell’Unione, ivi compresa la definizione progressiva di una politica di difesa comune che può condurre a una difesa comune. Gli Stati membri sostengono attivamente e senza riserve la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione, in uno spirito di lealtà e di solidarietà reciproca, e rispettano gli atti adottati dall’Unione in questo settore. Essi si astengono da qualsiasi azione contraria agli interessi dell’Unione o tale da nuocere alla sua efficacia”.
Il quadro istituzionale dell’Unione Europea ha una struttura che si può definire in parte federale, e in parte confederale. Le istituzioni dell’Unione sono: il Parlamento europeo; il Consiglio europeo (con il suo Presidente); il Consiglio dei Ministri; la Commissione europea (con il suo Presidente); il ministro degli Esteri; la Corte di Giustizia; la Banca centrale.
Il Parlamento europeo, eletto per un periodo di cinque anni dai cittadini di ogni Stato membro, ha una funzione legislativa, di controllo politico e consultiva, che condivide con il Consiglio europeo. Il Consiglio europeo, formato dai capi di Stato o di governo degli Stati membri, dal suo Presidente, dal Presidente della Commissione europea, definisce gli orientamenti e le priorità politiche dell’Unione: su alcune questioni, come la politica estera dell’Unione e la difesa comune, il Consiglio può decidere solo se vi è unanimità. Il Presidente del Consiglio europeo (in carica per un periodo di due anni e mezzo, con un mandato rinnovabile una volta), è eletto dal Consiglio a maggioranza “qualificata” (il 50% più uno degli Stati membri, che costituiscano almeno il 65% della popolazione complessiva dell’Unione), non può essere membro di un’altra istituzione europea, né esercitare un mandato nazionale. Il Consiglio dei Ministri è composto dai responsabili dei principali dicasteri dei governi nazionali, e delibera a maggioranza “qualificata”. La Commissione europea è composta da un rappresentante di ogni Stato membro (fino al 2014, poi il numero dei Commissari sarà pari ai due terzi degli Stati). Il Presidente della Commissione viene proposto dal Consiglio europeo, a maggioranza “qualificata”, ma deve essere votato dal Parlamento. Il ministro degli Esteri, nominato a maggioranza “qualificata” dal Consiglio europeo, è uno dei vicepresidenti della Commissione, partecipa all’elaborazione della politica estera e di sicurezza comune, e la attua quale mandatario del Consiglio. La Corte di Giustizia europea assicura il rispetto della Costituzione e del diritto dell’Unione: è costituita da un giudice per ogni Stato membro. La Banca centrale europea dirige la politica monetaria dell’Unione.
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Questa, in sintesi, la neonata Costituzione europea, che ora dovrà essere approvata in ogni Stato membro, in Parlamento o con referendum, eventi il cui risultato positivo in alcuni casi appare alquanto dubbio. La Costituzione di una Unione che conta 25 Stati e 475 milioni di cittadini. E fra non molto, con le successive nuove entry, dovrebbero essere ancora di più. Forse troppi, e troppo in fretta, ritiene qualcuno. Certo, tutti riconoscono (anche se non tutti lo pensano) che l’Unione dovrebbe unire tutti gli Stati europei. Ma è anche evidente che non tutti i governi europei vedono oggi l’Unione allo stesso modo. I padri fondatori (Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda, Lussemburgo), cinquant’anni or sono, vollero gettare le basi di un’Europa federalista, politicamente ed economicamente unita. In seguito, i sei erano diventati dodici, e poi quindici. Nell’Unione, fra gli altri, era entrata la Gran Bretagna, ed era stato un ingresso giustamente salutato come evento di grande rilevanza, anche sul piano storico. Nel frattempo, il quadro mondiale si presentava profondamente cambiato. Il “suicidio” dell’Unione Sovietica aveva provocato il disgregamento del blocco dei Paesi del Patto di Varsavia, contraltare della Nato durante la guerra fredda. E per l’Europa occidentale si poneva il problema di aprire le porte comunitarie all’Est.
E così è stato. Ai 15 si sono aggiunti Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Estonia, Lettonia, Lituania, più la Slovenia ex Jugoslava, Malta e Cipro. Un allargamento che da una parte ha reso l’Unione più grande, e dall’altra ha ostacolato il progetto federalista degli europeisti più convinti. Non a caso a insistere per un ingresso rapido dei nuovi membri era stata soprattutto la Gran Bretagna – “entrata nella Comunità per controllare e rallentare l’integrazione”, scrive Sergio Romano in un commento sul Corriere della Sera del 19 giugno scorso -, che ha visto in tal modo aumentare il numero degli euroscettici in seno all’Unione, rendendola di fatto meno forte. Del resto, lo si è constatato a Bruxelles, al Consiglio europeo di giugno, dove, in un clima di scontro fra due gruppi opposti, è stata approvata in extremis una Costituzione che, pur in una redazione virtuosamente europeista, contiene vari interrogativi, e persino qualche enigma. Ad esempio, se la Commissione è uno strumento correttamente federalista, il Consiglio europeo non lo è affatto, ed è lecito chiedersi quali iniziative concrete potrà intraprendere la prima senza l’accordo del secondo. E non è chiaro quali poteri eserciterà il Consiglio dei Ministri di settore, altro strumento che contraddice in pieno il principio federalista al quale l’Unione avrebbe dovuto ispirarsi. Lo stesso Parlamento europeo, i cui poteri sono stati di molto aumentati, rimane vincolato a un sistema elettorale a quote attribuite a ogni Paese che gli impedisce di assumere un autentico carattere transnazionale.
Una verifica della realtà della situazione la si è avuta con la designazione del successore di Romano Prodi alla presidenza della Commissione europea. Il belga Guy Verhofstadt, proposto da Chirac, Schroeder e Zapatero, è stato silurato dalla netta opposizione di Blair, appoggiato da Berlusconi, e dai rappresentati di Polonia e Slovacchia: Verhofstadt sarebbe stato considerato “troppo europeista”, e soprattutto “antiamericano”. Alla fine ha avuto la meglio il premier portoghese, di centrodestra, Durao Barroso, firmatario della lettera degli Otto (tra i quali il governo italiano) a favore della guerra in Iraq, che ospitò un vertice con Blair, Bush, e Aznar, allora premier spagnolo, alla vigilia del conflitto. Due iniziative, sponsorizzate da Londra e Washington, che ebbero come risultato una spaccatura all’interno dell’Unione. Come volevasi dimostrare.
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