Gli anni ’80. I terribili anni di piombo. Negli anni ’80 non ci fu periodo che non si ricordi una vittima delle Forze dell’ordine caduta sotto la grandine di piombo che in quegli anni imperversava. Ora è il tempo della memoria: commissariato Primavalle, dopo ventitré anni eccola che riaffiora. Ventitré anni fa il dirigente di quel commissariato cadeva sotto la violenza di fuoco delle Brigate Rosse. Un dirigente che credeva nello Stato (senza reciprocità) e che per lo Stato morì.
All’epoca i segnali furono chiari ed evidenti. Due bombe furono lanciate contro quel commissariato e una bottiglia molotov all’interno di un’autoradio in transito, le minacce e i diversi volantini diramati dalle Br nei cui testi era compreso tutto il personale di quel commissariato. E da lì i lunghi incontri quotidiani che il dr Vinci teneva con tutto il “suo” personale sensibilizzandolo ed allertandolo. Non palesava mai chiaramente il pericolo che incombeva su quel commissariato ma lo faceva percepire.
Lui lanciò questo segnale di pericolo allo Stato, ma i fatti ci dicono che non fu raccolto.
All’epoca, come organizzazione sindacale ci battemmo d’intesa con la dirigenza, per un potenziamento delle forze esistenti, ma fu come gridare al vento.
L’epilogo della situazione lo raccogliemmo in quella tragica mattina del 19 giugno 1981. Dopo il tragico finale, anziché dare una forte risposta all’attacco portato al cuore delle istituzioni, si pensò bene di depotenziare quel commissariato e a distanza di 23 anni, tra alti e bassi, la situazione è rimasta pressoché immutata.
Vinci, come si usa dire, era ricco di suo; lasciò un posto da direttore di banca per appagare un sogno nel cassetto: fare il funzionario di Polizia.
Ora dopo 23 anni riaffiora la memoria di quei giorni. Tutti si ricordano di una matricola, ma nessuno sa dove sia sepolto Vinci, dove siano la moglie e i parenti.
C’è in viaggio una Medaglia d’Oro alla memoria, che forse non verrà mai appuntata sul petto di alcuno.
Ora dopo 23 anni si tira a lucido quel commissariato come non mai. I giovani poliziotti non ne comprendono il perché. I “vecchi” guardano con tanta amarezza negli occhi, pensando che il sacrificio di Vinci è stato vano.
Negli occhi dei vecchi è ancora presente il corpo di Vinci riverso all’interno dell’abitacolo della sua vettura, crivellato di colpi, e il suo cane Charlie accovacciato tra le sue gambe che leccava il rivolo di sangue che scivolava lungo la sua mano destra, come se tentasse di richiamare in vita il suo padrone.
Negli occhi di chi c’era è ancora presente il corpo del suo collaboratore Pacifico Votto, anch’esso crivellato di colpi accanto al veicolo con la pistola di ordinanza ancora in pugno e maledettamente inceppata. Lui, dopo anni di ricoveri e interventi chirurgici è riuscito a sopravvivere. Ma le ferite sono ancora tutte là, nonostante i 23 anni di oblio, lontano e semidimenticato. Questo genere di cerimonie danno tanto di 2 novembre! In quanti cimiteri le tombe rimangono sguarnite per un intero anno di fiori e lumini votivi? E i parenti di chi non c’è più dimentichi per altrettanto tempo? Poi, tutto ad un tratto arriva il 2 novembre, ed ecco riaffiorare la memoria, o la paura che quando sarà il nostro momento nessuno porterà un fiore sulla nostra tomba, e scatta quella che definisco l’isteria collettiva: la corsa a chi compra il più bel mazzo di fiori e il tour de force nel traffico per giungere sulla tomba del caro estinto proprio in quel fatidico giorno, puntuale come ogni anno con le classiche rimpatriate tra parenti che da un anno o forse più magari non si incontravano nemmeno. Dopodiché, appuntamento all’anno successivo. Il 19 giugno 2004 è soltanto una celebrazione tra le tante.
Nel 1981 Vinci chiedeva di potenziare quel commissariato, il 19 giugno 2004, in quel commissariato, chiedono la stessa cosa. Nulla è cambiato in 23 anni e tutto è cambiato. Anziché potenziare quel posto di frontiera, giorno dopo giorno lo si continua a depotenziare.
L’unica cosa che rimane indelebile nel cuore e nella mente di chi allora era presente è l’inutile sacrificio dell’amico che tutti noi chiamavamo “o’ lione” e che al secolo era il vice questore aggiunto dr Sebastiano Vinci.
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