“... annorno giù pe’ Ponte de Ripetta, tra la nebbia der cielo nero nero, e sur ponte che allora era de fero, lui t’agguanta la moje co’ na stretta/... S’attacca a ’gni sporgenza der ripiano, co la forza più forte che possiede, lui, pe staccalla mette fori un piede, spigne e je pista tutt’e due le mano/...che lei, da su, come ’n fagotto umano, casca ne l’ombra che non ce poi vedé...”
Questa stornellata romana dell’epoca fa riferimento ad un fatto di cronaca nera accaduto nella Capitale d’Italia nel 1890.
Protagonisti il giardiniere Augusto Formilli, 41 anni e sua moglie Rosa Angeloni di 45.
Tra i due vi erano state violente liti a causa di un’avvente Teresa, ventenne conosciuta dall’uomo alla festa de’ Noantri.
Il Formilli, per qualche tempo, aveva anche abbandonato il tetto familiare per poter liberamente sacrificare a Venere.
Alla bella Teresa aprì, non senza sofferenze economiche, un negozio di merceria a Campo Marzio. Per le insistenze della legittima consorte, il nostro tornò in famiglia, anche se in cuor suo malvolentieri, e fece buon viso a cattivo gioco.
Una sera d’estate i due coniugi si recarono a cena, dopo una passeggiata in carrozzella (che a quei tempi, evidentemente, era abbordabile anche dal popolo), in una osteria ora scomparsa in via Tomacelli, che si chiamava “Cesare er fornaciaro”.
Dopo cena si incamminarono sull’allora ponte di ferro a Ripetta per una passeggiata, visto che essi abitavano al Rione Ponte e si diressero verso piazza Cavour. Ad un certo punto, probabilmente dopo un’ennesima discussione, l’uomo afferrò la donna per la vita, la sollevò con forza erculea e la gettò dal parapetto, ove però essa rimase disperatamente aggrappata. Il Formilli, a suon di calci e pugni, riuscì a farle mollare la presa e la poveretta finì nel Tevere.
La scena, però, non era sfuggita a tre giovani che si trovavano sul ponte intenti a parlare tra loro. Richiamati dalle grida del litigio, avevano osservato tutta la storia. Uno di loro fu lasciato a sorvegliare da lontano l’omicida, mentre gli altri due corsero a chiamare la Polizia.
Formilli, data l’oscurità, ebbe buon gioco e scomparve. Le indagini, però, portarono subito alla sua identificazione: nel frattempo era riuscito a raggiungere un amico di nome Sala a Milano. Forse proprio su consiglio di questi, egli si costituì.
Il processone ebbe luogo “ai Filippini”, il famoso oratorio alla Chiesa Nuova, ove era la Corte d’Assise.
Secondo le cronache del tempo, già dalla sera precedente l’8 maggio 1891, vi furono persone che bivaccarono innanzi all’aula per essere le prime ad entrare e non perdersi lo spettacolo che sarebbe iniziato alle 9.
Sulle prime l’uomo tentò di negare, ma la testimonianza dei tre testimoni lo inchiodò. Come era d’obbligo, fu difeso, naturalmente a scopo pubblicitario e gratuito, da un celebre Cicerone dell’epoca, l’avvocato Giovanni Battista Avellone, la cui facondia nulla poté contro un agguerritissima pubblica accusa ed il furor di popolo che lo voleva morto.
Fu condannato a 30 anni con buona pace di tutti.
|