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agosto/settembre/2004 - Contributi
Contributi
Il diritto all'indagine
di Daniele Tissone

Il crollo delle ideologie ha riproposto la necessità di un approccio realistico alle vicende sociali, che non poteva tardare a mostrare riflessi nell’ambito della investigazione e dell’attività di Polizia in generale.
La piena e completa condivisione dei principi fondanti delle democrazie liberali, uscite vincenti nel confronto con i paesi del socialismo realizzato, si è posta così come base per la ricostruzione di un nuovo sistema comune, all’interno del quale i tradizionali riferimenti semantici potessero essere assunti in rinnovati contesti sociali.
Individuo, diritti, progresso restano al centro della storia come valori condivisi dell’occidente, ma si insiste sull’innata vocazione sociale e finanche altruistica dell’individuo, sull’universalità dei diritti, sul carattere espansivo del benessere originato dal sapere tecnologico.
Per i lavoratori è così risultato sempre più importante, nell’abbandono delle culture minoritarie a sfondo marxista e nel rifiuto delle tendenze post-moderniste in contrasto con il cosiddetto nichilismo tecnologico, procedere all’individuazione e all’affermazione di diritti individuali volti a realizzare una piena partecipazione ai benefici dello sviluppo e del progresso.
Si tratta non soltanto di diritti rivolti all’ottenimento di una specifica prestazione come nelle ipotesi richiamate dal recente dibattito sull’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, ma di situazioni soggettive riconosciute in linea di principio dalle stesse carte costitutive degli ordinamenti statuali moderni, delle quali si richiede una specifica e pronta attuazione, con riguardo ai settori della giustizia e del lavoro.
Il diritto ai diritti, inteso come esperienza di effettività dell’ordinamento coincide allora con il diritto di giustizia, e si connota specificatamente in ragione della obiettività delle valutazioni attraverso le quali si procede alla sanzione per le condotte illecite.
Si tratta, lo si osservi ancora, della pretesa volta alla costituzione in concreto di un assetto che escluda l’impunità, garantendo l’affermazione del principio di responsabilità.
Ed è particolarmente evidente come la mancata punizione dei crimini dei cosiddetti colletti bianchi, dei soggetti ricchi e potenti, metta fortemente in pericolo le fondamenta stesse del tessuto civile della nazione.
Quando viene in discussione la ponderazione tra gli interessi tutelati e quelli, invece, offesi dall’attività investigativa, non è possibile ridurre l’analisi ai beni oggetto di immediata tutela, poiché occorre avere riguardo al carattere strumentale dell’investigatore rispetto alle indicate esigenze della punizione in generale.
Così il lamentare come eccessivo il ricorso a strumenti di investigazione che violano la privacy, quali l’intercettazione di comunicazioni telefoniche o di presenti, dovrebbe essere accompagnato dall’indicazione dei reati per i quali, in mancanza di altri strumenti accertativi espressamente invocati, si sta di fatto chiedendo l’impunità, per come essa è correlata al mancato investigare con le tecnologie correnti.
Se poi è vero che proprio una visione del mondo disincantata che ponga al centro l’individuo e le sue libertà non può non cogliere i limiti delle possibilità punitive, il problema della destinazione delle risorse scarse per fini alternativi, dovrà trovare risposta alla luce delle indicazioni fornite e così nel senso di concentrare risorse e tecnologie nella lotta ai crimini maggiormente sovversivi del tessuto politico comune.
Emerge così la necessità di una rilettura complessiva dell’attività di Polizia che dia conto delle concrete ponderazioni effettuate rispetto agli interessi in conflitto.
Appare ancora evidente come gli stessi assetti organizzativi debbano risultare funzionali rispetto agli equilibri ricercati.
Quando infatti si prospetta la separazione del pubblico ministero dal giudicante e si guarda con diffidenza alle Polizie che si pongono alle dipendenze delle Procure, lo scenario conseguente è costituito da un sistema ove la Polizia propone il tema inquisitorio ad un pm avvocato dell’accusa, non più dominus dell’indagine, quanto piuttosto garante di legalità.
È evidente che un simile assetto, alla luce delle tradizioni esistenti nel nostro Paese, non può dirsi destinato ad accrescere i livelli di punibilità dei reati più gravi.
Per brevissimi cenni va detto dell’attività di Polizia di prevenzione, dove per fronteggiare espressioni di dissenso radicale quanto legittime, temuti episodi di vandalismo vengono invocati a giustificare la sospensione del diritto di riunione, mentre l’ostentata difesa dello strumento, le Forze di polizia, vale a coprire il mancato conseguimento dell’obiettivo, il pacifico godimento dei diritti da parte dei cittadini e non solo delle autorità, secondo logiche lontane dalla tradizione liberale, propria delle democrazie occidentali.
Sotto il profilo strettamente investigativo colpisce la logica perversa con la quale, tra l’opinione pubblica, si è voluta accreditare l’idea che l’indagato collaborante debba essere pentito e pagare la sua colpa con uno status di inattendibilità che renda le sue dichiarazioni un minus rispetto a quelle del virtuoso, in una logica che ricorda piuttosto il destino medioevale dell’eretico, che il concetto moderno di collaboratore della giustizia, pragmatico strumento per la formazione della prova di uno stato indifferente all’intimità dei suoi pensieri, ma solo attento all’efficacia dei suoi atti.
E se screditati i pentiti si dovessero giungere ancora ad escludere l’utilizzo delle tecnologie più avanzate, dalle intercettazioni telefoniche a quelle ambienti, perché costose e comunque in grado di determinare scenari da grande fratello, occorrerebbe sicuramente un grande sforzo ideativo per sopperire alla non punibilità fattuale dei reati commessi dal potere economico, politico e mafioso.
Del resto lo scenario che ebbe a precedere la stagione di mani pulite e quella della legislazione premiale in materia antimafia si risolveva appunto nell’assoluta incertezza circa la stessa esistenza delle consorterie mafiose e dei fenomeni di corruzione successivamente accertati.
Nel nuovo millennio le opportunità che la tecnologia potrà offrire per consentire alle investigazioni una sempre maggiore capacità di penetrazione finiranno allora per determinare scenari “a rischio” per la democrazia, solo allorquando si dovessero risolvere in controlli e misure dai quali la classe dirigente potrà sentirsi esclusa.
Così l’impronta genetica e la conseguente auspicata schedatura di massa non dovrebbe conseguire facilmente legittimazione come strumento per l’individuazione dei ladri di appartamento, a fronte degli evidenti rischi di distorsione connessi al sistema.
Per contro un utilizzo corretto delle sempre maggiori potenzialità offerte dal progresso tecnologico, unitamente alla richiamata, attenta ponderazione tra il significato e la rilevanza costituzionale dei beni tutelati e quelli oggetto di inevitabile sacrificio, consentirà di accrescere notevolmente l’effettività dei diritti dei cittadini e la loro partecipazione alla crescita economica e civile del Paese.

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