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agosto/settembre/2004 - Articoli e Inchieste
Comunicazione
Il messaggio dell'orrore
di Alberto Madricardo

Le immagini e le notizia da cui siamo bersagliati in questi tempi hanno l’effetto di spingerci entro uno schema elementare, infantile, “apocalittico” di interpretazione degli eventi umani


Si allungano le ombre dell’orrore. Attraverso i mezzi di comunicazione, occupano con prepotenza lo spazio del nostro immaginario. Richiamano stragi, decapitazioni, corpi dilaniati, torture.
L’uomo è l’unico essere che non ha una posizione ben definita nell’universo, diceva Nietzsche. Oscilla nella considerazione di se stesso: può essere per sé tutto o nulla. Le sue azioni, oltre a produrre effetti su ciò a cui sono applicate, influiscono sul come egli percepisce se stesso. L’uomo che compie l’orrore, finisce per farsi orrore. Questo orrore verso se stesso talvolta del tutto inconsapevolmente, lo esteriorizza attraverso un disamore per la vita che può diventare aperto amore e culto della morte.
L’irruzione nella nostra vita di fatti ed atti che suscitano sentimenti di orrore e raccapriccio ci riporta a condizioni che ritenevamo appartenere alle epoche primitive e barbariche dell’umanità o a quelle della prima infanzia. Forse solo i bambini, in ogni tempo, provano emozioni estreme, di terrore e di orrore, prima che la crescita ne cancelli in loro anche la memoria. L’inserimento sociale del bambino è anche un processo di sua “rassicurazione” dai terrori infantili. Ma in ogni età resta “dentro di noi un fanciullo”, dice Platone in un passo famoso del “Fedone”, sempre capace di risvegliarsi, di provare in certe circostanze emozioni “totali”. Ora proprio il fanciullo che è in noi sembra essere risvegliato dall’ orrore che proviamo davanti alle immagini e alle notizie.
Viene esibita la profanazione del corpo umano. Il corpo umano ridotto a cosa, o a puro corpo animale: questo provoca orrore. Orrore si prova, per esempio, pensando alla pratica del cannibalismo, alla crocifissione e allo sbranamento di uomini nelle arene da parte di belve, praticati dai Romani, ai sacrifici umani dei Maya, ai supplizi dell’Inquisizione, alla pratica di impalare i prigionieri, degli Ottomani, alle torture, agli esperimenti “scientifici” dei Nazisti su esseri umani. Ma anche fa orrore la morte dell’uomo resa spettacolo, l’esibizione della ferocia contro il suo corpo. Non sempre la morte fa orrore. Tra le esecuzioni capitali, la morte data con la spada o una fucilazione può fare pietà, non orrore. Il corpo umano è – per quanto possibile – rispettato. Ma, per esempio, la pratica della iniezione letale o della sedia elettrica fa orrore, non per la ferocia esibita, anzi, piuttosto per il contrasto tra l’ambiente, le pratiche asettiche, quasi ospedaliere che vi si praticano, e ciò a cui sono finalizzate. La tortura e la decapitazione fanno sempre orrore perché il corpo dell’uomo in esse è profanato.
Anche della ferocia si da “cultura”. Ogni popolo ha le sue tradizioni e pratiche, a volte, nella crudeltà, fantasiose. I Parti fecero morire Crasso – triumviro con Cesare e Pompeo – famoso per le sue immense ricchezze, versandogli in bocca dell’oro fuso, dopo averlo sconfitto e fatto prigioniero nella battaglia di Carre. I Cartaginesi si vendicarono di Attilio Regolo facendolo rotolare entro una botte irta di chiodi. I Turchi diedero la morte a Marcantonio Bragadin capo dei difensori Veneziani di Cipro, dopo aver tradito i patti di resa, squartandolo ed esibendo i suoi resti come macabro trofeo. Quanto alla pratica della presa dello scalpo - comunemente attribuita alla crudeltà pagana degli Indiani nordamericani - è stata in realtà loro insegnata dai Bianchi cristiani.
L’Europa ha impiegato parecchi secoli a liberarsi dall’orrore spettacolare nella vita politica. La decapitazione in pubblico fu in uso in Europa fino alla fine del secolo XVIII. Per esempio, vennero staccate dal loro busto illustri teste coronate, come quella di Maria Stuarda regina di Scozia, cugina della grande Elisabetta, che vedeva in lei una tessitrice di trame filocattoliche e una possibile concorrente, e dello stesso re Carlo I d’Inghilterra, con la mannaia. In Francia invece vennero decapitati con la ghigliottina il re Luigi XVI e la regina Maria Antonietta.
La differenza tra la pratica premoderna e quella moderna della esecuzione capitale sta nel fatto che nella pratica premoderna l’esecuzione è ancora un sacrificio, ha ancora in sé qualcosa di sacrale, quella moderna invece è una semplice, razionale, soppressione fisica. L’ultima esecuzione premoderna e allo stesso tempo la prima moderna fu quella di Luigi XVI. Il suo processo non riguardò solo un uomo e il suo operato, ma tutta la vicenda plurisecolare della monarchia francese, riconosciuta come continuità di un potere sacrale, che a lungo il popolo aveva creduto dotato di poteri magici e taumaturgici. Luigi XVI durante il processo venne interpellato dai giudici della Rivoluzione come “Imputato Luigi Capeto”. I Capeti o Capetingi furono i re della prima dinastia dei sovrani di Francia tra il X e il XIV secolo. Non c’era alcuna consanguineità tra Luigi XVI - un Borbone – e quella antica famiglia. Ma i Giacobini volevano sottolineare la continuità del potere monarchico che intendevano processare e condannare. L’atto di condanna “capitale” del re poneva fine, alla sacralità della Storia europea. Fu l’ultimo sacrificio, ma non venne eseguito con uno strumento sacrale come la mannaia, bensì con un marchingegno – la ghigliottina - inventato da un ingegnere, per ridurre le sofferenze dei condannati e facilitarne la immediata, “efficiente” soppressione. Perciò quella di Luigi e della sua consorte fu anche la prima esecuzione moderna, “borghese”, asettica ed “umanitaria”.
Si inaugurava anche attraverso questo atto una nuova epoca, in cui si imponeva la concezione laica, storico politica delle vicende umane. Ma anche questa nuova concezione laico –borghese del potere, per consolidarsi, aveva bisogno di mettere le sue radici nel sangue, doveva enfatizzare la discontinuità con il passato impressionando con l’orrore gli animi, fino negli strati più profondi e primitivi della psiche umana. Il sacrificio – bisogna ricordarlo - da sempre è prerogativa sacrale del potere. I primi sovrani, i re arcaici erano figure sacre, la loro funzione principale era quella di compiere sacrifici o anche, a volte, di essere dati in sacrificio.
La tortura e la morte possono essere, e sono state a lungo in Europa, uno spettacolo. Ma una volta affermatosi e consolidatosi, il potere laico si è a poco a poco liberato dell’aura sanguinaria che accompagnava quello dei sovrani.
La mentalità laica è portata a non demonizzare il nemico. La guerra è per essa naturale conseguenza di politiche di potenza delle nazioni. Nemico è chi risulta di volta in volta essere un ostacolo a questa politica. La guerra serve a rimuovere l’ostacolo.È insomma considerata un’operazione razionale, della quale vengono calcolati i costi, i possibili benefici, i rischi. Il nemico, nel momento in cui cessa di opporsi, non è più tale. Anche durante le operazioni militari si sta attenti a non eccedere troppo, a non creare cause di odi eterni. Dare la morte in guerra è considerato un male, sebbene un “male minore” rispetto a quello di non poter conseguire i propri scopi politici, un’operazione da compiere solo quando non ci sono alternative, ed in misura limitata, senza inutili crudeltà, in rapporto alle esigenze imposte dalla situazione.
Per due secoli noi europei abbiamo ragionato più o meno così. Cioè laicamente. C’erano, naturalmente, e ci sono coloro che alla concezione laico - borghese della guerra e della morte contrappongono una concezione religiosa della intangibilità della vita, o, chi - come Gino Strada, per esempio – anche da un punto di vista laico considera la sofferenza umana che si provoca con la guerra un prezzo sempre troppo alto da pagare in rapporto a qualsiasi vantaggio politico od economico che si possa ottenere.
In questi due ultimi secoli, almeno da noi in Occidente, si è fatta la guerra non per ragioni “assolute”, ma storico – politiche, evitando, fino dove era possibile, l’esibizione della morte e della ferocia. Un’eccezione va segnalata nel periodo che va da dopo la prima guerra mondiale alla fine della seconda. Allora, negli anni Venti e Trenta in Europa soffiò un vento di morte che si espresse nei simboli e negli emblemi dei movimenti dell’estrema destra. Alcuni di questi movimenti, come il Fascismo e il Nazismo, giunsero a conquistare il potere in alcuni grandi stati europei e scatenarono poi la catastrofe della seconda guerra mondiale. Le “camicie nere” (il nero è il colore del lutto), i “battaglioni della morte” del Fascismo, i teschi sui berretti e gli altri simboli mortiferi sulle divise e nei rituali delle SS naziste, il grido “viva la muerte”dei Falangisti spagnoli, segnalavano che l’anima europea, o almeno una parte di essa, stava subendo il fascino e il richiamo della morte.
Qualcosa di analogo sta forse avvenendo oggi, anche se non in Europa. Per un certo islamismo il coinvolgimento del mondo arabo nella modernità suscita, quasi per contraccolpo, un rifiuto del presente: il sogno struggente del ritorno alle origini, allo splendore del Califfato, il desiderio del tempo mitico in cui i cavalieri Arabi si espandevano ai quattro angoli della Terra, portando con sé il verbo del Profeta e il sapore di una vita giovane ed intensa, resi invincibili dal pensiero di essere accompagnati da un Dio “dolce e misericordioso”. L’amore per l’antico di molti giovani islamisti, molti dei quali hanno vissuto o vivono in Europa o in America, è accompagnato dall’insofferenza per la miseria presente, il disprezzo per le classi dirigenti arabe corrotte ed inette, l’odio per un Occidente visto come antagonista assoluto, sentina di ogni corruzione e vizio. Con ciò tutta la storia degli ultimi secoli è rigettata. E con essa tutta la psicologia “superiore”, razionale e civile dell’uomo moderno, complicata, viziata, considerata impotente. Il richiamo dell’antico, anzi “dell’arcaico” - che è un antico mitico, puro - suscita il bisogno di fatti e gesti elementari eclatanti, che impressionino direttamente “il bambino che c’è in noi”, con l’orrore del sangue e l’esibizione della ferocia raccapricciante.
Diversa è l’origine – ma ugualmente orripilanti ne sono gli effetti - dell’orrore “moderno” dei luoghi in cui gli Americani tengono rinchiusi i sospetti terroristi, a Guantanamo, a Abu Ghriad, in Afganistan, e in altri luoghi meno noti. Effetto di un disorientamento profondo seguito all’attentato alle Torri Gemelle, certo, ma anche di una tendenza ben visibile – e non da oggi - nella realtà delle carceri comuni americane, nelle quali attualmente più di quattro milioni di uomini vivono spesso in una condizione di atroce abiezione.
Il grande scrittore inglese Charles Dickens, in visita negli Stati Uniti nei primi anni Quaranta dell’Ottocento, così descriveva il modo con cui un nuovo carcerato era accolto nel carcere di Filadelfia:”Un cappuccio nero viene infilato sul capo di ogni prigioniero che entra in questo malinconico edificio; sotto questo oscuro velario, emblema del sipario disceso tra lui e il mondo esteriore, egli è condotto alla cella da cui non uscirà fino allo scadere del termine prefisso. (…) È divenuto ormai un sepolto vivo, destinato ad essere dissepolto solo nel lento giro degli anni, e nello stesso tempo morto a tutto tranne che alle ansie lancinanti e all’orribile disperazione” (da “America”). Sembra l’anticipazione di Guantanamo o di Abu Ghraib.
Vi è qualcosa, nella mentalità americana, nella tradizione religiosa di questo popolo, che la spinge a tradurre concetti sociologici in corrispettivi metafisici. Il carcerato tende ad essere identificato con il reietto da Dio, escluso dalla felicità terrena come dalla salvezza eterna, il carcere con l’Inferno.
Il tradizionale pluralismo religioso degli Stati Uniti non si identifica necessariamente con qualcosa di simile alla concezione laica europea, figlia dello spirito scettico settecentesco, principalmente francese. Il mondo anglosassone ha delle specificità sue.
Ciò che ha plasmato in profondità l’Europa continentale è stato l’Illuminismo e la Rivoluzione francese. A quest’ultima il mondo anglosassone, o una parte di esso, è stato estraneo, se non nemico. Se dunque l’elemento profondo che struttura l’identità politica europea continentale moderna è la “Rivoluzione”, e le correnti di pensiero stanno in riferimento ad essa come la propria ideale pietra di paragone (“Riformismo”, “Moderatismo”, “Conservatorismo”, “Reazione” sono tutti termini che indicano posizioni politiche che si definiscono, distinguendosi idealmente per riduzione o antitesi, in relazione all’evento che istituisce la politica moderna come tale: appunto, la “Rivoluzione”), nell’identità politica anglosassone ha un ruolo più rilevante un “individualismo religioso” di ispirazione biblica. Nello spirito religioso sia islamico, sia cristiano di tradizione anglosassone è presente un elemento che definirei “antistorico” e “apocalittico” a cui l’Europa è rimasta negli ultimi due secoli - salvo la parentesi del Nazismo - sostanzialmente estranea.
A differenza dei conflitti che si inscrivono in un quadro laico, storico politico, che si pongono obiettivi politici determinati e “relativi”, quello “apocalittico” è un conflitto totale, ultimo (escatologico) tra Bene e Male. Tutto ciò che è determinato, umano, può apparire in questa luce irrilevante. Il mondo è ridotto a semplice teatro, gli uomini e i popoli a pedine e spettatori di questo immane duello metafisico.Che non ammette che un esito: l’annientamento del Male, nei confronti del quale vale il principio: “il Male contro il Male è Bene”. In questo scontro mortale non c’è posto perciò per le sfumature, le mezze misure, i compromessi . Il Bene sta tutto da una parte, il Male tutto dall’altra.
Il Libro dell’Apocalisse, cioè, letteralmente, - dal Greco - il libro della “Rivelazione” è l’ultimo capitolo della Bibbia. La sua composizione è fatta risalire agli ultimi decenni del primo secolo dopo Cristo. È la narrazione della visione dello scontro tra il Bene e il Male prima della fine del mondo. “Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava “Fedele” e “Verace”: egli giudica e combatte con giustizia”, dice la Bibbia, rappresentando il Bene (Apocalisse 19-11).Contro chi combatte il Bene? Contro “la Bestia” e “il falso Profeta”. “Il Dragone”, il “Serpente antico”, “Satana”. Questo “viene legato da un angelo” che scende dal cielo “con una catena in mano” e gettato nell’Abisso, “per mille anni”. Lo scenario descritto nell’Apocalisse è illuminato da una luce fosca, i protagonisti dello scontro finale, del “combattimento escatologico”, non si trovano in un luogo preciso, ma agiscono in cielo. Come gli aerei che si abbattono sulle Torri Gemelle di New York,e sembrano angeli sterminatori che annientano i malvagi “in un lago di fuoco e di zolfo”.
La mia impressione è che ci sono forze che stanno operando per spingere il nostro mondo fuori dal contesto di riferimenti storico politici in cui è stato pensato per due secoli, verso uno scenario “arcaico – apocalittico”.
Ma cosa succede se i contrasti tra gli uomini vengono interpretati in chiave apocalittica? Che tutto ciò che è concretamente umano, perde valore. “Dio saprà distinguere le anime dei buoni cristiani da quelle degli eretici” dicevano i Crociati impegnati contro gli Albigesi all’inizio del secolo XIII nel sud della Francia, mentre massacravano indiscriminatamente decine di migliaia di uomini, donne, bambini, molti dei quali nulla avevano che fare con la eresia. Lo stesso ragionamento degli assassini di Al Quaeda, o del Fis (Fronte Islamico di Salvezza) Algerino, che, hanno, questi ultimi massacrato, scozzato, stuprato nell’ultimo decennio in Algeria centinaia di migliaia di persone, in gran parte musulmani, soprattutto dei villaggi dell’interno: anche loro convinti che Dio saprà distinguere tra le anime dei “buoni” e quelle dei “traditori” asserviti al governo algerino, dato che loro – combattenti della fede, come i Crociati in guerra di annientamento contro gli eretici di Albi - non hanno il tempo di andare troppo per il sottile.
Succede anche che nello scontro apocalittico i comuni mortali rimangono semplici spettatori, passivi e a scontrarsi sono direttamente il “Bene” e il “Male”, che sono entità metafisiche, anche se si identificano di volta in volta con soggetti storici che ne sono perciò dei simboli.
Ricordo un episodio, secondo me emblematico della tendenza della destra americana di identificare la vicenda storica con quella religiosa apocalittica, di cui fu protagonista il presidente americano Ronald Reagan, esponente, come Bush, della destra radicale, morto recentemente. Nei primi anni Ottanta Reagan usò per la prima volta la fatale espressione “Impero del Male” per indicare il Comunismo sovietico, che, nonostante le sue degenerazioni, era pur sempre un avversario politico ideologico, e non il “Regno di Satana sulla Terra”. Reagan, indicando così l’Unione Sovietica, trasferiva il contrasto con essa dal piano del confronto ideologico politico tra potenze, a quello religioso metafisico. In precedenza uno “sfondamento” della dimensione laico - ideologica della politica era stato operato solo dai Nazisti, con il loro cupo motto “Gott mit uns” (traduzione in tedesco dell’ebraico “Emmanuel”= Dio con noi). Prima e dopo di questi, lo spirito della “Grande Rivoluzione” aveva messo, con sostanziale successo, fuori della storia l’idea del conflitto metafisico e con essa l’idea dell’annientamento totale del nemico diabolico. Gli stessi fascisti non avevano mai tentato di porre lo scontro con il Comunismo “materialista e ateo” oltre il quadro di un conflitto ideologico.
Perché Reagan, presidente di un paese di grandi tradizioni liberali, fece ricorso a questa espressione in un momento in cui già si palesavano i segni della crisi del blocco sovietico? Che cosa voleva dire con l’espressione “Impero del Male” e che senso essa poteva avere? Probabilmente lo “sconfinamento” dalla dimensione storico politica a quella apocalittica da parte di Reagan fu ispirato dalla intenzione di enfatizzare al massimo le ragioni dello scontro con l’Unione Sovietica, nel momento in cui lo sentiva giunto vicino alla sua fase finale.
Ma al di là degli intenti soggettivi del presidente americano, questa definizione era il segno che la supremazia dello “Spirito della Storia”, francese, laico, europeo, fortemente radicato nella tradizione umanistico - illuministica e dominante – salvo la parentesi nazista - era insidiata dallo “Spirito dell’Apocalisse” della Destra radicale americana.
Che rapporto c’è tra il Male e l’orrore? Il “Male” non ha possibilità di riscatto, e perciò suscita orrore. La guerra contro il Male non è una guerra come le altre. Solo come “Guerra contro il Male” veniva coerentemente giustificato l’impegno contro il Nazismo, da parte di Simone Weil - la grande mistica e filosofa francese– che rifiutava ogni altra guerra promossa in base a logiche “laiche” di potenza. Il “Male”, la Weil lo identificava nella concezione hitleriana di un’umanità “zoologica”, che comportava l’annientamento dell’Umano nell’uomo.
Il ritorno a pratiche arcaiche di soppressione della vita, come quella della decapitazione, delle “tinte forti”, che colpiscono in profondità la sfera emotiva ed “infantile” della gente possono facilitare l’imporsi dello “schema apocalittico” nella interpretazione delle vicende del mondo. Vi è un comune denominatore tra le immagini raccapriccianti degli ostaggi uccisi e decapitati (sottoposti alla pena “capitale”, cioè letteralmente “della testa”) dei video fatti girare sulle tv e quella dell’uomo con la testa reclinata, quasi un Cristo incappucciato, in bilico su una cassa, con il corpo coperto di elettrodi, di Abu Ghraib. Il cappuccio o la benda che tutti i carcerieri impongono ai loro prigionieri (sia “musulmani”, sia “cristiani”) rappresentano già una sorta di decapitazione simbolica. Ora, se il Male di per sé fa orrore, per una sorta di principio di reversibilità, vale anche l’opposto: l’orrore richiama il Male. Ecco allora che le immagini e le notizie di orrore da cui siamo bersagliati in questi tempi hanno l’effetto di spingerci a forza entro uno schema elementare, infantile, “apocalittico” di interpretazione degli eventi umani.
Davanti a questo possibile ritorno dello “Spirito dell’Apocalisse” sia in versione “islamica”, sia “cristiana”, quale è la posizione dell’Europa? È una posizione debole, apparentemente quasi inconsistente.
La caduta del muro di Berlino, preannunciata dal discorso di Reagan sull’Impero del Male, la cosiddetta “fine delle ideologie” nate in Europa, hanno lasciato un vuoto di prospettiva storica, e aperto il campo alle farneticanti visioni apocalittiche del “nazismo islamico” di Bin Laden, e dei fondamentalisti cristiani e dei cosiddetti “Neoconservatori” americani.
L’Europa moderna è figlia dell’intellettualismo socratico, dello scetticismo illuminista, della relativizzazione storicistica. Nella sua idea della Storia, salvo la parentesi hitleriana e – meno - dei fascismi, non è compreso il “Male”, né la fascinazione della morte. Ma oggi il Male assoluto, il “Male in sé”, è fatto ricomparire, nel messaggio dell’orrore. Ne viene indicata anche una sua incarnazione nel mondo, contro cui bisogna condurre una guerra totale. È il “Terrorismo” che, come una sorta di fiamma maligna, pare che illumini sinistramente il mondo e minacci di divorarlo. I fatti sembrano confermarlo.
Non dovremmo dimenticare però che non sono i fatti ad imporre lo schema che li interpreta, ma, al contrario, è lo schema che, una volta adottato, va a “cercarsi” – per così dire- i fatti che lo legittimano. Al di fuori dello schema apocalittico non esiste “il Terrorismo”, non c’è “combattimento escatologico” nel quale il Terrorismo - Satana si incarna di volta in volta in un Bin Laden, o in un Saddam Hussein, in un aiatollà iraniano, o in un dittatore nordcoreano, e domani chissà… Ci sono tensioni acute nel mondo e gruppi di fanatici criminali pronti ad utilizzarle, ma sempre legati a condizioni storico politiche determinate che vanno tenute distinte, analizzate, e richiedono interventi diversificati,caso per caso, con pazienza e senza semplicismi.
Di fronte al pericolo della riduzione apocalittica della complessità del mondo, di cui sono portatori da una parte il fondamentalismo islamico, dall’altra la Destra radicale americana,l’Europa tace, e sembra incapace di far valere la sua “Storia”. La sua debolezza e la inadeguatezza hanno però almeno il pregio di essere “umane” e “storiche”. Quello che deve comprendere è che di ciò non si deve vergognare, anzi. L’uomo è debole ed inadeguato nell’azione all’interno della complessità storica. È poco, ma almeno agisce. Nella concezione apocalittica invece egli è un nulla, spettatore o semplice pedina dello scontro cosmico finale tra Bene e Male, dove non c’è più posto per la sua autonoma iniziativa, non c’è possibilità di partecipazione e di democrazia.
Forse l’Europa, modestamente, con i suoi dubbi, con la consapevolezza dei limiti, con la sua Memoria, può contribuire a far ritrovare all’umanità il filo che ha perduto.

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