Come si applicano i principi della psicologia cognitiva ai tradizionali schemi utilizzati per avere informazioni
Nell’ambito delle attività investigative la raccolta delle notizie rappresenta un atto fondamentale in quanto permette di riuscire ad accertare la verità sui fatti per cui si indaga. La difficoltà prevalente della raccolta delle informazioni, e qualche volta anche la causa del suo fallimento, deriva spesso dalla presenza di volontà e stati psicologici troppo diversi tra interrogante ed interrogato, talora anche opposte volontà. Molte persone, nel momento in cui si trovano di fronte ad una figura autoritaria, soprattutto se non sono con la coscienza a posto, assumono inconsapevolmente uno stato emotivo reattivo che può facilitare, se di paura, oppure ostacolare moltissimo, se di indisponibilità, la ricerca della verità. L’investigatore deve allenarsi quindi a percepire con finezza psicologica lo stato emotivo del soggetto per poter vagliare e, se è il caso, sfruttare tale condizione reattiva. L’esperienza dei “navigati” investigatori evidenzia che la raccolta delle informazioni e l’interrogatorio, per risultare un efficace atto investigativo, deve seguire delle regole e delle tecniche specifiche.
Fra queste regole empiriche, la prima che si evidenzia è quella di riuscire ad avere una conoscenza preliminare del soggetto da sentire. Solo sapendo con chi si ha a che fare si può scegliere un certo sistema di indagine o un metodo di interrogatorio. Per ottenere questa conoscenza è sufficiente iniziare la conversazione chiedendo notizie in generale sulla sua vita (sugli studi, sulla famiglia, sul lavoro, sulle amicizie,…). Le notizie che si raccolgono in questa fase possono essere anche ovvie o poco utili, tuttavia sono importantissime perché stabiliscono una relazione interpersonale, creano una “atmosfera” emotiva e sulla base di questa potranno essere capite ed interpretate le notizie che successivamente si raccoglieranno.
La seconda regola da tener presente è di non avere fretta. Chi interroga non deve mai perdere la pazienza, deve mantenere sempre un contegno sereno, anche di fronte alla menzogna più spudorata ed alla reticenza più ostinata, e deve mostrare di avere davanti a sé tutto il tempo che vuole o che sia necessario (per cui l’interrogato può fare a meno di puntare sul temporeggiare o sul prendere tempo, perché non c’è una scadenza). Quanto più l’investigatore riesce ad imprime alla conversazione un clima di riflessione, tanto prima riuscirà ad arrivare alla verità. La serenità mentale schiarisce le idee, mentre la fretta, o peggio l’ira, annebbia la razionalità e la chiarezza mentale.
Una terza regola che l’interrogante deve tener presente è che deve verbalizzare tutte le dichiarazioni che via via gli vengono rese. Se queste appaiono in un secondo tempo contraddittorie, possono offrire l’arma per mettere in difficoltà la persona sulla quale si investiga, in quanto non possono essere negate o ritrattate delle precedenti affermazioni scritte. In ogni caso, agli occhi dell’investigatore, provano la sua voglia di mentire, di alterare la verità, cioè di una sua responsabilità o della partecipazione dell’interrogato sui fatti oggetto dell’indagine, anche senza una sua aperta ammissione.
Quindi è meglio colloquiare con calma, con serenità, ragionando e riflettendo. E’ necessario ricordarsi che al contrario la “vessazione” del soggetto interrogato, l’agire con aggressività o violenza, tale da intimorirlo, deve essere bandita, sia perché è vietata dalla legge, come vedremo più avanti, sia perché è improduttiva e controproducente. Non è mettendogli paura che si arriverà ad una confessione e non è trattandolo con rabbia o con violenza che lo si indurrà a collaborare.
Nelle fasi iniziali dell’interrogatorio è importante preparare psicologicamente l’interrogando, evidenziando la sua posizione come quella di un collaboratore che aiuta l’investigatore e la giustizia nell’accertamento della verità: non deve sentirsi considerato subito un colpevole, poiché questo attiverà tutte le sue difese, le chiusure, ed entrerà nel mutismo, bensì una persona utile per arrivare a capire cosa sia successo. La raccolta delle notizie, durante l’interrogatorio, deve essere eseguita da almeno due persone: uno che interroga ed uno che scrive (dandosi il cambio dopo alcune ore per non accusare troppo i segni mentali della stanchezza). Entrambi, prima di interrogare, devono prendere visione di tutti gli atti presenti nel fascicolo. Una piccola incertezza, o peggio un errore di chi conduce il colloquio, offre una potente arma psicologica all’interrogato che lo allontana sempre di più dalla confessione. Inoltre c’è da rilevare l’importanza dell’ambiente. L’interrogatorio deve avvenire in un locale con minimo mobilio, a finestre chiuse, senza arredamenti appariscenti o apparecchiature, senza telefoni che squillano o porte che improvvisamente si aprono e che possono intimorire o influenzare l’interrogato in momenti psicologicamente favorevoli. L’ambiente quindi non deve fornire stimoli, appigli, suggestioni, fantasie, o distrazioni.
Le domande poste, da trascrivere integralmente sui verbali, devono essere brevi, chiare, precise, facilmente comprensibili ed adeguate alle capacità intellettuali, culturali e sociali dell’interrogando. Fin dalle prime risposte dell’interrogato occorre formarsi rapidamente un’idea sul carattere psicologico del soggetto, per poi toccarlo con appropriate e mirate domande nei suoi punti deboli (come le sue vanità, le idee di persecuzione, i torti subiti, gli scatti nervosi,…) in cui sicuramente ha delle difese psicologiche più labili e fragili (per indurlo a “crollare” o smascherarsi), oppure seguendo attentamente le manifestazioni esteriori non verbali (come la mimica, il pallore, il rossore, i tremori,…) che seguono alle domande ed ai quesiti. Tanto più una domanda ottiene una risposta mimica e non verbale, tanto più ha colpito il bersaglio della sua emotività ed è un utile elemento per attaccare le sue difese. L’esperienza dimostra a questo proposito che è più facile far crollare il oggetto con la calma, il ragionamento e la ripetitività, che non con le minacce o l’esibizione della violenza verbale e fisica.
La persona sentita, a qualsiasi titolo, deve essere inizialmente invitata ad esporre spontaneamente quello che sa intorno al fatto, per ottenere da lei una deposizione genuina e non influenzata dalle domande e dalle suggestioni. Le domande per colmare le lacune, chiarire i punti oscuri o contraddittori e per precisare meglio i fatti descritti, devono essere rivolte successivamente in una fase di precisazione e chiarimento. Importante è ricordare che non devono essere effettuati apprezzamenti personali sul soggetto, la deposizione per essere valida deve avere una natura oggettiva. Ed ai fini dell’oggettività devono essere preferite le domande indeterminate, senza indicazioni dell’oggetto che si vuol conoscere (ad esempio, chiedere “cosa ha fatto ieri pomeriggio?”), rispetto alle domande determinate con indicazione dell’oggetto che si vuol sapere (come ad esempio, “è andato a trovare Caio?”), perché agevolano i ricordi spontanei e non attivano le suggestioni, le illusioni o i falsi ricordi. Devono essere preferite quindi le domande indirette (ad esempio, “chi ha visto?”) rispetto alle domande dirette (come ad esempio, “ha visto Tizio?”) perché possono suggestionare e non stimolare i ricordi in modo genuino. Devono essere quindi bandite tutte le domande a cui si può rispondere solo con un sì o con un no.
Il legale dell’interrogato deve essere trattato con estrema correttezza, il suo ruolo rientra nei meccanismi della giustizia e serve ad assicurare che tutto avvenga nel modo consentito e che non si incorra in futuri annullamenti delle indagini svolte, per un qualche vizio di forma, sempre possibile quando si agisce con la fretta o l’ira. I rilievi del difensore poi devono essere formalizzati sempre nella formulazione originale, così come sono stati detti.
Acquisire le informazioni tramite l’interrogatorio quindi richiede una fondamentale dose d’intelligenza per adeguarsi via via a quello che emerge, la capacità di comprensione dei moti del proprio intuito e, naturalmente, serve una buona dose di esperienza personale. Durante l’interrogatorio è necessario osservare attentamente i comportamenti e gli atteggiamenti espressivi non verbali delle persone interrogate, come ad esempio le reazioni insolite in chi non è direttamente coinvolto oppure l’ostentata indifferenza e tranquillità (la difesa) in chi è direttamente coinvolto. Sono delle valutazioni soggettive di supporto a delle valutazioni oggettive da cercare successivamente e da confermare o disconfermare nel corso delle indagini. Circa le dichiarazioni dell’interrogato possiamo affermare che sono attendibili quando:
- sono state date spontaneamente;
- riguardano fatti o cose su cui l’interrogato non ha alcun interesse personale;
- entrano in correlazione con fatti già noti;
- concordano con altre deposizioni.
L’interrogatorio è quindi definibile, a questo punto, come un globale processo di valutazione di un sospetto, di una vittima, o di un testimone, attraverso la formulazione di opportune (e mirate) domande, con lo scopo di trarre informazioni o correlare evidenze che possono essere utilizzate per l’identificazione dell’autore di un reato. L’interrogatorio è un atto investigativo che risponde alle necessità di:
- ottenere ammissioni o confessioni;
- ottenere informazioni su un crimine;
- scoprire l’identità dell’autore;
- scoprire i precedenti criminali del soggetto;
- provare o avvalorare i dettagli sul reato commesso.
Fra le tante tecniche proposte si può affermare che una delle modalità più oggettive per interrogare è nota come “intervista cognitiva”. L’intervista cognitiva nasce e si sviluppa in Inghilterra, prevede una sequenza prestabilita di attività che devono essere svolte in successione, e che sono descritte con l’acronimo “peace”:
p – preparation: è la fase di studio del fascicolo, dello sviluppo delle ipotesi preliminari e della scelta di una tecnica di indagine da seguire;
e – engagé, explain: è la fase di “ingaggio” della conversazione, della raccolta delle informazioni personali e della spiegazione del suo ruolo come di un collaboratore della giustizia;
a – account: è la fase di raccolta delle informazioni;
c – close: è la fase di chiusura del colloquio con il riassunto di quanto emerso;
e – evaluate: è la fase di valutazione investigativa di tutti gli elementi raccolti.
L’approccio cognitivo è diverso da ogni altra forma di interrogatorio in quanto utilizza i principi e le teorie della psicologia cognitiva, in questo modo si cerca di ridurre al minimo la soggettività. L’intervista cognitiva si pone inizialmente l’obiettivo di ricreare nella mente dell’interrogato il contesto entro il quale è accaduto l’evento criminoso, per poi chiedere al soggetto di riferire ogni cosa che riaffiori nella mente. In seguito, come per una forma di controllo, si chiede al soggetto di riferire gli eventi in ordine diverso rispetto alla normale sequenza già detta, oppure di poter mutare la prospettiva della scena, come se la osservasse un’altra persona da un’altra angolazione. Per affrontare l’intervista cognitiva è molto importante, per l’investigatore, prepararsi raccogliendo tutti i dati possibili, valutando i dati raccolti, effettuando quindi un’analisi dei dati così emersi per costruire delle preliminari ipotesi teoriche di riferimento.
In ogni fase dell’indagine è necessario acquisire le informazioni in modo formalmente ineccepibile. Ciò garantisce la loro piena utilizzabilità in fase processuale. L’ineccepibilità della raccolta richiede quindi il puntuale rispetto degli articoli del Codice di procedura penale (in modo particolare dell’art. 188 C.p.p.) che riguardano le modalità di assunzione delle informazioni.
Mentre per l’investigatore l’obiettivo dell’interrogatorio è di ottenere una piena confessione, per l’art. 188 C.p.p. l’obiettivo è il rispetto della corretta modalità con cui questa confessione è stata raccolta e di come dovrà essere poi documentata in fase processuale. In base al Codice di procedura penale le dichiarazioni non possono essere forzate, né estorte con minacce o violenze.
C’è da dire inoltre che l’investigatore incaricato delle indagini è la prima persona che prende contatto con l’indagato: non deve agire con aggressività o violenza poiché il prosieguo delle indagini dipenderà anche da come lui stabilirà questo contatto. Abbiamo già visto come sia importante, nella prima fase di un interrogatorio, riuscire a stabilire un contatto psicologico con il sospettato. Questo eviterà il mutismo assoluto anche di fronte a domande semplici. L’investigatore deve mirare a conquistare la fiducia dell’indagato (pur ritenendolo autore del reato) spiegandogli i vantaggi di un atteggiamento collaborativo, come la riduzione delle conseguenze negative della sua condotta delittuosa. Come inizialmente è stato detto, nelle fasi preliminari all’interrogatorio è determinante l’acquisizione di tutte le informazioni disponibili sul soggetto, dai suoi precedenti penali, alla storia personale fino alla situazione familiare (sapere che sono le persone più importanti per lui, in modo particolare i suoi riferimenti affettivi).
Sapendo chi sono le persone importanti per lui, si otterrà che il riferimento ai legami affettivi forti, soprattutto in chi delinque per la prima volta, sia un decisivo ed insostituibile strumento di persuasione e di convincimento alla collaborazione. Con il pentimento e la collaborazione potrà ottenere il perdono dalle persone amate, che gli staranno vicino nei momenti più difficili. La valutazione e la consapevolezza dei benefici ottenibili con una piena confessione è lo stimolo più importante per indurre l’indagato ad ammettere le proprie responsabilità.
Con l’esperienza ogni buon investigatore riesce a seguire il processo decisionale di un indagato, arrivando a capire quando la decisione a collaborare è prossima. L’empatia creata tra indagato ed investigatore deve essere mantenuta anche dopo la sua ammissione di colpevolezza, con successivi e continui rinforzi ed apprezzamenti.
Lo stato emotivo dell’indagato è quello di una persona che improvvisamente si trova in un luogo sconosciuto ed ostile, di fronte ad uno sconosciuto che vuole dimostrare la sua responsabilità in ordine ad un reato che presuppone l’incubo del carcere, con la conseguente perdita della libertà personale, degli affetti, del lavoro e della stima delle persone che conosce. La crescente paura e la marcata disperazione lo induce a contrastare le accuse con tutte le proprie forze.
Di fronte ad una netta contrapposizione di questo tipo l’investigatore deve cercare di ridurre il conflitto. Un buon argomento per questo è la già citata ricerca della verità, contrapposta alla ricerca di un colpevole. Mostrare quindi di cercare la verità e non la sua colpevolezza, rendendosi disponibile all’ascolto ed evitando giudizi morali sull’indagato. Mostrando “comprensione” è possibile far accettare piano piano all’indagato le proprie responsabilità e quindi ottenere collaborazione. Dopo la confessione è importante mantenere ugualmente la comprensione e l’empatia, in ogni caso vanno evitate le facili promesse. Ogni confessione può essere sempre successivamente ritrattata o modificata in maniera sostanziale.
A questo punto possiamo affermare in via definitiva che per interrogare è necessario conoscere non solo i dettagli dell’indagine, ma anche quelli dell’indagato. Questo permette non solo di porre le giuste domande, di valutare la veridicità delle risposte e di evitare di fornire notizie utili per la sua difesa, ma anche di sapere su chi e come è possibile fare leva per ridurre il conflitto ed indurlo alla collaborazione. Gli investigatori che non conoscono il caso, non devono quindi parlare con l’indagato.
L’esperienza dimostra che gli strumenti di convincimento alla collaborazione sono molto utili nel caso di persone alla loro prima esperienza criminale. Mentre per coloro che sono già inseriti in un contesto criminale è inutile riferirsi ad una “normalità” che non c’è. Solo di fronte a prove evidenti è possibile un’ammissione di responsabilità da parte dei criminali abituali. Tuttavia questi ultimi sono molto sensibili a discorsi su benefici o garanzie in cambio della loro collaborazione.
Come abbiamo più volte affermato, ai sensi dell’art. 188 del C.p.p. (sulla “libertà morale della persona nell’assunzione della prova”) sono vietati i mezzi illeciti o scorretti, come ad esempio sono considerati i tranelli psicologici.
I tranelli psicologici espongono il soggetto al pieno controllo di chi lo interroga e questo la legge non lo permette. Di questi tranelli psicologici, ripetiamo illeciti, ne ricordiamo alcuni:
- esagerare o minimizzare la gravità (suggestionare il soggetto sulla presunta gravità di un reato di poco conto, intimorendolo, o al contrario banalizzare un grave reato che se fosse una cosa da poco, illudendolo sul fatto che non sarà punito, o rassicurandolo)
- suggerire una motivazione positiva (come ad esempio che la vittima si è provocata da sola quanto le è successo);
- solidarizzare con l’accusato (chiunque al posto suo avrebbe fatto quello che lui ha fatto);
- richiamare la sua attenzione su inesistenti tremori, sospiri, fremiti, carenze di salivazione, pallori, rossori, come prova della sua colpevolezza.
Sono inoltre da considerare confessioni non attendibili, o non sostenibili durante le fasi processuali, quelle ottenute dopo periodi di isolamento, di paura, con ansietà, sotto gli stimoli della fame, dopo insonnia protratta, in fase d’ira, di angoscia, di dolore,… Sono tutte condizioni in cui vengono meno le funzioni razionali della mente e prevalgono le suggestioni emotive, per cui si ammetterebbe e confesserebbe qualsiasi cosa viene chiesta di ammettere o confessare.
Articolo 188 - Codice di procedura penale
“libertà morale della persona nell’assunzione della prova”
“non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti”.
I tranelli psicologici che si insegnano alle scuole dell’Fbi
knoweledge bluff – chi interroga comunica dettagli con il finto atteggiamento di saperne molto di più, facendo credere all’interrogato di avere delle notizie, da altre fonti, che in realtà non si hanno;
fixed line-up – indicazione del sospettato come colpevole da parte di finti testimoni;
reverse line-up – l’interrogato viene falsamente accusato da parte di simulati testimoni di un reato molto più grave di quello di cui è sospettato;
bluff on a split pair – mettere in mano all’indagato una finta confessione dattiloscritta del complice, che lo accusa della responsabilità del reato commesso;
il dilemma del prigioniero – se gli imputati sono due, metterli uno contro l’altro, facendo credere a ciascuno che l’altro ha confessato, accusandolo di correità, e sfruttando quindi la reciproca mancanza di fiducia.
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