Il fenomeno non è nuovo, ma ha subito una grande accelerazione negli ultimi anni. Crescono i divari sociali anche nei paesi più ricchi
A centinaia, forse migliaia, percorrono le strade del nostro Paese, con la mano tesa.
Gettati per terra come stracci o aggirantisi tra le auto in coda. Sono loro, il popolo degli indigenti, dei reietti.
La schiera di coloro che per sopravvivere chiede l’elemosina.
La mendicità è un fenomeno antico quanto la storia dell’uomo, ma recentemente si è imposto ai nostri occhi per la sua proliferazione che ha investito le città. In pochi anni ogni angolo si è riempito di uomini alla mercé di possibili benefattori che permettano loro di arrivare a fine giornata. Ad aggravare la situazione, la flotta di minori costretti a mendicare, per necessità o costrizione. In Italia sono ben 8mila i bambini costretti all’accattonaggio.
Quanto mai sorprendente il numero dei mendicanti italiani in continuo aumento. Il carovita ha infatti condizionato anche le famiglie normali, riproponendo un’insolita forma di baratto.
I dati emessi lo scorso semestre dal ministero dell’Interno parlano di 477 denunce e 22 arresti per sfruttamento di minori in accattonaggio, nel solo periodo compreso tra il 30 ottobre e il 15 dicembre 2003. A far da capolista nella poco lodevole classifica degli sfruttatori provetti, è la Lombardia, con 102 persone denunciate dalle Forze dell’ordine all’autorità giudiziaria, seguita dalla Campania con 70 denunciati. Nel Lazio le persone fermate sono state 57, in Veneto 35 mentre in Emilia Romagna e Liguria si aggirano intorno ai trenta.
La normativa vigente non prevede pene per coloro che chiedono l’elemosina, purché ciò non venga fatto in modo ripugnante o vessatorio, fingendo deformità o adoperando mezzi fraudolenti al fine di destare la pietà altrui.
Mentre prima del 1999, anno di abrogazione, si leggeva all’articolo 670 del Codice penale: “Chiunque mendica in luogo pubblico o aperto è punito con l’arresto fino a tre mesi”.
Invariata è invece la pena per l’impiego dei minori nell’accattonaggio: arresto da 6 mesi a 1 anno per chi si avvale di un minore di quindici anni per chiedere l’elemosina. Se poi a spingere il minore è un genitore o un tutore, la condanna comporta la sospensione dell’esercizio della potestà dei genitori o dal ruolo di tutore.
Il fenomeno dell’accattonaggio minorile ha subito un’impennata a ridosso degli anni ‘80, allorché frotte di bambini di origine slava venivano traghettate sulle nostre coste e spinte a chiedere l’elemosina lungo i marciapiedi. Ad oggi, accanto a queste 3-4mila presenze sul territorio nazionale, si sono aggiunti fanciulli provenienti dal nord Africa e dall’Albania, sempre più vittime di organizzazioni dedite all’immigrazione clandestina.
Le pene, come s’è visto, sono tutt’altro che incoraggianti ma la loro applicazione è rara perché rara è l’individuazione dei colpevoli.
Onde scongiurare interventi tanto drastici come la sospensione della “patria potestà”, i ricercatori invitano alla moderazione e cercano nell’analisi del fenomeno eventuali soluzioni.
I media, e non solo, parlano spesso della mendicità come una piaga da estirpare, un insulto al decoro, l’emblema della nullafacenza, ma dietro questo semplice gesto si nascondono spesso drammi umani. “Molti di questi bambini – dice Gianna Schelotto, psicoterapeuta – rappresentano una fonte di reddito per i genitori. Un fatto che scandalizza noi, non le loro famiglie. Credo che ci vorrà molto tempo, forse un equivalente economico da offrire e un grande lavoro di approfondimento, per venire a capo del problema”.
Così, se il contrasto alla mendicità non è supportato da adeguati strumenti di reinserimento nella società, si rischia semplicemente di cadere in azioni repressive. Questo il Comune di Roma lo sa e da oltre un anno ha istituito un centro diurno – patrocinato dall’Unicef - e supportato da un’unità di strada specializzata. L’obiettivo è quello di togliere i minori dall’obbligo di chiedere l’elemosina e agevolare le famiglie nella ricerca di mezzi di sostentamento. Quando poi le famiglie mancano o i bambini sono vittime di racket parentali o non, interviene anche il Tribunale dei minori.
Il progetto è nato il 17 gennaio del 2003 su iniziativa del sindaco di Roma, Walter Veltroni e degli assessori Raffaella Milano e Pamela Pantano, che in occasione della campagna hanno ribadito: “Ogni bambino ha diritto a vivere come bambino e l’obbligo all’accattonaggio li costringe a una vita non consona alla loro età”.
L’intento non è quello di sostituire il centro diurno al pronto intervento, bensì quello di attivare interventi mirati di vigili, polizia e carabinieri, consentendo al tempo stesso di monitorare il fenomeno.
Mentre il principio ispiratore è la legge 285 del ’97 che è il principale strumento di attuazione della Convenzione internazionale dei Diritti dell’Infanzia, ratificata da quasi tutti paesi del mondo. Essa invita Comuni, singoli o associati, a promuovere condizioni di vita dirette a garantire a tutti i bambini e le bambine, una crescita equilibrata e dignitosa. Proprio da tale normativa sono giunti i fondi – 150mila euro – che il Comune ha potuto stanziare per il progetto.
Lo staff si compone di 10 persone: 1 coordinatore, 2 educatori dell’infanzia, 2 mediatori culturali, 1 vigile Nae, 1 medico pediatra, 1 mediatore culturale rom, 1 consulente informatico e 1 psichiatra infantile.
A più di un anno di distanza, i risultati dell’iniziativa capitolina sono incoraggianti. “Certo – commenta il decano dei sociologi, Franco Ferrarotti – la situazione romana non ha nulla a che vedere con la drammatica realtà di altre infanzie. Penso ai ninos delle rua, ai bambini delle baraccopoli del Sud America, o a quelli che vivono nei tombini, nelle grandi capitali dell’Est europeo. Ma – continua – intanto il progetto del Comune ha il merito di sensibilizzare l’opinione pubblica”.
L’esperienza si è concretizzata in centinaia di interventi effettuati dall’équipe del Centro, e nell’accoglienza di 37 bambini di età compresa tra i 6 e i 16 anni. Dal febbraio 2003 gli operatori sono entrati in contatto con 340 minori, di cui 167 transitati per il Centro. A febbraio poi si è unito il prezioso supporto dell’Unità di strada che ha il compito di effettuare interventi di prevenzione sul territorio cittadino, unitamente al numero gratuito cui segnalare bambini vittime di mendicità. In meno di sei mesi sono giunte già più di 600 chiamate.
Il lavoro di intervento è stato agevolato dalla forte sinergia tra operatori specializzati e i Nuclei assistenza emarginati dei Vigili Urbani della Capitale.
Dal canto loro, i cittadini hanno concorso alla riuscita del progetto inviando numerose segnalazioni al Comune.
A giudicare favorevolmente l’iniziativa è anche lo psicoanalista Giovanni Bollea: “Lodevole iniziativa – dice – I bambini vanno tolti subito dalla strada, ma occorrerebbe almeno un centro diurno ogni due circoscrizioni per sperare in una vera realizzazione del progetto”.
Ad oggi la sede dell’iniziativa è in via Boccea, appena prima del Grande Raccordo Anulare, in un villino a tre piani fornito di tutti i servizi utili alla prima accoglienza dei minori e, eventualmente, delle loro famiglie.
A Roma, infatti, si stima che i bambini ridotti all’accattonaggio, in situazioni durissime, siano circa 300. È per loro che la Giunta capitolina tenterà di potenziare in tempi brevi le esperienze già in atto, con il tentativo di radicare sempre più questi interventi nel territorio.
Ma un po’ in tutta Italia fanno eco esperienze analoghe. È il caso di Torino dove la Prefettura ha siglato, il 19 giugno 2003, un protocollo di collaborazione con il Comune e con le Autorità consolari della Romania per il rimpatrio dei minori vittime di sfruttamento, per il loro reinserimento nelle famiglie. Previa tutela dei minori nei luoghi di residenza.
A Napoli invece il Comitato provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica si è occupato della questione in due assemblee pubbliche, nel corso delle quali sono state individuate alcune strutture di accoglienza e di assistenza per i bambini.
“Nel capoluogo campano – afferma Francesco Seccia, responsabile dell’Osservatorio sul lavoro minorile – ogni giorno un piccolo esercito di bambini immigrati, ma non solo, passa intere giornate a chiedere l’elemosina ai semafori, a vendere fazzolettini, a lavare i vetri delle auto. Occorrono interventi per salvaguardare il diritto di ogni minore ad una vita dignitosa”.
Una grossa campagna contro lo sfruttamento dei minori per accattonaggio è stata condotta a Cosenza, dove attraverso l’operazione “Spezzacatene” sono stati assicurati alla giustizia 13 cittadini della ex Jugoslavia, indagati per associazione a delinquere finalizzata alla commissione del reato di riduzione in schiavitù di piccoli dediti alla mendicità.
Ad interessare invece l’intero territorio nazionale è stata l’operazione “Infanzia violata”, realizzata tra il 30 ottobre e il 15 dicembre 2003 nel corso della quale sono finite in manette ben 22 persone.
La questione della riduzione all’accattonaggio è stata dibattuta anche durante l’ultimo forum tenutosi a maggio a Firenze. Ad intervenire centinaia di bambini ex lavoratori, provenienti dalle aree più disparate del mondo: “Nessuno di noi ha avuto scelta – ha detto per tutti David, 15 anni, brasiliano – Era l’unica maniera per mangiare”.
Dal canto loro molti genitori confessano di aver spinto i loro figli a lavorare o a mendicare per necessità: “Lo faccio lavorare perché non c’è alternativa, siamo poveri”, ha dichiarato una madre tra le lacrime.
Ma è proprio da Firenze che arriva un segnale positivo: “L’alternativa c’è. – gridano i bambini – Basta cercarla”.
E dall’Oil (Organizzazione Internazionale del Lavoro) fanno sapere che, dati alla mano, eliminare il lavoro minorile dal mondo porterebbe benefici economici pari a 5.100 miliardi di dollari nell’arco dei prossimi 20 anni.
Un caso a sé è la questione della mendicità del popolo Rom, affatto nuovo alla pratica dell’accattonaggio che anzi ritiene “una forma di resistenza passiva nei confronti della società maggioritaria”, come dichiara il professor Santino Spinelli, docente di Cultura e Letteratura Rom all’università di Trieste. Spinelli, discendente di un’antica famiglia di origine Rom, giunta in Italia più di sei secoli fa, commenta: “La questua, detta nella nostra lingua menghèl è una maniera molto forte per dire: ‘Esisto anch’io!’”.
E ricorda che: “l’accattonaggio è venuto fuori quando le repressioni contro i Rom sono diventate sistematiche e questo popolo, non potendo controbattere con le armi, ha deciso di utilizzare il menghèl per dichiarare la propria volontà di non essere bellicosi, ripiegando su un atteggiamento apparentemente umile ma che serba in sé una fortissima resistenza alla sottomissione che il potere impone a chi è diverso”.
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