La risorgenza della violenza antiebraica ha come protagonisti i giovani di origine magrebina che vivono nelle periferie ghettizzate, e viene alimentata dalla propaganda di varie televisioni arabe
“La Francia ferita”. Cosi’ titolava il quotidiano Le Monde del 6 giugno, commentando l’aggressione avvenuta, due giorni prima, a Epinay-sur-Seine.
Uno studente ebreo della locale scuola talmudica è stato aggredito da uno sconosciuto che, al grido di “Allah Oukbar”, gli ha piantato nel torace un coltello da macellaio di 30 cm. Gli attestati di solidarietà delle personalità pubbliche e di alcuni dirigenti della comunità musulmana, non hanno tranquillizzato la comunità ebraica francese, sempre più inquieta. Le aggressioni e le violenze contro gli ebrei in Francia hanno raggiunto livelli impressionanti. Profanazioni di tombe, insulti, minacce, pestaggi di gruppo, spintoni, sputi. La lista recensita dal Conséil des Institutions Juives lascia sbalorditi.
Per il numero degli atti antisemiti, per la violenza e per l’odio che motiva tali atti.
Le persone sono attaccate solo ed esclusivamente perché sono, o sono percepite come ebree. Una risorgenza di violenza antiebraica che ha preso molti alla sprovvista anche perché a perpetrarla sono solo raramente giovani dei gruppi di estrema destra. Il nuovo antisemitismo ha invece come protagonisti in grande maggioranza giovani “beurs” come sono chiamati i francesi di origine magrebina della seconda o terza generazione. Vittime a loro volta di un razzismo strisciante della Francia “bene” e concentrati in alcuni quartieri ghetto questi giovani non si sentono affatto francesi. Rigettano le istituzioni e lo stato, considerati come nemici. E aderiscono all’islam, non come tradizione familiare o come fede spirituale vissuta nell’intimo ma come identità. La fonte di riferimento diventa quindi il Corano e il Profeta Maometto. Tutto il resto non conta. Perché a farla da padrone sono i sermoni degli imam delle moschee. E i commentatori di Al-Jazeera e Al-Arabia i cui telegiornali, dietro la parvenza di un’informazione tecnologica e immediata, non fanno altro che incitare gli spettatori musulmani all’odio e al disprezzo del mondo occidentale. E di Israele. Presentata come nazione spietata, prevaricatrice, assassina, etc. La presentazione delle notizie riguardanti il conflitto israelo-palestinese e la stessa sproporzionata attenzione che esso riceve nei media è stata oggetto di accurate analisi. Un uso strumentale delle notizie, delle immagini e della titolazione tende a presentare il conflitto e la sua complessità in maniera semplicistica e manicheistica. In questa visione distorta gli israeliani e per estensione tutti gli ebrei sono presentati, sempre e comunque, come cattivi e malvagi.
A questo si aggiunge il fatto che in diverse reti arabe vadano per la maggiore sceneggiati televisivi che ripropongono incessantemente “Il protocollo dei Savi di Sion”. La trasposizione cinematografica del famoso falso storico, summa di tutti i pregiudizi antiebraici, viene riproposto incessantemente nei paesi arabi e, tramite le antenne satellitari, nelle case degli immigrati musulmani in europa, Francia compresa. Da qui l’indottrinamento di una larga parte della popolazione musulmana che, rifiutando l’integrazione, sposa acriticamente l’islam politico. Con tutti i suoi corollari. Antigiudaismo compreso. “Vietato l’ingresso a spie, omosessuali ed ebrei”. Scritte del genere, sui muri dei quartieri ad alta densità musulmana, lasciano ben intendere quale è il clima culturale che regna sovrano. Clima del quale fanno le spese anche gli agenti di Polizia, le spie appunto. Un lavoro difficile quello dei poliziotti dei quartieri difficili che devono operare in contesti che sono considerati “territori persi dalla repubblica”. E, al contempo, lavorare con la tensione di avere la spada di Damocle dell’accusa di razzismo pronta a cadere sulle teste al minimo incidente. Recentemente alcuni esperti di antisemitismo stanno tenendo una serie di seminari di sensibilizzazione all’indirizzo degli agenti di Polizia delle periferie nord di Parigi in modo da meglio organizzare il lavoro di prevenzione sul terreno. D’altronde l’antisemitismo non è l’unica piaga in piena rinascita. “È scandaloso che coloro che si sentono choccati dal foulard non si scandalizzino per l’omosessualità” ha tuonato uno degli organizzatori alla manifestazione contro la legge sulla laicità nelle scuole lo scorso 17 gennaio.
Bertrand Delanoe, sindaco di Parigi dichiaratamente omosessuale, era stato accoltellato il 5 ottobre 2002 da un giovane di origini algerine che aveva poi detto di “disprezzare i politici e i gay”. E dove si incontra l’antisemitismo e l’omofobia, la misoginia non è molto lontana. I quartieri “perduti dalla repubblica” sono, tra le altre cose, divenuti spazi in cui i rapporti tra uomini e donne sono degradati. Le ragazze sono spesso considerate “puttane” a meno che, ovviamente, non indossino il velo. Da qui l’insorgere di casi di ragazze velate nelle scuole pubbliche che ha generato il dibattito culminato nell’approvazione della legge sulla laicità nelle scuole. La legge, definita da vari commentatori europei “razzista e islamofoba” ha invece riportato ordine laddove degli spazi legislativi che si prestavano a varie interpretazioni, hanno lasciato varco aperto alle manifestazioni dell’islam politico nelle scuole. Creata per separare gli spazi pubblici dalla sfera privata e dall’influenza della religione, la legge non lede in alcun modo la libertà religiosa in quanto ad essere sanzionati sono solo le tenute vestimentiarie ostentatorie quali veli islamici, kippah ebraiche o croci di grosse dimensioni.
L’atteggiamento provocatorio di molte di queste ragazze, che si rifiutavano di scendere a compromessi, ha gettato una luce sul fenomeno dell’indottrinamento islamico che colpisce, seppur in misura diversa, anche le ragazze. Fadela Amera, fondatrice del movimento Ni putes ni soumises (Né puttane, né sottomesse) ha ricordato chiaramente, nel corso di vari dibattiti alla televisione francese, come il velo non sia affatto un obbligo religioso ma un simbolo politico che denota la sottomissione femminile. La Amera parla a ragion veduta, lei musulmana laica che si batte per i diritti delle donne nelle cités. Come tante altre che vogliono essere considerate, prima di ogni cosa, donne. E cittadine della repubblica. Le attiviste del movimento, di varie origini etniche e aiutate da giovanotti solidali, lottano incessantemente contro il sessismo dei quartieri difficili e delle scuole. Nelle quali insulti come “sporco ebreo”, “troia”, o “finocchio” sono ormai banalizzati talmente il loro uso è quotidiano. Il deterioramento della condizione delle donne non si limita al contesto scolastico. Ma entra negli ospedali e nei reparti maternità. Dove spesso la direzione è obbligata a scrivere “il personale di servizio è misto” al fine di avvertire i mariti musulmani che pretendono, a volte con la violenza, che le proprie mogli siano assistite solo da personale femminile. O arriva nelle piscine. Dove, nelle cittadine ad alta concentrazione musulmana, si pretende che ci siano orari di apertura separati per uomini e donne. Contro queste derive inquietanti è arrivata la legge sulla laicità. Anche se non basterà senza un cambiamento di rotta delle politiche sociali del governo e senza che lo stato si riappropri degli spazi pubblici. Per rendere chiaro il concetto che la legge è uguale per tutti. Come ha ribadito a chiare lettere, durante un dibattito televisivo, la preside di un liceo. Le ragazze di Ni putes ni soumises non demordono. Accanto a loro molti altri uomini e donne di cultura musulmana che hanno sottoscritto l’appello “Ritrovare la forza di una laicità vivente” condannando al contempo la giudeofobia, il sessismo e l’omofobia. E respingendo così l’islam politico.
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