Siulp
La Segreteria provinciale di Roma comunica: “Dopo tanta sofferenza e con tanta enfasi è nata la nuova cattedrale del deserto. Il nuovo Ufficio Immigrazione della questura di Roma è stato catapultato nell’estrema periferia romana in via Magnasco a Tor Sapienza, per la gioia di pochi e per l’infelicità di tanti (operatori ed utenti). In questo nuovo ufficio sono stati trasferiti più di 200 operatori, tra addetti all’Ufficio Immigrazione e uomini della Polizia Scientifica preposti al fotosegnalamento sia dei cittadini stranieri sia di quelli italiani.
Per ironia di una sorte, molto prevedibile, nella nuova sede non esistono collegamenti telefonici tantomeno quelli telematici, quindi non potendo effettuare i riscontri normativi, chiunque attenda al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno si dovrà armare di umana pazienza sino a quando... non si sà! L’unica certezza è che per ora l’Ufficio Immigrazione della questura di Roma ha un arretrato di pratiche circa un anno e questo ulteriore fermo di certo non migliora la situazione!
Migliore sorte, di certo, non è capitata agli operatori di Polizia della Capitale perché nel caso in cui debbano procedere al controllo e al fotosegnalamento di un cittadino straniero, dovranno attraversare l’intera Capitale e una volta giunti nella nuova cattedrale nel deserto, non funzionando nulla, dovranno tornarsene nei rispettivi uffici e trattenere il cittadino sino a quando... non si sà, oppure lasciarlo andare senza aver operato gli opportuni adempimenti.
La logica vorrebbe che un qualunque trasloco preveda prima l’adeguamento totale dell’immobile da occupare e soltanto poi far avvedere gli eventuali conduttori. In questo caso è avvenuto l’esatto contrario, ed infatti ci sono 200 operatori impossibilitati ad erogare un servizio. Questa cattedrale nel deserto seppur bella è assoculamente vuota. Nell’immenso deserto dell’inefficienza pubblica non c’è nulla.
Mentre stiamo scrivendo al di fuori di questa cattedrale come primo giorno ci sono migliaia di cittadini in attesa di un loro diritto che lo Stato non è in grado di assicurare. (Carta e Mainardi, Segretari provinciali)”
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La Segreteria provinciale di Pesaro comunica: “Sembra che il ministero della Difesa non voglia più cedere l’area di via Lamarmora per permettervi la costruzione della nuova questura. Sembra che nessuno, tranne gli operatori di Polizia ed i cittadini, voglia che la nostra città abbia finalmente una questura funzionale ed efficiente. Se è comprensibile che le lamentele di pochi poliziotti per le precarie e difficili condizioni nelle quali sono costretti a lavorare vengano ignorate è altresì inaccettabile che il diritto alla sicurezza di una intera città sia così palesemente calpestato. Dove sono o cosa fanno il prefetto, il questore, il sindaco e i rappresentanti politici locali? Chi, se non loro, hanno il dovere istituzionale di promuovere e realizzare tutte le iniziative possibili al fine di garantire la sicurezza dei cittadini? Come è possibile che oramai da quindici lunghi anni si trascina irrisolta, senza di fatto nessun passo in avanti, una questione così fondamentale per la vita della nostra città? Eppure, si stanno moltiplicando gli episodi criminali che avvengono nella nostra provincia: una decina di rapine nello scorso mese di gennaio, il degrado continuo del centro storico, il traffico ed il consumo di droga in crescita, le imprese delle baby gang. Cosa aspettano coloro che ne hanno la responsabilità ad intervenire? Il prefetto crede che il tutto si possa risolvere chiedendo al ministero dieci poliziotti di quartiere? Il prefetto sa bene che i problemi sono altri. Prima dei dieci poliziotti di quartiere mancano almeno quaranta agenti di Polizia per risolvere le gravi carenze d’organico degli Uffici investigativi, delle Volanti, dell’Ufficio immigrazione, degli Uffici che hanno il compito di monitorare l’attività e le infiltrazioni criminali nel nostro territorio. Solo se arriveranno questi uomini e non i dieci poliziotti di quartiere si riusciranno a contrastare i furti negli appartamenti e le rapine in banca e alle Poste. Richiedere dieci poliziotti di quartiere significa soltanto cercare di abbassare la percezione di insicurezza dei cittadini e non incidere di fatto sui reali problemi della città. Talvolta per mancanza di personale si hanno grosse difficoltà o addirittura non si riesce a comporre una sola auto di pattuglia. È ora di trovare una soluzione per la nuova questura, la cui sola creazione permetterebbe una razionalizzazione del personale ed il recupero di svariati uomini.
Se è vero che il ministero della Difesa non intende cedere l’area di via Lamarmora perché il prefetto ed il questore non intervengono con forza presso le sedi ed autorità competenti? Leggo che l’assessore ai Lavori pubblici Ceriscioli, allargando le braccia, così commenta la notizia: ‘Nel Prg l’area è destinata alla nuova questura e non sarà possibile costruirci altro, ma se il ministero non vuole cederla non possiamo farci nulla’. Non possiamo farci nulla? Purtroppo, rispondo a Ceriscioli, avete già fatto molto togliendoci l’area dell’ex carcere, sinora inutilizzata, e che senza gli ostacoli posti dal Comune e dalla Provincia, probabilmente vedrebbe parte della nuova questura già edificata. Nonostante questo potreste fare ancora molto, o almeno quello che hanno fatto innumerevoli Comuni più sensibili al problema sicurezza che hanno trovato e destinato aree di loro proprietà alla costruzione di edifici e strutture per le Forze di polizia...”
Silp-Cgil
Il Segretario provinciale di Genova Roberto Traverso comunica: “I continui ed inarrestabili processi evolutivi che caratterizzano la cosiddetta società moderna, da un certo punto di vista hanno migliorato lo standard di vita presente nei paesi consumistici ma hanno anche reso tale esistenza ricca di rischi, ansie e timori. Ecco perché il termine ‘sicurezza’ rappresenta oggi un fertile campo su cui seminare per investire in consenso e trarre così ‘profitto politico’.
Ovviamente la sicurezza dovrebbe essere garantita ai cittadini in ogni momento ed in ogni dove: sui luoghi di lavoro, sulle strade cittadine, nelle case, negli stadi ecc. Emergono però le reali e concrete difficoltà che si pongono tra il progetto e la sua realizzazione. Sino a quando non si radicherà nelle persone la cultura della ‘sicurezza’ sarà molto difficile raggiungere l’obbiettivo preposto.
La regola d’oro ‘Prevenire è meglio che curare’ è sempre più attuale e per esempio è stata ampiamente recepita nell’ambito della norma regina tra quelle che si occupano di sicurezza sul lavoro, ovvero il d.lgs 626/94. La prevenzione, già, gran bella parola. È dimostrato che inserire il concetto preventivo all’interno di un qualsiasi processo produttivo, determina una diminuzione dei costi gestionali sul lungo periodo. Pertanto la riduzione degli infortuni sul lavoro oppure dei reati contro il patrimonio determina un fisiologico calo dei costi. Tutto bene allora? Purtroppo direi proprio di no! Non è così semplice, e il motivo sta in un aspetto economico molto elementare, ovvero: ‘per ottenere benefici sul lungo periodo occorre investire, e molto, subito!’ Tale regola poco si addice alle ristrettezze economiche con le quali devono fare i conti molti settori economici ed anche il nostro Comparto Sicurezza.
Le sempre più stringenti esigenze di bilancio del ministero dell’Interno (confermate recentemente dal Capo della Polizia) incidono negativamente sulla funzionalitàdel nostro settore sotto due aspetti. Ovvero sia per quanto concerne la sicurezza passiva degli operatori, delle strutture e dei mezzi, (vedasi gli ignobili attentati subiti qui a Genova), che sulla sicurezza attiva che il Comparto Sicurezza deve garantire alle persone che vivono sul territorio nazionale. Speriamo che finalmente si prenda coscienza del fatto che la sicurezza non ha prezzo; e che quindi occorrono investimenti seri e non solo slogan sull’argomento! Solo svincolando le ‘politiche sulla sicurezza’ dai rigori imposti dalle logiche di bilancio, potremo rispondere in modo adeguato ad un’esigenza sempre più pressante di tranquillità sociale. Per farlo occorrono strumenti all’avanguardia che sfruttano la tecnologia che avanza vertiginosamente. Bisogna far presto però, per evitare di restare fermi al palo”.
Uilpa Penitenziari (Unione Italiana Lavoratori Pubblica Amministrazione).
Dichiarazione di Massimo Tesei, Segretario generale Uilpa-Penitenziari: “Il ministro della Giustizia, sen. Roberto Castelli, ha inaugurato l’istituto di S. Angelo Lombardi, già attivato parzialmente da oltre due mesi. La struttura, peraltro, opererà ancora parzialmente, non si sa per quanto tempo. Non risolverà, quindi, i problemi di sovraffollamento che affliggono gli istituti della regione campana e delle regioni limitrofe. Il provvedimento è stato già duramente contestato dal Coordinamento regionale Uilpa-Penitenziari Campania, perché, tra l’altro, ha contribuito ad aumentare il disagio del personale negli istituti campani e delle altre regioni del Sud, cui sono state sottratte le unità necessarie all’apertura, e non sta contribuendo, peraltro, all’attenuazione del sovraffollamento già citato.
Ancor più preoccupante, però, è quanto dichiarato dal ministro Castelli nel corso della conferenza stampa seguita all’inaugurazione. Il Ministro ha annunciato l’intenzione dell’Amministrazione di aprire altre 23 strutture penitenziarie in osservanza del piano edilizio già approvato, senza procedere ad alcuna assunzione contestuale di personale del Corpo di Polizia Penitenziaria che, a suo giudizio, è in evidente esubero rispetto ai parametri europei. Di quali parametri poi si tratti è tutto da scoprire. Già in passato abbiamo richiamato l’attenzione sul fatto che in nessuno dei paesi europei, gli omologhi della Polizia Penitenziaria attendono alle incombenze affidate al Corpo, soprattutto in tema di rieducazione, traduzioni e piantonamenti ed, infine, incarichi amministrativi per sopperire alle carenze del personale del Comparto ministeri previsto per tali incombenze. Quali che siano i dati in suo possesso, l’atteggiamento del Ministro fa emergere una contraddizione difficilmente occultabile. Questo Coordinamento, unitamente a tutte le altre organizzazioni sindacali del Corpo di Polizia Penitenziaria, salvo le due-tre plaudenti dell’inevitabile coro che si accoda ai potenti, da anni, lamenta l’inadeguatezza dell’organico di tutto il personale. Fattore che, unito ad una gestione irrazionale, comprime i diritti degli operatori e impedisce un equilibrato funzionamento degli istituti, uffici e strutture.
È naturale che, sulla base di queste lamentele, si operi un raffronto. O si presume che le organizzazioni sindacali si esercitino a mistificare la realtà, travisando cifre e fatti o i dati del Ministro non sono poi così inoppugnabili oppure esiste un’incapacità gestionale dei responsabili del Dap a tutti i livelli che determina la compressione dei diritti del personale. Non si spiega altrimenti una gestione quotidianamente emergenziale a causa della quale le traduzioni dei detenuti si effettuano sempre sotto scorta, la sorveglianza esterna armata sulle garitte è ridotta ad esercizio virtuale, nei piani di sezioni e reparti i detenuti sono controllati da un solo agente e quasi ovunque senza sistemi d’allarme, si effettuano centinaia di migliaia di ore di lavoro straordinario solo per completare quello ordinario fissato per legge. Un sistema per verificare le nostre valutazioni lo abbiamo suggerito da tempo al ministro sen. Castelli: una verifica dell’organico basata sul rilevamento dei posti di servizio esistenti, del personale impiegato e di quello effettivamente presente nelle strutture. In pratica un rilevamento delle concrete esigenze e dei carichi di lavoro individuali e collettivi. Visto, poi, che il Ministro si è più volte dichiarato entusiasta del sistema penitenziario americano, abbiamo proposto un rilevamento sullo stato di automazione dei punti di accesso e passaggio, sia interni che esterni, degli istituti oltre che dei cancelli delle celle. Sarebbe, così, possibile procedere ad una programmazione per recuperare rilevanti risorse umane. Da non destinare, possibilmente, come accade oggi con crescente frequenza, ad uffici e servizi ministeriali anche in esubero rispetto ai parametri ‘carcerari’ italiani. Stando a quanto dichiarato in conferenza stampa, però, sembra che al ministro della Giustizia, sen. Castelli, questo confronto non interessi affatto. Il programma di fondo di questo governo, un programma alla fine si percepisce, è, infatti, quello di tagliare le spese e, quindi, unità di personale. Non certo quello di garantire funzionalità e sicurezza anche delle strutture penitenziarie, come sbandierato in campagna elettorale. A disattendere le promesse, di tornata elettorale in tornata elettorale, tuttavia, i nodi vengono al pettine ed i poliziotti penitenziari ed i loro familiari sono anche elettori... ed hanno la memoria lunga”.
Siap
La Segreteria provinciale di Agrigento comunica: “I meriti degli ultimi 43 arresti avvenuti nella nostra città vanno, esclusivamente, all’ottimo lavoro organizzato dal dirigente e del suo vice della Squadra Mobile e a tutti gli operatori di Polizia che si sono distinti, con il loro impegno, a dare un eccellente contributo ad un’indagine veramente complessa e portata a termine con grandissimo successo. Un’operazione minuziosa che ha confermato il talento dei poliziotti della questura di Agrigento. Un plauso vada a tutti i colleghi degli Uffici di Polizia della provincia e a quelli di altri Reparti e questure dell’isola che hanno collaborato agli arresti. Ringraziamenti vadano alla Dda di Palermo per aver coordinato le indagini e spiccato gli ordini di arresto di parecchie persone apparentemente insospettabili. Visto che si è trattato di un’operazione di Polizia le cui indagini vengono dal passato, gli arresti, portano ancora lustro alla questura di Agritento, purtroppo, penalizzata dagli ultimi trasferimenti”.
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