Il protagonista del romanzo di Maurizio Matrone (scrittore poliziotto) è uno zingaro, che nasconde un mistero
“Il mio nome è Tarzan Soraia. Sono uno zingaro. Sono un sinto... Sono scappato perché non ce la facevo più a stare lì. Io abitavo al campo vicino al lago. Ma non so che lago è. I miei sono morti ma nessuno mi ha detto come... Mi menavano i miei fratelli e anche le mie sorelle... Allora sono scappato. Io non so dove sono nato. Non so veramente quanti anni ho. Io credo che ho diciassette anni il giorno dei botti. Però io so che il mio nome è Tarzan Soraia”.
Comincia così l’ultimo romanzo di Maurizio Matrone, “Il mio nome è Tarzan Soraia” (Frassinelli editore - pagg 256 - e 14,00).
Il protagonista è un ragazzino brunno, sporco, balbuziente. Dice di chiamarsi Tarzan Soraia; si dichiara uno zingaro organo, fuggito dai fratelli perché stanco di essere picchiato, deriso e costretto a rubare e a chiedere l’elemosina per la strada. Cerca rifugio a Bologna e chiede aiuto alla caserma dei Carabinieri.
Attira subito l’attenzione, è veramente brutto, forse non più di altri zingarelli arrivati alla caserma, ma ha qualcosa di diverso: non è strafottente, quasi non parla. “...Quel Tarzan ha lo sguardo obliquo, un occhio cascante, l’altro con un tic, il labbro quasi leporino. Se ne sta lì, poi, come un cane bastonato tormentandosi continuamente le mani, le dita...”. Il suo racconto è pieno di lacune e i primi accertamenti risultano infruttuosi così viene destinato ad un centro di accoglienza per minori “difficili”.
Qui, oltre agli educatori, incontra gli altri ragazzi ospiti della casa: Maruska (di cui si innamorerà), Alì, Alberto e Nadine, ognuno alle prese con i loro drammi. Come lui, tutti hanno un passato triste, una vita segnata dal dolore e dall’emarginazione. Non è certo un ambiente sereno, ma presto viene accettato dal gruppo, che si prende cura di lui, così comincia la sua nuova vita, una vita fino a quel momento ritenuta impensabile. Con loro impara cos’è l’amicizia, impara a fidarsi e in lui nasce la speranza per un futuro come lo aveva da sempre sognato.
Intanto la Polizia si muove per stabilire da dove venga quel ragazzino spaventato, ma i racconti di Tarzan sono confusi. Di certo il ragazzino nasconde un segreto: chi è veramente Tarzan Soraia?
Sullo sfondo si intreccia la storia di Marina e Gerardo, i poliziotti del Servizio Minori Scomparsi; i due si innamorano, si amano, si odiano...
Maurizio Matrone fa il poliziotto presso la questura di Bologna. In questo libro riesce a creare un’atmosfera autentica, veritiera, conosce bene la Polizia italiana dall’interno e, tra le altre cose, si è occupato di minori, per questo ne parla con naturalezza, senza sconfinare in “scene all’americana” che spesso ornano questo genere di racconti. Parla con disinvoltura del suo ambiente, dei rapporti tra colleghi e superiori, rendendo i personaggi veri. Racconta del loro rapporto con la gente e con le istituzioni.
Nonostante abbia dell’incredibile, questo romanzo è ispritato ad una vicenda realmente accaduta.
La storia è appassionante, sembra una favola che parla di sentimenti come l’amicizia, l’amore, la fiducia ma al tempo stesso è crudele; leggendo il libro ci si affeziona subito al protagonista e si riesce a guardare il mondo attraverso i suoi occhi.
Fa rilettere su come i pregiudizi siano duri a morire e come condizionano il comportamento delle persone, portandole spesso a conclussioni affrettate su qualcosa o qualcuno che non si conosce veramente. Ma il libro parla anche delle tante persone pronte a tendere le mani verso chi è sfortunato: gli educatori della casa di accoglienza per ragazzi “difficili”, i poliziotti, i datori di lavoro del giovane Tarzan.
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