I profondi mutamenti in atto nel sistema detto del welfare state nella società italiana suggeriscono una riflessione sulla natura storica dell’istituto e, conseguentemente, sulle motivazioni sociali e politiche che ne costituiscono le basi.
Con la presentazione del primo rapporto Beveridge (Gran Bretagna, 1942) si aprì la discussione sul significato del welfare state, cioè su quel tipo di stato che garantisce “standards minimi di reddito, alimentazione, salute, abitazione, educazione per ogni cittadino come diritto, non come carità” (H. L. Wilensky, 1975).
Nello stesso periodo la Gran Bretagna attuò provvedimenti per la sanità e l’istruzione in modo da assicurare uguali prestazioni a tutti i cittadini, indipendentemente dal loro reddito.
Nel luglio del 1945 i laburisti sconfissero inaspettatamente Winston Churchill che pure aveva acquisito grande prestigio in patria per aver guidato in modo determinato la nazione durante la guerra ed a livello internazionale per le sue straordinarie capacità di uomo politico.
Il nuovo governo fu presieduto da Clement Attle ed attuò un vasto programma di riforme sociali nel periodo compreso tra il 1945 ed il 1950; il programma era stato elaborato durante il conflitto e rappresentava la prosecuzione delle indicazioni di Beveridge.
Considerando che le assicurazioni sociali vennero introdotte in Germania nell’ultimo ventennio dell’800 ed in Gran Bretagna prima del 1914, l’esperienza inglese rappresentò il primo progetto complessivo.
La caratterizzazione in senso assistenziale del progetto venne riassunta nelle espressioni “dalla culla alla tomba” che riassumeva l’atteggiamento di protezione nei confronti dei cittadini e “parti giuste per tutti”.
Tra le iniziative più rilevanti si possono ricordare la nazionalizzazione della Banca d’Inghilterra ed i settori strategici per la produzione industriale, quali gas, trasporti, energia elettrica, carbone, siderurgia.
Il National Assurance Act del 1946 ed il National Assitence Act distribuirono in modo diverso il peso del sistema di sicurezza sociale: le assicurazioni di malattia, le pensioni, gli infortuni sul lavoro e l’indennità di disoccupazione vennero garantiti dai fondi versati congiuntamente da Stato, lavoro e imprese.
Il Servizio Sanitario Nazionale venne creato nel 1947 e rese gratuite le cure mediche e ospedaliere; dal punto di vista fiscale i patrimoni più ingenti furono sottoposti ad una forma di tassazione progressiva che si rivelò molto efficace.
L’esempio inglese venne ripreso dopo il termine della guerra dalla quasi totalità degli Stati industrializzati; lo sviluppo ed il consolidamento delle politiche di welfare è stato analizzato da molti autori dal punto di vista politico, ideologico ed economico.
Analogamente si è sviluppato lo studio negli ultimi 30 anni del secolo scorso sulle ragioni della crisi di questo sistema; limitandosi agli aspetti economici si rileva come esista un collegamento tra Stato e welfare e come più forte si avverta il distacco tra questi due elementi nel progressivo svilupparsi della crisi dei bilanci e della fiscalità statali.
Se possiamo trarre alcune provvisorie linee interpretative notiamo come le politiche del welfare si siano sviluppate generalmente in contesti politici caratterizzati da un grande consenso.
Nell’esperienza contemporanea dove trionfano i miti del denaro e del disimpegno certo lo stato assistenziale perde molto del suo valore aggiunto andando a collidere con l’imperante legge del mercato.
Vi è poi un’inversione di tendenza che si manifesta nelle scelte di fondo: oggi si privatizza in nome dell’efficienza e si creano percorsi privilegiati (ad esempio nello studio o nella sanità).
Nel contempo non è possibile ignorare come welfare e istituzioni si intreccino comunque, anche quando lo Stato sceglie la via privata e non garantisce il sostegno per alcuni settori; infatti la politica viene chiamata a dare risposte alle esigenze dei cittadini, ed in questo percorso si realizza quel circolo virtuoso che è, per la sua essenza, il senso della politica.
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