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giugno / luglio/2004 - Interviste
Procida
Giustizia per le due vittime
di E. G.

A nove anni dalla morte di un Ispettore di Polizia e di una infermiera, falciati dalle pale di un elicottero, i magistrati individuano finalmente le responsabilità

Dopo circa nove anni dall’incidente aereo accaduto sull’isola di Procida il 18 novembre 1995 ad un elicottero della Polizia di Stato (nel quale morirono l’ispettore della Polizia Antonio Raimondo e l’infermiera dell’ospedale civile di Procida Gaetanina Scotto di Perrotolo) la giustizia ha trionfato.
Anni di battaglie giudiziarie e di impegno civile hanno portato ad un importante risultato non soltanto per i familiari delle vittime ma per tutti coloro che svolgono il lavoro sugli elicotteri e per i cittadini che ne usufruiscono.
Seppure brevemente cerchiamo di ricostruire i fatti che si svolsero nel novembre del 1995.
Un giovanotto si ustiona alle gambe e all’addome lavorando nell’officina di un parente a Procida; viene portato al pronto soccorso dell’isola che dovrebbe garantire il servizio medico generico, quello chirurgico e quello ostetrico. Il medico di servizio, riscontrate le ustioni di primo e secondo grado, ritiene che le stesse non siano curabili in quel nosocomio per cui giudica indispensabile trasportare l’ustionato al centro specialistico del Cardarelli di Napoli.
Dal pronto soccorso di Procida viene chiesta alla Capitaneria di Porto una motovedetta per il trasporto a Napoli del ferito; il comandante, con il mare mosso e vento “forza otto”, valuta la situazione e dichiara di non poter mettere a repentaglio la sicurezza degli uomini per cui rifiuta.
Il medico allora si mette in contatto con la Prefettura di Napoli alla quale chiede soccorso d’urgenza, facendo presente l’imminente pericolo di vita che sta correndo l’ustionato.
A questo punto occorre precisare che il ferito era grave, ma non certo in pericolo di vita. Tant’è che il giovane si allontanerà con le sue gambe dopo la tragedia dell’elicottero: sarà imbarcato solo nel pomeriggio su un traghetto di linea e ricoverato all’ospedale Cardarelli.
Torniamo all’urgenza rappresentata alla Prefettura che, chiamata in causa, smista la richiesta al VI° Reparto Volo della Polizia di stanza a Capodichino.
In questo Reparto sono presenti parecchi “piloti d’allarme” e più di un equipaggio. La richiesta arriva a Roberto Palossi, agente scelto pilota. Palossi vuole valutare bene la situazione prima di partire: il vento si è rafforzato in modo preoccupante e lui vuole maggiori informazioni dal serviziometeo sulla possibilità di atterraggio in totale sicurezza. Inoltre c’è da tenere presente che il Reparto ha esperienza di atterraggi ad Ischia, quelli a Procida sono delle rarità.
Palossi sta valutando tutti gli elementi, quando viene “scavalcato” dal commissario capo Grabiella Pompò che riassegna la missione a Leonardo Baia, un pilota che è abituato a decollare sempre e comunque.
Sull’elicottero “Pol 51” viene montata una barella di soccorso che occupa anche il posto del secondo pilota: per la missione di soccorso perciò viene impiegato un solo pilota ed uno specialista: Antonio Raimondo.
Raimondo non è certo un novellino, ha venti anni di servizio sugli elicotteri ed anche un brevetto di pilota d’aereo.
Anche Raimondo, come Palossi, è preoccupato per il vento fortissimo. Anche se non spetterebbe a lui, chiama l’ufficio meteo: su Napoli il vento spira a 40 km/h con raffiche repentine fino ad 80 km/h ed anche più. E su Procida? Sulle condizioni del vento nell’isola non si può sapere nulla perché laggiù manca un anemometro.
Antonio Raimondo è contrario ad effettuare la missione e lo dice ad alta voce mentre si sposta nei vari locali del Reparto. Alla fine cede. Sale sull’elicottero. Da Capodichino ad Ischia, di solito, in condizioni normali, occorrono dieci minuti ma quel giorno, per raggiungere la più vicina Procida, causa il vento ne occorsero di più.
E così l’elicottero decolla ed arriva a Procida, scendendo lentamente e di sbiego sul campo sportivo dell’isola, ormai ricoperto d’acqua; rimane con le pale in movimento e il freno, apparentemente, non viene tirato. D’altra parte, tenere il rotore in funzione dopo l’atterraggio è la procedura normale adottata dal servizio elicotteri della Polizia, anche con il modello in questione, le cui pale scendono più in basso di quelle di altri esemplari in dotazione.
Solo dopo l’incidente di Procida arriveranno le disposizioni in forza delle quali si deve spegnere il motore dopo l’atterraggio.
Antonio Raimondo scende, parla con il medico contornato da una certa folla, forse troppa.
Sei o sette persone si avvicinano all’elicottero con la barella. Ci sono difficoltà ad imbarcare la lettiga con il ferito dentro il velivolo, forse per le dimensioni, o forse per il vento abbastanza forte. Ambedue gli sportelloni dell’elicottero sono aperti; improvvisamente il velivolo comincia a ballare sulle tre ruote. Subito dopo un rumore strano, come di una raffica di mitra e poi le urla. Sia Antonio che Gaetanina vengono falciati. Tutti fuggono ritenendo che il velivolo stia per scoppiare.
Fatalità? Errore del medico? Errore del pilota? Errore di un barelliere? Difetto del veivolo? Faciloneria di chi ha deciso di effettuare, comunque, la missione?
Come di consueto viene nominata una Commissione di indagine che affiancherà l’inchiesta della magistratura. L’Amministrazione della Polizia ha una “sua verità” che, nelle linee essenziali, appare nella rivista ufficiale del ministero dell’Interno: “Improvvisamente, per cause imponderabili, appena sistemato il ferito a bordo, si innescava un fenomeno di risonanza con violentissimi movimenti sussultori ed oscillatori; le pale non sono più risultate governabili dai comandi e Raimondo, preoccupandosi di mettere in salvo le persone rimaste vicine al mezzo, veniva colpito alle spalle”.
E se invece dell’imponderabile, la causa fosse da ricercare in atti (umani) poco ponderati? All’epoca ci furono anche interrogazioni parlamentari nelle quali si avanzava l’ipotesi secondo cui l’incidente che aveva causato due vittime non era stata né una disgrazia, tanto meno una fatalità. Si dovevano invece ricercare le responsabilità precise nell’operato degli esseri umani, negli errori di valutazione e, probabilmente, nelle decisioni superficiali ed improvvide.
Ora, come dicevamo all’inizio, la giustizia ha dato il suo responso.
Queste le parole con le quali Michelina De Gennaro (vedova dell’Ispettore Raimondo e presidente dell’associazione “Vittime di Procida”) ha accolto la sentenza d’appello: “In primo grado, l’unico imputato era stato assolto, ora, con il giudizio di secondo grado, che condanna il pilota dell’elicottero, vengono riconosciute le nostre tesi sulla vicenda di Procida. E questo, con tutta l’umana comprensione per chi è stato condannato, è per noi tutti un momento di grande importanza, perché pone le basi affinché fatti come quello di Procida non si verifichino mai più. Un risultato nel quale abbiamo creduto fino in fondo, anche se non sono mancati i momenti di sfiducia e di sconforto”.
Michelina De Gennaro ha poi aggiunto: “Il merito di questo importante risultato va ascritto a tante persone che in questi anni mi sono state vicine. In particolare voglio ringraziare gli avvocati Giovanni Gurgo e Franco Cortese per la loro attenta e scrupolosa difesa; il professore ingegnere Paolo Oliviero per la sua perizia tecnica sulle cause dell’incidente; il dottor Paolo Miggiano per la sua preziosa consulenza; i parlamentari Sergio Tanzarella, Giuseppe Scotto di Luzio, Lorenzo Diana, Ersilia Salvato, Eugenio Donise, Guido De Martino, Giovanni Lubrano Di Ricco, Paleila, Giuseppe Lumia, Salvatore Lauro, Daria Bonfietti che in Parlamento hanno sollevato tutti gli interrogativi che la vicenda di Procida ha fatto emergere; il drammaturgo Paolo Billi che sulla vicenda ha fatto riflettere anche in chiave culturale e gli autori del libro “Morire a Procida. Ricordo di Antonio e Nina”. Infine un ringraziamento particolare lo voglio rivolgere al compianto Franco Fedeli, fondatore di “Polizia e Democrazia”, che sulla questione di Procida, prima della sua scomparsa, ha dovuto subire un procedimento penale per diffamazione, dal quale è andato assolto insieme a Paolo Miggiano e a quei colleghi di mio marito che, per essermi stati vicino, stanno pagando prezzi giudiziari altissimi”.


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