Secondo dati forniti da Eurispes (riferiti all’anno 2000) nel nostro Paese il sessanta per cento dei cittadini abitualmente fa ricorso a qualche foma di “azzardo”
Secondo gli storici del costume da sempre il gioco d’azzardo rientra tra le tipiche e consuete attività umane, tuttavia oggi assistiamo ad una sua progressiva e costante espansione non solo come fenomeno sociale, ma anche come fenomeno culturale. In origine il gioco d’azzardo aveva lo scopo di sondare o indirizzare le volontà del Fato, del destino, come una sorta di rito magico in grado di prevedere l’evolvere casuale degli eventi. Nell’antichità, spesso, le controversie sulle proprietà o sulla scelta delle persone venivano affidate ai dadi, interpretando l’esito dei dadi come espressione della volontà divina. Tuttavia non è mai stata persa la sua funzione di attività gioco dell’uomo con la sorte e con il destino, e negli ultimi anni sono sempre di più le persone che vengono attratte dal gioco in modo da scatenare in loro delle passioni irrefrenabili e dei comportamenti compulsivi che progressivamente si estendono a tutti gli ambiti della vita e del sociale.
La religione, da sempre avversaria e contraria ad ogni forma di gioco con il destino, ha contribuito a scindere la passione per il gioco in una forma buona, consentita, come diremmo oggi ethically correct, come la lotteria, la pesca di beneficenza, le sagre paesane, ed una forma cattiva, immorale, scorretta, come il gioco delle carte clandestino, le corse dei cavalli ed i loro legami con la criminalità.
Alcuni Stati hanno istituzionalizzato il gioco d’azzardo, statalizzandolo ed aprendo dei casinò, sollevando in questo modo il giocatore dalle accuse di immoralità (che poi si estendevano a carico dello Stato “croupier”) con la scusa che i guadagni passavano alle casse dello Stato. Tuttavia i casinò hanno aperto la strada agli effetti compulsivi negativi della passione del gioco, con le condotte di assenteismo dal lavoro, le problematiche finanziarie e familiari, gli effetti dell’usura ed i loro collegamenti con il crimine, il rischio suicidario.
Così come è stato scisso il gioco in una forma buona ed una cattiva, allo stesso modo è stato scisso il giocatore nella forma buona, di colui che sfida ed affronta le sorti del destino, ed una forma cattiva, di colui che trasgredisce le regole sociali con comportamenti irresponsabili ed immorali.
Contro il gioco d’azzardo si è inizialmente schierata la Chiesa (il gioco è peccato), poi il diritto (il gioco d’azzardo è reato) ed infine anche la medicina psicologica (il gioco d’azzardo, se compulsivo, è malattia).
Alcuni autori hanno descritto il gioco d’azzardo come una malattia fin dall’inizio del XX secolo, tuttavia solo nel 1980 è stato riconosciuto come vero ed autonomo disturbo psicopatologico ed inserito fra le malattie dovute al mancato controllo degli impulsi. Fra i criteri psichiatrici che l’Associazione Americana degli Psichiatri (Apa) ha descritto nel proprio Manuale Diagnostico (Dsm) vi ritroviamo che il soggetto:
- è eccessivamente assorbito dal gioco;
- ha bisogno di giocare quantità crescenti di denaro per raggiungere l’eccitazione desiderata;
- ha ripetutamente tentato con insuccesso di controllare, ridurre o interrompere il gioco d’azzardo;
- gioca d’azzardo per sfuggire a problemi o per alleviare un umore depressivo;
- dopo aver perso denaro al gioco, torna per giocare ancora (“rincorrendo” le proprie perdite);
- mente ai familiari, ai medici ed alla fine a tutti per nascondere l’entità del proprio coinvolgimento nel gioco;
- ha commesso azioni illegali per finanziarsi il gioco d’azzardo;
- ha messo a repentaglio o ha perso una relazione affettiva significativa, il lavoro od opportunità scolastiche o di carriera per il gioco d’azzardo;
- fa affidamento sugli altri per reperire denaro o per alleviare una situazione finanziaria disperata causata dal gioco d’azzardo.
Secondo dei dati forniti dall’Eurispes nel 2000, in Italia le persone che abitualmente giocano ad una qualche forma di azzardo sarebbero circa il 60% della popolazione (contro un 85% circa degli inglesi). Secondo dei dati internazionali il tasso d’incidenza del gioco d’azzardo sulla popolazione generale sarebbe compreso tra l’1% ed il 3%.
Sono stati identificati anche dei fattori di rischio demografici, come ad esempio il sesso maschile (gli uomini giocano il doppio delle donne), il basso livello sociale, culturale ed economico, l’essere celibi ed in un’età compresa tra i 18 ed i 25 anni. Altri studi mettono in evidenza dei collegamenti tra il gioco d’azzardo ed alcuni tratti specifici della personalità come l’insicurezza, l’impulsività, la bassa tolleranza allo stress ed alle frustrazioni, alla tendenza all’aggressività, fino ad arrivare a collegamenti con vere e proprie patologie come la depressione o il disturbo ossessivo-compulsivo. Inoltre il giocatore d’azzardo è maggiormente esposto all’abuso di alcolici, di sigarette e di sostanze stupefacenti. Infine si è osservato che il gioco d’azzardo termina il suo percorso evolutivo con un tentativo di suicidio o con un suicidio riuscito.
Già nel 1898 lo studioso Gerolamo Caramanna, allievo del criminologo Cesare Lombroso, aveva distinto tre tipologie di giocatore:
1. i giocatori occasionali, la maggior parte dei giocatori;
2. i giocatori per professione, che mirano al guadagno di denaro;
3. i giocatori per passione, quelli che Dostojeskij ha definito i “giocatori del gioco per il gioco”, mossi da un istinto innato, i giocatori nati sul modello dei delinquenti nati.
Uno dei maggiori studiosi del gioco d’azzardo patologico, il dr. Robert Custer, ha descritto nel 1985 sei varianti di giocatori d’azzardo, partendo, come criterio distintivo selettivo, dalla finalità che spinge il giocatore al gioco:
- il giocatore professionista – con una grande padronanza di sé, di elevata memoria, ed una preferenza per i giochi d’azzardo con una accentuata componente agonistica e competitiva (uno contro l’altro);
- il giocatore antisociale – i cosiddetti bari, cioè coloro che non riescono a fare a meno di manipolare le regole a loro favore;
- il giocatore sociale casuale – coloro che cercano nel gioco un momentaneo ed isolato divertimento;
- il giocatore sociale severo – coloro che vedono nel gioco la principale forma di intrattenimento, senza che questo divenga un danno per gli aspetti della vita lavorativa o familiare;
- il giocatore nevrotico – coloro in cui si riscontrano delle problematiche psicologiche come ansia, depressione, scarsa autostima, e per i quali il gioco rappresenta una via di fuga o di distrazione;
- il giocatore compulsivo – per tutti coloro che hanno perso il controllo sul gioco, trasformando tale attività ed i suoi correlati come elemento portante della vita quotidiana ed oggetto di ogni loro pensiero; in loro è possibile identificare le fasi tipiche del giocatore d’azzardo patologico:
- la fase vincente,
- la fase perdente,
- la fase della disperazione,
- la ricerca della via d’uscita (suicidio, carcere, fuga, richiesta d’aiuto).
Al giocatore compulsivo vengono associate anche delle componenti patologiche tipiche della dipendenza e che stanno conducendo alla messa a punto di un’ulteriore categoria di dipendenze: le dipendenze comportamentali o tossicomanie senza sostanza.
Gli psicoanalisti da sempre si sono interessati della psicologia del giocatore, proponendo un parallelo tra l’eccitazione del gioco d’azzardo e l’eccitazione di tipo sessuale. Accade un qualcosa nella mente del giocatore che molti autori hanno definito il “fascino perverso della paura”, come quella che si prova di fronte al rischio, alla perdita, al rifiuto, all’insuccesso. Lo stesso padre della psicoanalisi, Sigmund Freud, si interessò al gioco d’azzardo ed al riguardo nel 1928 pubblicò un libro, “Dostoieskij ed il Parricidio”, in cui viene analizzata la personalità dello scrittore russo e la sua esperienza di giocatore compulsivo.
Freud osservò che il giocatore nevrotico non gioca per vincere denaro, ma per il gioco in sé stesso, “il gioco per il gioco” come scrive autobiograficamente Dostoieskij ne “Il Giocatore”. Il giocatore, dopo aver ripetutamente perso, continua a giocare a causa di un forte senso di colpa che deve essere espiato tramite una continua e ripetuta perdita. Il giocatore quindi non solo non aspirerebbe ad una vincita, ma necessita proprio di una sconfitta, per viverne il carattere prettamente autopunitivo. Il senso di colpa, secondo Freud, prende l’avvio con le dinamiche conflittuali del complesso edipico che il bambino vive nel rapporto con i genitori in un’età compresa tra i 4 ed i 6 anni. Alla fonte sembra proprio esserci un difficile e conflittuale rapporto del bambino con il padre, tanto amato e tanto odiato. È la componente di aggressività ed odio verso il padre che scava nella mente del bambino quell’angoscioso senso di colpa che lui cercherà per tutta la vita di placare in qualche modo. Spesso per placarlo servono proprio le sconfitte, le perdite ed i fallimenti. Qualche volta servono dei veri e propri crimini, commessi con lo specifico ed inconscio scopo di essere catturato e di finire in carcere. La simbologia del gioco è un modo per sfidare la fortuna e la sorte con l’inconscia domanda “mio padre mi ama?”. Se mi ama vincerò, se non mi ama allora perderò. Secondo altri psicoanalisti nel gioco viene liberato quel desiderio e quel piacere che i genitori hanno represso con le loro regole e con le loro restrizioni. È un modo per tornare a quella fase infantile in cui non tengo conto della realtà e “tutti i desideri sono automaticamente soddisfatti”. Nel gioco d’azzardo agiscono quindi a livello inconscio molteplici desideri e paure che non riescono a trovare un accordo né una integrazione, per cui il comportamento oscilla continuamente tra la trasgressione, il rimorso e la ricaduta in un circolo vizioso apparentemente senza fine e senza via d’uscita possibile che non sia quella del carcere o del suicidio.
Tutto questo avviene perché, secondo alcuni psicoanalisti, “se la punizione diventa un piacere, la punizione stessa diventa un assurdo”, in quanto non riesce ad estinguere il comportamento negativo, anzi lo rinforza.
Salendo da un livello profondo, tipico degli psicoanalisti, ad un livello più accessibile, come quello della psicologia cognitivista, troviamo nel giocatore d’azzardo delle strutture tipiche del pensiero che possono essere definite come l’“illusione del controllo”.
Un esempio di questa illusione si osserva nei giochi di fortuna in cui è assente la componente abilità (i cosiddetti giochi di alea), come ad esempio i dadi. In questo gioco si ha l’illusione del controllo se è il giocatore stesso a lanciare i dadi ed è stato osservato che quanto più si cerca un alto punteggio tanta più forza viene liberata nel lancio dei dadi, se invece si cerca un numero basso la forza per lanciare i dadi diviene molto bassa, spesso minima. Si osserva inoltre una concezione della logica matematica del tutto particolare quando si tratta di interpretare una sequenza di risultati al punto che dopo qualche risultato negativo o di un certo tipo (esempio una sequenza di rossi o dispari alla roulette), il giocatore è assolutamente ed arbitrariamente certo che il prossimo risultato sarà positivo (o nero o pari). Secondo alcuni studiosi inoltre, a tutti gli individui piace un certo grado di rischio o di azzardo, in quanto la possibilità di perdere denaro ha un rinforzo positivo legato all’emozione della suspence dell’attesa dell’esito ed alla probabilità di festeggiare una vincita.
Possiamo concludere questo viaggio intorno alla mente del giocatore d’azzardo ricordando che mai come in questo momento storico stanno emergendo e si affermano sempre più delle nuove psicopatologie che ruotano intorno ai disturbi di personalità, alle tossicodipendenze ed alle varie forme di addiction comportamentale. Se un secolo fa le psicopatologie erano legate alla repressione ed all’inibizione delle emozioni, com’era il caso dell’isteria, oggi le psicopatologie sono collegate all’eccesso di liberazione dell’impulsività ed al mancato controllo delle emozioni. Questo mancato controllo crea violente oscillazioni del tono dell’umore, facili instabilità relazionali, difficoltose integrazione degli aspetti conflittuali e contraddittori che normalmente fanno parte della personalità, con un continuo bisogno di identificazione in figure potenti, vincenti, quasi mitologiche.
Le facili perdite del senso della linea di confine, che caratterizza l’epoca attuale, induce una continua ricerca del limite, attraverso comportamenti di sfida e di trasgressione. L’aumento della ricerca del sensazionale o del magico determina inoltre un aumento della ricerca delle fonti di emozioni e di piacere con non possono essere facilmente contenute dall’attuale stile di vita e che hanno bisogno di “bruciarsi al fuoco dell’alcol, della droga, del sesso e del gioco”.
|