home | noi | pubblicita | abbonamenti | rubriche | mailing list | archivio | link utili | lavora con noi | contatti

Giovedí, 22/10/2020 - 14:46

 
Menu
home
noi
video
pubblicita
abbonamenti
rubriche
mailing list
archivio
link utili
lavora con noi
contatti
Accesso Utente
Login Password
LOGIN>>

REGISTRATI!

Visualizza tutti i commenti   Scrivi il tuo commento   Invia articolo ad un amico   Stampa questo articolo
<<precedente indice successivo>>
giugno / luglio/2004 - Interviste
Terrorismo
Ma l'asse del male è l'alleato saudita
di Belphagor

Il libro scritto da un ex agente della Cia traccia la rete di corruzione e connivenze che lega l’industria del petrolio e quella degli armamenti Usa, con l’appoggio della burocrazia di Washington, all’Arabia Saudita, la più attiva sostenitrice del terrorismo islamico

Di solito, gli agenti segreti non parlano, non rilasciano interviste, non scrivono libri. Quello che sanno lo tengono per sé, anche quando smettono di lavorare, o passano ad altre attività. Di solito, ma non sempre. Robert Baer, dopo essere stato nella Cia (Central Intelligence Agency), per ventun anni, dal 1976 al 1997, parla e scrive. E fa, con dati e nomi alla mano, rivelazioni che sorprendono e inquietano. Baer non è stato un agente qualsiasi, ha operato, anche con funzioni dirigenti, in Iraq, nel Sudan, in Libano, nell’Asia centrale, in Marocco, e altrove. Nel 1997 è stato insignito della Career Intelligence Medal “per aver ripetutamente corso rischi personali, scegliendo gli obiettivi più difficili, al servizio del paese”. Nel suo libro (“Dormire con il diavolo”, Piemme, pagg. 302, - 17.90) Baer non parla dei rischi corsi, ma espone un quadro della cosiddetta guerra al terrorismo islamico lucido e spietato, che il sottotitolo del libro annuncia in parte: “Come Washington ha venduto l’anima per il petrolio dell’Arabia Saudita”. Il petrolio, certo, ma non solo il petrolio.
Non sappiamo se per lealtà o per malizia, Robert Baer ha sottoposto il testo all’esame dei vertici della Cia, che hanno cancellato con fascette nere alcuni nomi e riferimenti “compromettenti”. Poi l’autore ha voluto che il libro venisse pubblicato con i segni della censura. Da notare che la Cia si è ben guardata dall’intervenire a favore della Casa Bianca, del Dipartimento di Stato, dei nomi dell’industria e della finanza. Anche se in un caso “ha chiesto che questa sezione dedicata ai finanziamenti dall’estero della Fratellanza Musulmana sia censurata”. Questo omissis, situato nel contesto di quanto Baer scrive subito prima, è la classica toppa peggiore dello strappo. Infatti, l’ex agente fa notare che la Fratellanza Musulmana, nata in Egitto, fu stroncata nel 1954 da Nasser, e da allora l’Arabia Saudita è diventata “il suo nume tutelare”, dotandola di fondi, di uffici, di basi, di moschee, di scuole teologiche. E la Fratellanza è stata ed è la vera “base” del terrorismo islamico: Osama Bin Laden è nato alla sua scuola, non solo teologica.
L’Arabia Saudita, fedele alleato degli Stati Uniti, che sembra non si accorgessero di nulla. Ma c’era un piccolo segreto alla base di tutto: la Casa Bianca considerava i Fratelli un alleato silenzioso, un’arma segreta contro – tanto per cambiare – il comunismo… Come qualunque attività segreta veramente efficace, anche questa era strettamente informale. Nessun rapporto della Cia, nessuna comunicazione al Congresso, nessun finanziamento da parte del Tesoro. In altre parole, niente documenti. La Casa Bianca si limitò a strizzare l’occhio e fare un cenno di assenso ai paesi che ospitavano i Fratelli Musulmani, come l’Arabia Saudita e la Giordania… Se la Cia avesse spiato i Fratelli Musulmani avrebbe dovuto concludere inevitabilmente che si trattava di feroci assassini che prima o poi, a rifletterci bene, si sarebbero rivoltati contro di noi”. Ma, aggiunge, se un agente della Cia in Medio Oriente “avesse svolto qualche indagine e ne avesse riferito a Washington, si sarebbe trovato immediatamente a vendere caramelle nel sottoscala di Langley”, come era accaduto a un agente di Berlino che aveva cercato di reclutare un diplomatico saudita. Insomma, il regno degli Al Sa’ud era e resta una zona privilegiata sulla quale non si deve indagare, e comunque mai a fondo, malgrado sia obiettivamente la più solida centrale del terrorismo islamico.

* * *

Una tappa importante dell’avvicinamento di Washington all’estremismo di marca islamica attraverso l’Arabia Saudita è stata l’Afghanistan. Dopo l’occupazione di quel paese da parte dei sovietici, che sostenevano il governo comunista e laico loro alleato, Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza del presidente Carter, stabilì che gli Stati Uniti avrebbero versato alla resistenza afgana contro l’Armata Rossa un contributo pari a quello dell’Arabia Saudita: nel solo 1981, 5,5 miliardi di dollari. Si trattò, nei fatti, di un massiccio finanziamento dei gruppi dell’estremismo islamico accantonati alla frontiera tra il Pakistan e l’Afghanistan, formati da sauditi, arabi del Golfo, maghrebini, egiziani, filippini, indonesiani, e altri cittadini di nazioni musulmane. Tra questi gruppi, quello denominato Ittehad-e-Islami, comandato da Abdullah Sayyaf, affiliato ai Fratelli Musulmani quando era studente all’università al-Azhar del Cairo, poi trasferitosi in Arabia Saudita. In Afghanistan Sayyaf aveva preso sotto la sua ala il giovane miliardario saudita Osama bin Laden, e si era legato al kuwaitiano Khalid Shaykh Muhammad (divenuto più tardi noto con la sigla Ksm), anch’egli Fratello Musulmano. Proprio Ksm sarebbe stato incaricato da Bin Laden di organizzare le stragi dell’11 settembre 2001. Da notare che un anno prima delle stragi, lo stesso Muhammad, ricercato dal Fbi americano per “sospetto coinvolgimento in trame terroristiche”, era rifugiato in Qatar, piccolo Stato ricco di petrolio e gas naturale, confinante con l’Arabia Saudita, dove era impiegato all’acquedotto; il Qatar, che vanta ottimi rapporti con la Casa Bianca aveva aggirato la domanda di estradizione facendo espatriare Ksm, e la cosa era finita lì. Coincidenza, segnalata da Baer: il Qatar, fra il 1997 e il 1999 aveva pagato 24 milioni di dollari a uno studio legale “vicino” alla Casa Bianca, e circa 700.000 dollari a una società di pubbliche relazioni di Washington, “per promuovere la sua immagine e pararsi i fianchi mentre forniva rifugio temporaneo ad alcuni degli individui più pericolosi del pianeta. La ciliegina sulla torta fu che in seguito l’ambasciatore americano a Doha (capitale del Qatar, n.d.r.) – l’uomo incaricato di convincere le autorità del Qatar a consegnare Muhamad – andò a lavorare per loro. Così Muhammad ebbe il tempo per cominciare a progettare l’11 settembre”.
Già prima la Fratellanza aveva assassinato nel 1981 il presidente egiziano Anwar Sadat, aveva tentato di uccidere, nel 1995, il suo successore Hosni Mubarak, aveva massacrato, nel 1997, nel tempio di Luxor, cinquattotto turisti stranieri e quattro egiziani. Sulla stampa i responsabili erano sempre indicati come membri di Al Qaida (e Osama era sempre pronto a presentarsi come la testa pensante della galassia terrorista), ma, precisa Robert Baer “erano i Fratelli Musulmani, in tutto e per tutto; la stessa banda di cui ci eravamo serviti perché facesse il lavoro sporco per noi, nello Yemen, in Afghanistan, e in tanti altri posti. Solo che ora noi siamo diventati il loro lavoro sporco, e l’Arabia Saudita è casa loro”. E l’ex agente, con amara ironia, commenta: “Se John Ashcrof (incaricato dell’inchiesta giudiziaria sull’11 settembre 2001, n.d.r.) fosse stato procuratore generale a quell’epoca, io e tutti coloro che svolsero un ruolo a xxxxxxxxxxx (censura) o in Afghanistan, saremmo finiti nei suoi elenchi dei terroristi di Al Qaida. Non c’è dubbio: stavamo aiutando e spalleggiando quelli che sarebbero diventati i nostri peggiori nemici. Probabilmente scriverei questo libro dietro le sbarre della prigione di Guantanamo”.

* * *

L’Arabia Saudita è una tirannia teocratica, in nessun modo può essere definita, neppure formalmente, uno Stato di diritto. Non esistono né un Parlamento né una Costituzione. Il paese (compresa la popolazione) appartiene alla famiglia reale degli Al Sa’ud, formata da migliaia di principi, ognuno dei quali riceve un sostanzioso appannaggio dalle casse dello Stato. La pena di morte è in pieno vigore, tramite decapitazioni pubbliche, eseguite a Riad in una piazza soprannominata “Tagliacorto”. La fustigazione, anch’essa pubblica, è la regola per una serie di infrazioni, soprattutto di carattere religioso: ad esempio, per un negoziante non abbassare le serrande durante le ore delle preghiere rituali, e per le donne indossare gonne non abbastanza lunghe. Nessuno, nemmeno gli stranieri, può praticare una religione diversa da quella islamica. Gli Al Sa’ud hanno finanziato la costruzione di moschee in tutto il mondo, ma vietano la presenza in Arabia di una sola chiesa o tempio di altro culto. L’attuale re Fahd, sul trono dal 1982, è stato reso inabile da un ictus nel 1995, e da allora il potere è esercitato dal fratellastro Abdallah, da altri principi di alto rango che formano una sorta di Consiglio dei Ministri, dalla moglie favorita, Jawhara al-Ibrahim, e dal figlio Abd-al-Aziz, chiamato familiarmente Azouzi, un megalomane vizioso che spende delle fortune per acquistare e far costruire residenze lussuose. In patria, dove come gli altri principi, pratica il diritto di confisca di qualsiasi bene immobile gli faccia gola, e all’estero: del resto gli Al Sa’ud possiedono un numero incredibile di ville, tenute, palazzi e appartamenti ultramiliardari in Europa e in America. Lì le leggi coraniche, fatte duramente osservare nel loro paese, vengono allegramente infrante.
Tutto questo, e molte altre cose, è stato finora pagato dagli introiti del petrolio, ai quali si aggiungono le tangenti incassate su qualsiasi contratto, e qualche commercio più nascosto, come il traffico di droga. Morale islamica e corruzione diffusa è la mistura corrente ai piani alti sauditi. Una, almeno apparente, contraddizione, che gli Al Sa’ud e le poche potenti famiglie a loro vicine cercano di superare abbondando in sovvenzioni alle organizzazioni estremiste islamiche. E, va detto, non trascurando di beneficare a Washington le “persone giuste”, quelle che sono in grado di mantenere il silenzio su questo gioco al massacro.

* * *

Il denaro saudita arriva in varie forme, da decenni. Si va dalla valigetta contenente un milione di dollari, in biglietti da cento, “dimenticata” nell’ufficio di Richard Nixon, appena eletto alla fine del 1968 presidente, da Adnan Kashoggi, ricco uomo d’affari saudita intimo di Fahd, allora ministro degli Interni e oggi re, all’acquisto dei buoni del Tesoro nel 1973 per coprire il deficit di bilancio americano, alla commissione paritetica saudita-americana, inventata da Henry Kissinger, allora segretario di Stato, per creare attraverso la “cooperazione economica” una Arabia Saudita rinnovata su modello Usa, una farsa che ebbe il solo risultato di far depositare dai sauditi oltre un miliardo di dollari su un conto del Tesoro americano per pagare spese, stipendi, consulenze, e quantaltro. “Washington – scrive Baer – ha una certa familiarità con il denaro facile, ma non aveva mai visto niente del genere. Sembrava una fonte inesauribile. In poco tempo i sauditi cominciarono a disseminare denaro ovunque, come concime nei campi d’inverno. La Casa Bianca tese la mano per finanziare i progetti cui teneva e che il Congresso non voleva o non poteva permettersi di sostenere, da una guerra in Afghanistan a una in Nicaragua. Tutti i ‘pensatoi di Washington, dal teoricamente imparziale Middle East Institute al Meridian International Center, prendevano soldi dai sauditi. La macchina del consenso di Washington – lobbisti, agenzie di pubbliche relazioni e avvocati – ci campava sopra, così come le istituzioni benefiche dell’alta società, come il John F. Kennedy Center for the Performing Art, il Children’s National Medical Center, e tutte le biblioteche presidenziali degli ultimi trent’anni… Il denaro saudita filtrava anche tra la burocrazia. Qualunque funzionario di Washington con un minimo di intelligenza sa che stando dalla parte giusta riuscirà ad accedere alla mangiatoia saudita… Con simili prospettive di guadagno, non ci si stupisce che i burocrati di Washington non abbiano il coraggio di mettersi contro i sauditi”. Il sistema funziona come una tassazione indiretta: l’Arabia Saudita incassa dagli Stati Uniti il prezzo del petrolio, e ne restituisce una parte per finanziare alcuni progetti “ufficiosi” della Casa Bianca, per garantirsi l’amicizia di burocrati e politici, per sostenere l’industria attraverso l’acquisto di armi (il 13% del Pil), sistemi di comunicazione, impianti di trivellazione. “Sommate il tutto, e capirete il motivo dell’enorme influenza di cui i sauditi godono nella capitale”. Certo, gli Al Sa’ud si fanno anche carico di distribuire fondi a istituzioni “benefiche” islamiche, attraverso le quali una parte del denaro arriva a organizzazioni estremiste che praticano il terrorismo. La corrotta monarchia di Riad deve blandire con ogni mezzo gli integralisti, un tempo allevati e utilizzati e poi diventati troppo pericolosi, e i loro alleati (o complici) di Washington lo sanno bene. Ma di questo aspetto della questione si cerca di parlare il meno possibile, o di non parlare affatto.

* * *

Fra le società americane che hanno più stretti, e proficui, rapporti con gli Al Sa’ud, spicca il gruppo Carole, che l’11 settembre 2001 apriva la sua conferenza annuale per gli investitori al Ritz-Carlton Hotel di Washington, mentre il volo 77 dell’American Airlines si schiantava sul Pentagono, a quattro chilometri di distanza. “All’incontro – ricorda Baer – erano presenti il principale consulente legale del gruppo James Baker, segretario di Stato sotto Bush padre; l’allora presidente del gruppo Carole, Frank Carlucci, ultimo segretario alla Difesa di Ronald Reagan, e prima ancora consigliere per la Sicurezza nazionale; e Shafiq Bin Laden, rappresentante del Gruppo Bin Laden – una delle imprese di costruzioni più grandi del mondo – ma oggi molto più famoso come fratello di Osama Bin Laden. Questo insieme di persone era una metafora perfetta del singolare rapporto esistente tra Washington e l’Arabia Saudita”.

<<precedente indice successivo>>
 
<< indietro

Ricerca articoli
search..>>
VAI>>
 
COLLABORATORI
 
 
SIULP
 
SILP
 
SILP
 
SILP
 
SILP
 
 
Cittadino Lex
 
Scrivi il tuo libro: Noi ti pubblichiamo!
 
 
 
 
 

 

 

 

Sito ottimizzato per browser Internet Explorer 4.0 o superiore

chi siamo | contatti | copyright | credits | privacy policy

PoliziaeDemocrazia.it é una pubblicazione di DDE Editrice P.IVA 01989701006 - dati societari