È vero: il dirigente dispone di un ampio potere decisionale in materia di mobilità interna. È altrettanto vero, però, che tale discrezionalità deve rispondere ai principi di trasparenza, imparzialità ed efficienza.
È opinabile, almeno a nostro avviso, che risponda a questi criteri la riassegnazione di un dipendente all’Ufficio minori dopo che questo ha ottenuto la specializzazione nei servizi di Polizia scientifica.
Premesso che in sede di prima assegnazione all’Ufficio minori il giovane collega fu preferito a molti altri dipendenti più anziani di lui - in funzione dell’attitudine posseduta a svolgere quel particolare servizio - appare quantomeno incoerente che solo dopo qualche mese sia stato inviato a conseguire, appunto, la specializzazione nei servizi di Polizia scientifica. Ciò malgrado, per stessa ammissione dell’Amministrazione, non si avvertisse alcun bisogno di potenziare il locale Gabinetto provinciale di Polizia scientifica.
Come se non bastasse, il collega al termine del corso, anziché essere assegnato com’era naturale e logico all’ufficio per cui si era specializzato, ha fatto riforno all’Ufficio minori ove intanto, per ben sei mesi, il posto non era stato affatto integrato.
È opinabile, dicevamo poc’anzi, stabilire se un simile atteggiamento è contrario all’interesse dell’Amministrazione ancor prima che del dipendente come sosteniamo noi; o se invece sia conforme ai principi di buona amministrazione dianzi citati.
È indiscutibile invece, e ne siamo convinti, che a nessun dirigente, neanche ad un questore è consentito, seppure in nome di una presunta migliore organizzazione ed efficienza degli Uffici, di assumere provvedimenti autoritari in spregio dei più elementari principi di garanzia e di difesa prescritti dal Regolamento di servizio e da quello di disciplina.
È accaduto, purtroppo, che due dipendenti all’inizio dell’anno sono stati “epurati” dall’ufficio Digos. Provvedimenti che nel metodo abbiamo giudicato viziati da eccesso di potere e lesivi della dignità e dell’onorabilità degli interessati. A questi colleghi non è stata contestata alcuna infrazione disciplinare e pure hanno subito un trasferimento punitivo. Gli è stato negato il diritto più elementare: quello di potersi difendere o, per dirla nel gergo disciplinare, di “produrre proprie giustificazioni” in ordine ai presunti comportamenti che, si è detto, avrebbero fatto venir meno il “rapporto di fiducia tra dipendente e dirigente”.
È la prima volta che con il questore registriamo una così netta divergenza di posizione; ciò stupisce e dispiace molto. Anche per questo avremmo voluto che la vicenda si fosse risolta nell’ambito dei margini consentiti dalle tradizionali relazioni sindacali.
Così non è stato. Purtroppo mesi sono passati invano e pertanto, per uno dei due colleghi in particolare e su sua esplicita richiesta, abbiamo ritenuto di spostare la vertenza in sede giudiziaria.
Preso atto dell’irremovibilità dell’Amministrazione, abbiamo deciso di portare a conoscenza della categoria lo sviluppo della vertenza. Ciò per dare un quadro di valutazione più completo e obiettivo di quello che ci si può formare ascoltando le sole “voci di corridoio”.
In ogni caso, fatti come questi, riteniamo debbano far riflettere sulla loro portata involutiva qualora passassero inosservati. Il rischio è quello del ritorno al passato quando cioè, la permanenza in un determinato ufficio o settore d’impiego, dipendeva spesso dagli umori del “comandante”.
A noi spetta vigilare che ciò non accada e soltanto continuando a stare dalla parte della ragione potremo rivendicare con forza il rispetto dei nostri diritti e della nostra dignità.
Giovanni Sammito
Segr. Prov. Siulp - Gorizia
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