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maggio/2004 - Interviste
Vampiri
La vera storia di Vlad l’impalatore
di Paolo Pozzesi

Il capostipite di tutti i Dracula è il voivoda Vlad III di Valacchia, che però vampiro non era. Difese, a modo suo, la cristianità, ed era un uomo colto che conosceva sette lingue e discuteva di filosofia e teologia con il neoplatonici rinascimentali

All’origine della storia c’è un papa. Uno dei più famosi nell’albero araldico della Chiesa, Enea Silvio Piccolomini, letterato, umanista, nato nel 1405 e morto nel 1465, pontefice con il nome di Pio II, autore, tra altre opere, di un’autobiografia redatta in forma di memoriale: Commentarii rerum memorabilium quae temporis suis contingerunt. Ed appunto qui che entra in scena il voivoda Vlad II di Valacchia, chiamato Dracula, ma soprattutto noto ai suoi tempi con il soprannome di “impalatore”. È lui il capostipite di tutti i Dracula che fioriranno sino ai nostri giorni, anche se sicuramente non sarebbe disposto a riconoscerne nemmeno uno. Anzitutto perché il vero Dracula non fu mai un Vampiro, e nemmeno il Piccolomini, che pure ne parla malissimo, gli indirizza questa accusa. Altresì, e rilevanti: “Egli invase la provincia di Cibino, incendiò molti popolosi villaggi, trascinò in catene in Valacchia numerose persone e le fece impalare”.
Questa penetrazione violenta dei corpi è ricorrente nelle vicende che hanno Vlad III come protagonista, quasi che fra i tanti metodi per torturare e mettere a morte, quello gli fosse il più congeniale. E forse da tale pratica, per successive assonanze, si è prodotto il palo da conficcare nel cuore del Vampiro per privarlo dei suoi poteri. Forse. Anche se Vlad, che, ripetiamo, vampiro non era, faceva impalare in modo del tutto classico. Erano gli anni intorno al 1450, e fervevano le guerre di frontiera per contenere le spinte espansioniste di Maometto II, il Gran Sultano conquistatore di quel che restava dell’impero bizantino. Il voivoda, coraggioso guerriero e discreto stratega, figurava - pur con qualche ambiguità – tra i più bellicosi paladini della causa dell’occidente , che già allora era motivo di polemiche, conflitti, complotti. Il nostro Dracula, stando al racconto di Pio II – che curiosamente lo chiama Dragala – doveva cavarsela abbastanza bene nei vari frangenti, risolvendo a suo modo i problemi che gli si ponevano, o che egli stesso si creava: “Nel 1462, l’Imperatore dei Turchi, al quale era soggetto, pretese da lui un tributo. Egli rispose che glielo avrebbe consegnato ad Adrianopoli, e chiese perciò un salvacondotto per i luoghi che avrebbe attraversato. Ottenuto il salvacondotto, varcò il Danubio, coperto di ghiaccio, e appena giunsero i prefetti turchi li fece uccidere, saccheggiò e massacrò più di venticinquemila persone, tra le quali delle bellissime vergini che i valacchi avrebbero voluto prendere in mogli. Portò in Valacchia molti prigionieri, e una parte ne fece scuoiare, arrostire nel fuoco, cuocere nell’olio bollente, mentre tutti gli altri furono impalati”. Amen. Insomma, quello che esce dai Commentarii è un elenco di atrocità neppure troppo fantasiose - lo spellamento, il fuoco, il solito palo - che tutte insieme non formano però un ritratto del personaggio. Del quale Enea Silvio fornisce solo una descrizione sommaria, come vedremo. Sappiamo che Vlad - come corrispondente al nostro Giovanni - aveva studiato a Norimberga, Bisanzio, Padova, che parlava e leggeva il tedesco, l’italiano, il latino, il greco, lo slavo, il turco, l’ungherese, che aveva frequentato Marsilio Ficino, fondatore dell’Accademia neoplatonica di Firenze, Giovanni Pico della Mirandola, Nicola Cusano, Gemisto Pletone. Un erudito, dunque, figura più unica che rara tra i nobili transilvani dell’epoca. Ed è singolare che questo Dracula non abbia lasciato alcunché di scritto, sia di carattere autobiografico, date le accuse che quando era ancora in vita già si levavano contro di lui, sia di contenuto dottrinario, visti i suoi interessi per la filosofia e l’ermetismo.
Lo scrittore rumeno Marin Mincu ha pubblicato, una decina di anni fa, un Diario di Dracula, dichiaratamente apocrifo, che si riferisce agli anni - dal 1463 al 1476 - durante i quali Vlad fu prigioniero del sovrano ungherese Mattia Corvino, in una torre del castello di Unedoara. La storia è sufficientemente losca, fitta di reciproci inganni, agguati, tradimenti. Così come la racconta il Diario, dapprima Mattia trascura di soccorrere Vlad nella battaglia di Traila, contro i turchi, poi lo fa attaccare, a Cilia, da Stefano di Moldavia, infine lo invita nel castello di Bran, a Brasov, e qui, tra una festa e un torneo, Dracula viene arrestato e imprigionato. Ma, secondo i Commentarii, Mattia era venuto in possesso di una lettera indirizzata da Dracula a Maometto II, nella quale il voivoda chiedeva al Gran Sultano di riappacificarsi con lui, offrendogli di “consegnare nelle tue mani l’intera regione di Transilvania, entrando in possesso della quale potresti poi assoggettare tutta l’Ungheria al tuo dominio”. E Piccolomini commenta soddisfatto: “Il valacco langue ancora oggi in carcere. È un uomo di corporatura robusta e d’aspetto piacente che lo rende adatto al comando. A tal punto possono contraddirsi l’aspetto fisico e quello morale dell’uomo”. Dracula traditore, si afferma. Ma non si spiega il motivo del tradimento. È vero che Vlad aveva dovuto accettare una condizione di formale vassallaggio nei confronti Maometto II, ma questo non gli aveva mai impedito di battersi contro di lui: al punto che lo stesso Pio II progettava di affidargli il comando di una crociata per liberare il Santo Sepolcro.
In realtà il voivoda detestava i vicini musulmani, e un episodio potrebbe essere esplicativo del suo odio. A quell’età di 16 anni, mentre era tenuto in ostaggio con il fratello Radu in una fortezza turca, Dracula era stato ripetutamente violentato da un pascià Radu, di qualche anno più giovane, aveva subìto il medesimo trattamento da parte del capo delle guardie, e poco dopo era passato, consenziente, nel letto del Sultano, che si diceva preferisse i ragazzi alle sue innumerevoli spose e concubine. Il fatto avrebbe fortemente, e comprensibilmente, turbato il giovane Dracula, contribuendo magari a dare connotati così specifici all’espletamento della sua crudeltà. Vediamo che il personaggio resta enigmatico, né si può dare molto credito alla versione dei Commentarii, costruita essenzialmente con le testimonianze interessate di Mattia Corvino. Il re magiaro voleva impadronirsi della Valacchia, e a tal fine aveva posto sul trono il fin troppo remissivo Radu. Di Vlad III le cronache dicono che, dopo dodici anni di prigionia, muore nel 1478, in battaglia, combattendo contro i turchi.
Il cerchio si chiuse, e il mistero rimane. E rimane un interrogativo essenziale: perché “Dracula il Vampiro”, se Vlad Vampiro non fu mai? Forse a causa del nome, che però aveva già portato suo padre Vlad II. “Dracul” significa drago, e il drago nella maggior parte delle raffigurazioni ha corpo di serpente e ali di pipistrello. In alcune immagini lo stesso pipistrello rappresenta un drago. E ai chirotteri sono associati valori notturni, sotterranei, e, secondo l’interpretazione cristiana, diabolici. Dracula, drago, pipistrello, vampiro: è davvero questo il percorso che ha condotto l’“impalatore” a trasformarsi in un succhiatore di sangue? Non oseremmo affermarlo perentoriamente. Non è da escludere che la fantasia e la paura si siano unite nel susseguirsi delle generazioni per dare vita a un essere composito, scaturito dall’immaginario collettivo, con il,nome di un voivoda passabilmente sanguinario quale marchio di garanzia.
Fino a giungere ai Vampiri degli ultimi due secoli, tra i quali primeggia il Dracula di Bram Stoker. Romanzo “gotico” divenuto modello fisso di un filone della letteratura dell’orrore, in realtà più anglo-vittoriano che transilvano; ma il Conte di Stoker si appella ancora alla sua ascendenza valacca e regale: “E chi è stato, se non un voivoda della mia razza, che varcò il Danubio e sconfisse i turchi sul loro stesso suolo? Era un Dracula! E fu grande vergogna che il suo indegno fratello, egli caduto, vendesse il suo popolo al Sultano, riducendolo all’onta della schiavitù!”. E aggiunge, amareggiato: “I giorni guerreschi sono finiti. Il sangue è una cosa troppo preziosa, in questi tempi di disonorevole pace, e le glorie delle grandi razze sono una narrazione ormai conclusa”. Comunque il bravo Dracula diviene definitivamente un “vampyr”, bevitore di sangue che “possiede” le sue vittime, di preferenza femminili. Avido di globuli rossi, è a suo modo un libertino spinto da una disperata vocazione, un Don Giovanni lunare, parente del licantropo e di altri mostri.
Ormai entrato nel consumo quotidiano del brivido, si trasformerà in attore, fornendo materia ad opere cinematografiche di prestigio - come il Nosferatu di Murnau -, e mediocrissime, a imitazioni e parodie. Si è avuto persino un Bram Stoker’s Dracula di Francis Ford Coppola, che – pur recuperando all’inizio la figura di Vlad -, secondo le dichiarazioni del regista, trasferiva il Vampiro in “una storia tragica nella tradizione di Paolo e Francesca, Romeo e Giulietta, Tristano e Isotta”. E questo l’“impalatore” non se lo sarebbe mai aspettato.

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